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Lui, Vera, Annie e il dottor Laval si trovavano, il giorno dopo, nel soggiorno di Vera, pedine in un dramma che stava dilagando. Giornalisti e cameraman presidiavano in folla il prato lì fuori, calpestando e distruggendo l’erba e i fiori. Aspettavano la conferenza stampa prevista per le cinque del pomeriggio.

Ned era stremato. Aveva trascorso la notte a prendere accordi per la conferenza stampa e a declinare offerte da parte di editori e agenti pubblicitari. Tra le due e le tre di mattina, aveva impiegato un’ora a liberarsi di un uomo che voleva far esibire Annie su un palcoscenico di Las Vegas a diecimila dollari per ora… sempre che il cinquanta per cento delle sue predizioni risultasse esatto. Un sacerdote voleva invece che tenesse un corso di letture sull’«Ispirazione divina». Parecchia gente, di persona o per telefono, aveva chiesto aiuto per questioni personali, alcuni pretendevano addirittura che Annie indovinasse che cosa c’era nei testamenti dei parenti. Vera aveva appena trovato un attimo libero per telefonare a Mrs. Curtis, scusandosi per il comportamento tenuto il giorno prima.

Ned misurava la stanza a grandi passi, il vestito tutto cincischiato, il volto rasato con parecchia approssimazione. «Dopotutto, la bambina ne ha passate abbastanza», attaccò, «la pubblicità è l’ultima cosa che vogliamo.»

«D’accordo», disse Laval. «Per quanto riguarda i medici, puoi stare tranquillo.»

«Oh, non so proprio, Sandy», ribatté Ned. «Certi dottori farebbero carte false pur di mettersi in mostra. Di alcuni sono anche il legale.»

«Non posso controllare quello che dicono. Ma, come pediatra di famiglia, la stampa ascolterà me.»

«Credi? Ho sempre pensato che la stampa dia retta a chiunque disponga della storia più sensazionale.»

«Può darsi.»

«Sanno esattamente che cos’è successo in ospedale. Non so ancora come riusciremo a darne una spiegazione convincente.»

«E tu lascia fare a me», disse Laval.

Ned guardò l’orologio sulla parete. «Va bene. Andiamo fuori tra qualche minuto. Cerchiamo tutti di essere gentili, qualsiasi cosa ci chiedano. Quella gente è capace di raggirarti come vuole. Gli daremo un resoconto onesto, ma, sia chiaro, non vogliamo trarne nessun profitto, niente quattrini o pubblicità o altro.»

Alle cinque in punto il gruppo uscì di casa in fila indiana, Annie in testa, Ned in coda.

Laval si girò verso di lui mentre oltrepassavano la soglia. «Auguri», gli disse.

I quattro si trovarono davanti una batteria di microfoni, alcuni regolati all’altezza di Annie. Ned si piazzò al centro del gruppetto. «Signore e signori», esordì con il tono da principe del foro, «siamo davvero orgogliosi della nostra piccola Annie.» Si fermò, mentre alcuni fotografi scattavano istantanee della bambina, quindi proseguì. «Desidero sottolineare, comunque, che i medici non hanno trovato conferma che lei sia dotata di facoltà speciali. Ha avuto intuizioni rivelatesi esatte. Ha salvato sua madre, e quel suo presentimento ha guidato i vigili del fuoco alla scoperta dell’incendio. Di questo, ringraziamo la Provvidenza.

«Noi chiediamo soltanto che ad Annie sia consentito di condurre un’esistenza normale. Doveva rientrare a scuola oggi, ma la confusione e lo scompiglio gliel’hanno impedito. Speriamo possa raggiungere presto i suoi compagni.»

Si tirò in disparte cedendo, come d’accordo, il posto a Laval davanti al microfono. «Quale pediatra di Annie», esordì Laval, «desidero confermare quanto ha appena detto Mr. McKay. Annie è una deliziosa bimba assolutamente normale. Vogliamo avere la certezza che tutto questo non la danneggi. Come forse saprete, esistono molti esempi di persone che predicono il futuro. Nessuno può, in realtà, capire tali circostanze, ma raccomandiamo vivamente alla stampa di non attribuirvi eccessiva importanza. E ora, a quanto mi risulta, la famiglia potrà rispondere alle vostre domande.»

«Vogliamo parlare con Annie!» gridò un cronista, cui altri fecero eco.

Ned sorrise paternamente alla nipote. «Annie è qui, disponibile», precisò, «ma cercate di capire che è affaticata.» Guidò gentilmente la bambina davanti al microfono. «Parla qui dentro, tesoro.» E sorrise alla stampa.

«Annie», gridò un cronista, «che cosa ne dici di tutta questa attenzione intorno a te?»

Annie ridacchiò. «È come alla TV quando la mamma guarda il telegiornale. È divertente.»

«Quando hai detto ai pompieri dell’esplosione nella cantina è stato come se avessi visto la scena in quel momento?»

«No. Lo scoppio l’avevo visto prima, quando la mamma stava andando via in macchina.»

«Si dice che non è la prima volta che ti succede. È vero?»

Ned si intromise bruscamente. «Annie ha sperimentato qualche periodo critico. Ci sono stati episodi analoghi, ma i medici concordano nel dire che si è trattato di coincidenze.» Guardò Laval, che annuì, confermando.

«Ma la bambina ha predetto il futuro», ribatté un cronista. «A noi risulta così.»

Laval si accostò al microfono. «Per essere esatti», precisò, «Annie sembrava conoscere fatti che stavano accadendo altrove. Ma chi può sapere come abbia avuto quelle idee?»

Di botto, Larry Birch si fece strada tra il gruppo di giornalisti e li fronteggiò. «Ciao, Annie», cominciò con la sua cadenza newyorkese, «prima di andare in ospedale hai mai visto qualcuna di queste scene nella tua mente?»

«No», rispose la bambina.

«Dottor Laval», domandò Birch, «perché?»

Laval si fece pensieroso. «Non lo so», rispose. «Potrei solo fare delle ipotesi al riguardo.»

«È possibile», continuò Birch, «che sia stata la malattia di Annie a causare tutto questo?»

Gli altri cronisti ammutolirono, attenti.

«Non ho mai saputo di circostanze del genere», rispose Laval.

«La domanda non era questa.»

«Be’, no», confermò il medico, «non è possibile.»

«È vero o no che quando si è svegliata all’ospedale la bambina ha riferito di avere visto se stessa spinta giù, o cadere, da un traliccio a Topeka?»

Ned intervenne di nuovo, il volto arrossato per la rabbia. «E allora?»

«Non lo sa, signore, che una bambina è morta esattamente in quel modo, il giorno prima, a Topeka, e che Annie ha avuto la sua visione prima che la notizia venisse trasmessa da New York?»

Pandemonio.

Nessuno dei giornalisti aveva saputo del fatto. Vera non l’aveva saputo. Si coprì il volto con le mani, tremando come una foglia. «Oh, Dio!» gemette, senza che nessuno potesse sentirla.

Birch si odiò per il colpo inferto a Vera, ma aveva capito che era il momento giusto per vanificare i tentativi di minimizzare le visioni di Annie.

«È vero?» chiese un cronista a Laval.

«Sì», rispose il dottore sommessamente, a disagio.

«E questo non preoccupa i familiari?» domandò un altro giornalista a Ned.

«No», sbottò Ned. «Come avvocato, ho visto molte cose che sembravano vere e non lo erano. Non credo ai miracoli, io!» Di colpo, circondò con un braccio le spalle di Annie e cominciò a ricondurla verso casa. «La tensione è troppa per la piccola», disse. «Non è davvero leale né per sua madre né per lei. Grazie a tutti.»

Gli uomini della stampa protestarono, tumultuando. «Solo un altro minuto», pregarono e si accalcarono come avvoltoi sui McKay, qualcuno cercando di impedir loro di entrare in casa. Ma Ned si fece strada a spintoni. E alla fine la famiglia e Laval riuscirono a evitarli.

I giornalisti gridarono, formulando qualche altra domanda al di là della porta, poi cominciarono a disperdersi. Vera, però, sbirciando attraverso la veneziana, scorse Larry Birch in piedi, discosto dagli altri, intento a scribacchiare appunti.

«Non è andata bene», disse Vera.

«Perché?» le domandò Ned.

«Perché non ti ha creduto nessuno.»

«Sciocchezze. Facevano il loro mestiere. E, francamente, me ne infischio di quello che pensano.»