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La Neuberger tornò poco dopo, portando un boccale di birra. Ne ingollò un buon quarto prima di riprendere a parlare. «Fa bene», spiegò. «Dilata le arterie.»

«Capisco», disse Vera.

La Neuberger si appollaiò su una grande poltrona di fronte al divano. «Così, lei è venuta da me perché è già stata dappertutto, da altri. Giusto?»

«Sì. Abbiamo tentato di tutto.»

«Siete state da alcuni dei cosiddetti psichiatri. Quelli che hanno studi eleganti, con interfono e quattrini in banca.»

«Sì.»

«E lei ha un problema con la piccola», aggiunse la Neuberger. «Naturalmente l’ho vista alla televisione e ne ho letto sui giornali, ma questo non conta. Ma, a quanto mi risulta, la bimba vede le cose.»

«Sì», rispose Vera.

«E allora?»

La faccia di Vera assunse un’espressione interdetta. «Lei non si intende di queste cose?»

La Neuberger alzò le braccia, fingendosi mortificata. «Non sono Dio. Dio forse lo sa… forse.»

Mentre Vera la osservava, la Neuberger posò il bicchiere e la fissò attentamente, con occhi che sembravano bruciare, penetrare nel fondo del suo animo. Ebbe paura di quell’esame, ma allo stesso tempo quegli occhi sembravano possedere una speciale seconda vista e tanta saggezza.

«Mia figlia sembra in grado di predire il futuro», disse Vera.

La Neuberger rise di cuore. «Assurdo. Nessuno è in grado.»

«Ma lei sì.»

«E lei si aspetta che io, un medico, creda a queste stupidaggini?»

«Ma io pensavo lei credesse nel…»

«Ah!» esclamò l’altra. «Queste storie sul mio conto circolano ovunque. Ricevo delle lettere così strane. Signora, io credo soltanto quando c’è una prova. Qui che cosa vedo io, se non una madre isterica?»

«Non sono un’isterica. Lei sa benissimo di che cosa sto parlando. Voglio il suo aiuto.»

«Allora deve raccontarmi esattamente come è cominciata questa bizzarra faccenda. Dopo sarò io a dirle qual è il problema, sempre che quanto sentirò abbia senso. A quanto ne so, suo marito ha tagliato la corda.»

«Mio marito è scomparso l’anno scorso.»

«Ma lei era felice. Il suo matrimonio non aveva problèmi.»

«Lei come lo sa?» domandò Vera.

«Da come abbassa la voce e gli occhi e cambia il ritmo del discorso quando parla di lui.»

«Capisco», mormorò Vera.

«Dopo che lui, questo marito, se n’è andato, le cose per lei si sono fatte difficili?»

Vera sospirò profondamente. «Ero rimasta sola. È stato molto duro.» Sembrò perdersi in un ricordo lontano.

«La piccola ha reagito male alla scomparsa del padre?»

«Molto. Erano molto vicini.»

«Vicini, quanto?»

«Gliel’ho detto, molto.»

«Il che non mi dice niente.»

«Erano sempre insieme.»

«Fisicamente?»

Vera alzò le braccia, esasperata. «Be’, in quale altro modo?»

«Si comporti educatamente con me!» scattò la Neuberger. «Ci sono parecchi modi di essere insieme. Si può essere nella stessa casa, a mezzo metro da un altro, e nemmeno accorgersene. Io sono insieme con la gente quando vado in metropolitana. E non significa che le voglia bene.»

«Capisco che cosa vuol dire», rispose Vera. «Si parlavano sempre. Non per il fatto che Harry ci fosse o meno. Lui le prestava sempre attenzione.»

«E questo, alla piccola, manca.»

«Naturalmente.»

«Mi dica se sua figlia ha mai avuto qualcuna di quelle stranezze prima che il padre se ne andasse.»

«No, era perfettamente normale.»

La Neuberger frugò in un armadietto e ne tirò fuori una scatola di biscotti. «Ecco, carina», disse, «prendine uno.» Era la prima cosa gentile che avesse fatto e Vera notò anche che i suoi lineamenti severi si erano un po’ addolciti.

Annie esitò, guardando la madre, la quale annuì che andava bene. La bambina esitò ancora.

«Coraggio!» insisté la Neuberger.

Annie scese lentamente dal divano, le si avvicinò e prese il biscotto. «Grazie», disse quasi in un bisbiglio e tornò a sedersi.

«Un pochino viziata», commentò la dottoressa.

«Che cosa?» esclamò Vera.

«Ho visto che si aspettava che le portassi io il dolcetto. È un sintomo. Deve stare attenta. Specialmente con il papà assente, i bambini diventano viziati, poiché la famiglia cerca di compensare quell’assenza.»

«Ci starò attenta», promise Vera, riconoscendo che il suggerimento era buono.

«Adesso mi racconti dall’inizio della strana faccenda.»

«È stato parecchi mesi fa», cominciò Vera. «Annie si è ammalata gravemente una sera e…»

«Quando ha cominciato a riprendersi sono cominciati anche i problemi.»

«Sì. Ha avuto una visione: cadeva sui binari del treno nello stesso identico modo in cui una ragazzina era morta a Topeka appena prima che lei si ammalasse.»

«Sì, questo l’ho sentito dire. Non deve farci caso. Naturalmente sua figlia l’aveva saputo da qualcuno, anche se dicono che nessuno ne era a conoscenza. La cosa è spiegabile.»

«Ma poi», aggiunse Vera, «Annie ha saputo che per poco non restavo vittima di un incidente automobilistico.»

«Nessuno attorno a lei ne era al corrente?»

«No, impossibile», rispose Vera. «Annie lo ha saputo nell’attimo stesso in cui stava succedendo.»

«Che importanza ha?»

Vera trasalì. Guardò dubbiosa la psichiatra. «Non la seguo, dottoressa.»

«Che importa se ha fatto queste cose?» ribatté la Neuberger. «Ci sono tante spiegazioni! Ne vuole una, gliene do una. Ma in questo gli altri medici probabilmente avevano ragione. Avranno sostenuto che era una coincidenza, o una delle solite percezioni extrasensoriali.»

«Sì.»

«Quindi il caso finisce qui.» La Neuberger si alzò, evidentemente in procinto di accompagnarle alla porta.

«Ma lei non ha capito!» protestò Vera. «È successo ancora, altre volte.»

La Neuberger alzò le spalle. Vera era stupefatta. La Neuberger era più rigida, più ottusa di tutti gli altri dottori.

«Mi sta dicendo», chiese Vera, «che non c’è nient’altro che possa fare?»

«Senta», replicò la Neuberger, «si metta nei miei panni. Se fosse lei ad ascoltare questa storia che cosa direbbe?»

«Ma lei non ha ascoltato tutta la storia.»

La psichiatra sbirciò l’orologio, poi con fare indifferente si sedette di nuovo. «Okay, se ha qualcos’altro da dirmi, parli. Le dedico ancora qualche minuto.»

«Ci sono stati altri episodi», proseguì Vera, parlando sempre più in fretta, sperando che la Neuberger fosse disposta ad ascoltare. «C’è stata la volta in cui sapeva che una scheggia di vetro era nel prato di casa,»

«Per forza, lo sapeva», commentò la Neuberger, «abitava e viveva lì.»

«Mi lasci finire, la prego!»

«Continui pure. Credo, però, che mi stia facendo sprecare del tempo.»

«Sto cercando di esporle i fatti!» ribatté Vera, quasi gridando. Guardò alla sua sinistra. Annie si era raggomitolata a un’estremità del divano, chiaramente impaurita. «La stiamo facendo spaventare.»

«Lei la sta spaventando», replicò la Neuberger. «Vada avanti.»

«Annie non sapeva che c’era il vetro. E non poteva assolutamente saperlo.»

«Assurdo! L’aveva visto in precedenza.»

«No, non l’aveva visto!» insisté Vera, cominciando a mostrarsi esasperata. «Lo chieda ad Annie!»

«La smetta di ordinarmi che cosa devo fare!»

«Non sto ordinando. Sto suggerendo!»

Di scatto, Annie si mise seduta. «Non lo sapevo da prima», disse spontaneamente.

«È tua mamma che ti istruisce a dire questo!» sbottò la Neuberger.

«Non è vero!» insisté Vera. Squadrò con rabbia la Neuberger, ma questa ricambiò l’occhiataccia. Quella vecchia non voleva, non poteva essere suggestionata o influenzata. Vera si sentì svuotata d’ogni energia.