«Mi dica», continuò la dottoressa, accavallando le gambe in modo goffo, decisamente mascolino, «lei ha uno di quegli agenti teatrali, vero?»
«Non la capisco.»
«Qualcuno con la giacca dai grandi risvolti e che telefona sempre in California. Che procura scritture per la piccola in teatro.»
Dapprima Vera non comprese del tutto. Poi l’enormità dell’accusa le apparve evidente. «Sta insinuando», proruppe indignata, «che io cerco di far quattrini perché Annie ha avuto queste visioni? Vuol forse dire che la manderei su un palcoscenico, come un fenomeno da baraccone?»
«È quello che sto dicendo.»
«Allora lei è senz’altro in malafede», affermò Vera, incapace di frenarsi.
«Questo non è vero», ribatté la Neuberger. «Sto solo esponendo dei fatti. L’ho vista in televisione, con folle di giornalisti, a fare la scena.»
Vera scrollò la testa, disperata, e si voltò indietro, tentando di trattenere la collera. «Quella», disse con tono quasi condiscendente, «era una conferenza stampa. I cronisti volevano parlare con noi di Annie dopo che lei aveva salvato delle vite umane. Questo riesce a capirlo?»
La Neuberger sbuffò in modo quasi sprezzante. «Lei sta tentando di farmi fessa», disse. «Sapeva di sicuro i vantaggi della pubblicità. Non riesce a darmela a bere.»
«È inutile andare avanti», replicò Vera bruscamente. «Niente può farle cambiare opinione.»
«Lei si arrende troppo facilmente», osservò la Neuberger. «Gli americani sono dei molli.» Riprese il bicchiere di birra e ne ingollò parecchie sorsate, quasi fino in fondo. Quando ebbe finito fissò compiaciuta il bicchiere, come se interpretasse uno short pubblicitario alla televisione. «Stimolante», disse. «Adesso», ordinò, «mi dica qualcosa di più della sua storia.» Vera fu tentata di porre fine a quell’umiliazione, ma era sopraffatta dal disperato bisogno di trovare qualche aiuto per Annie. «Stavo andando a un colloquio per un impiego. Ero in macchina e Annie mi è corsa dietro. Incredibile. Sapeva che c’era un’esplosione nel palazzo dove stavo recandomi. Ecco com’è diventata così… famosa.»
«Famosa», ripeté la Neuberger con una sfumatura di cinismo. Si appoggiò allo schienale della poltrona e alzò la testa, osservando il soffitto. Poi chiuse gli occhi, evidentemente riflettendo. Li riaprì di colpo e si rivolse ad Annie. «Io ti piaccio?» le chiese.
Annie cominciò a dondolare le gambe avanti e indietro, come fanno i bambini quando si sentono imbarazzati. «Sì», rispose. Vera le aveva detto di essere sempre gentile, indipendentemente dai suoi reali sentimenti.
«Mi dirai la verità?» continuò la Neuberger.
«Sì.»
«Allora raccontami come inventi questi scherzetti. Chi ti suggerisce di dire queste cose?»
Annie alzò le spalle.
«La verità!» insisté la psicanalista.
«La mamma ha spiegato…»
«Tu, spiegalo!»
Vera ribollì all’allusione che avesse mentito. Ma aveva fiducia in Annie e decise di non interferire.
«Vedo le scene», precisò Annie, «proprio come ha detto la mamma.»
«Sono sogni, naturalmente», dichiarò la Neuberger.
«No che non lo sono. Vedo le scene nella mia testa, come alla televisione.»
«Chi ti ha suggerito di dire così?»
«Nessuno.»
«Tu non mi stai raccontando la verità.»
«Sì, invece!»
«Non mi piacciono i bambini che dicono le bugie!»
Allora Annie scoppiò in lacrime, nascondendo la testa in grembo alla madre.
«Come può!» esclamò Vera, dominandosi, ma con le lacrime agli occhi. «È solo una bambina e lei la tratta come spazzatura!»
«Non è vero», ribatté freddamente la Neuberger.
«Lo è», scattò Vera, alzando la voce. «È verissimo. Forse per questo lei è al bando nella sua professione. Forse per questo lei esercita in una vecchia casa squallida come questa!»
«Mrs. McKay», ribatté la dottoressa, con un’improvvisa sincerità nella voce, «io sto cercando di aiutarvi.»
«Un bell’aiuto davvero!» commentò Vera, cui era sfuggito il cambiamento di tono della Neuberger. «Gli altri dottori non ritengono di essere in tribunale. Perché lei sì?»
«Perché il mio sistema funziona. Ho aiutato altra gente come voi due, Mrs. McKay», proseguì, «so che lei pensa che sia un’originale. Non mi stupisce, ma nemmeno mi preoccupa. Il metodo che uso è insolito. Tende a cavarle informazioni esattamente come un dentista estrae un dente. Già so di voi due più di qualsiasi altro dottore, ma di questo per ora non parleremo. La stragrande maggioranza dei medici, quelli con l’orologio d’oro, si preoccupa della propria immagine, di ciò che gli altri possono pensare di loro. Io mi preoccupo soltanto di risolvere il problema. Devo anche convincermi che lei non sia un’imbrogliona. Se questo non le va a genio, quella è la porta. Se vuole il mio aiuto, si adegui al mio metodo.»
Vera abbassò gli occhi, non sapendo che cosa ribattere, sentendosi di colpo imbarazzata, ma ancora incollerita per un «metodo» che metteva Annie alla tortura.
Squillò il telefono, uno squillo lacerante e sonoro che rimbombò sulle pareti quasi spoglie. La Neuberger si alzò con un’agilità che smentiva i suoi anni e si diresse a un tavolino, dove il telefono era nascosto dietro una pila di libri.
«Sì, pronto.»
Ascoltò e Vera la vide oscurarsi in volto, annoiata.
«Sì, sì, sì. È qui, ma questo è uno studio medico, non un club di ritrovo. Non posso passargliela.»
Ascoltò ancora, con un’espressione seccata sul punto di diventare rabbiosa.
«Attenda, Mr. Blablabla», disse aspramente, poi si girò verso Vera. «È per lei. Questo scocciatore dice che è urgente, ma io non lo credo affatto.»
«Chi è?» domandò Vera.
«Un certo Mr. Ned.»
Vera esitò, ma decise che evitare di rispondere sarebbe stato peggio. «Devo parlargli?» chiese alla Neuberger.
«Questo Ned può turbarla ancora di più», rispose la psicanalista. «Secondo me dovrebbe lasciarlo perdere. Ma se non può farne a meno…»
«Sì, credo di doverlo fare.» Vera accarezzò ancora Annie, si alzò e si diresse al telefono.
«Ned… sono Vera.»
«Che cosa diavolo ti è venuto in mente di fare?» replicò lui seccamente.
11
Ned andava avanti e indietro nel suo studio, con il ricevitore incollato all’orecchio, mentre con la mano libera gesticolava come se stesse arringando una folla.
«Ho appena parlato con Laval», disse. «Ascolta, Vera. Non mi capita molto spesso di arrabbiarmi con te, ma questa volta l’hai fatta grossa. Credo davvero che tu abbia esagerato.»
«Non so», rispose Vera con il cuore che le batteva forte e assalita dall’atavica deferenza verso i componenti maschili della famiglia.
«Non lo sai? Se non lo sapevi, allora perché non hai consultato me prima di portare Annie da una mediconzola da strapazzo?»
«Perché devi subito presumere che…»
«Senti, Annie è troppo importante per me.»
«Ma di tutto quello che abbiamo tentato, niente ha funzionato.»
«Tu non sai essere paziente, Vera, e ti manca l’esperienza necessaria per affrontare certi problemi. Sei sottosopra, e lo sei stata per un bel po’. Adesso, Sandy non vuol più sentir parlare di Annie e, considerato quanto ha fatto per lei, non ti sembra una pazzia? E se lui non vuole più saperne per colpa di questa ciarlatana, nessun altro vorrà impegnarsi.»
«E allora?» domandò Vera, cercando di controllarsi. «Ce n’è stato uno, dico, uno solo, che sia riuscito a darci una mano?»
«A darci una mano? Hanno salvato la vita ad Annie e, come minimo, ti hanno impedito di impazzire in tutta questa faccenda. Non ti hanno immischiata con streghe e fattucchiere.»