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Un’ombra leggera di pena sfiorò il viso di Ned. «Vera, questo mi dispiace.» Premette il tasto dell’interfono sulla scrivania. «Non ci sono per nessuno», avvertì. Poi tornò a fissare la cognata. «Sta facendo qualche progresso con lei?» chiese, con un tono di voce che tradiva ampiamente il suo scetticismo.

«Sinceramente, non lo so ancora. Sta provando.»

Ned scosse la testa, costernato, un atteggiamento che aveva perfezionato in tribunale. «Vera, davvero non riesco a capire. Di solito sei sempre così equilibrata! Sei andata sempre nei migliori ospedali e dai migliori medici. E adesso, di colpo, diventi un’esperta in psicanalisi, ciarlatanerie, bassifondi di Manhattan e via dicendo.»

«Ned», ribatté lei, «non posso discuterne con te. Ho ritenuto che la Neuberger potesse essermi utile. Nessun altro ci è riuscito. Questo lo capisci, vero?»

«Ma esistono così tanti bravi dottori», obbiettò lui. «Finora ne abbiamo solo consultato qualcuno.»

«Può darsi, ma non siamo approdati a un bel niente e io ero preoccupata per Annie. Questa nuova dottoressa ha delle idee.»

«Su questo non ho dubbi», replicò ironico Ned.

«So che non approvi i suoi metodi, ma concedile almeno una possibilità.»

«Adesso che cos’ha in mente di fare con la nostra Annie?»

«Vuole che ci trasferiamo in un motel vicino al ponte di Tappan Zee. Annie ha avuto quella visione, ricordi, di Harry morto… vicino al ponte.»

«Che cosa ci vuole fare?» esplose con rabbia Ned. «Tenere una seduta spiritica?» Poi si rese conto della propria asprezza e la sua voce tornò subito al timbro affettuoso. «Vera, Vera», mormorò, «che cosa stai combinando a te stessa? Che cosa stai combinando ad Annie?»

«Ned, ti ho detto…»

«Questa donna è una pazza patentata, una vergogna della professione medica. Le visioni di Annie sono un problema mentale. Lei non sa dove sia Harry. Per quanto ne sappiamo tutti, sta vagolando dalle parti di Chicago.»

«Io voglio provarci», insisté Vera, con calma.

«Vuoi andare a stare nel motel? Perché?»

«Per essere vicina allo spirito di Harry.»

«Oh, Gesù Cristo benedetto! Verrà a saperlo tutta la città.»

«Non posso preoccuparmene, Ned. Ci andiamo. Tutt’e tre.»

«Anche lei?»

«Sì, fa parte del suo metodo terapeutico.»

«Vera, mi rifiuto di credere che tu faccia una cosa simile.»

«Ned, cerca di ascoltarmi bene, adesso. Procederemo in questa fase del trattamento, ma c’è una seria complicazione.»

«Denaro?»

«No. Non te ne chiederei mai. La dottoressa Neuberger ritiene che Annie debba essere protetta.»

Ned si oscurò in viso, di colpo. «Perché?»

Vera armeggiò nervosamente con le mani, come spesso faceva quando non riusciva ad affrontare un argomento. «So che sembra assurdo, e ti garantisco che nessuno ti sospetta di niente, ma ti ricordi quando Annie ha creduto che tu stessi… per farle del male?»

«Certo.»

«Per mettere l’anima in pace a tutti, e per dimostrare che tu non costituisci nessun pericolo, la dottoressa pensa che Annie dovrebbe avere una guardia del corpo.»

Ned si fece visibilmente teso. Vera capiva che era turbato e sbalordito. «Be’, questa è… una decisione senz’altro singolare.»

«Ned, noi crediamo in te. Tutto ciò è assurdo. Anche la dottoressa pensa che Annie abbia avuto solo un incubo. So e capisco i tuoi sentimenti. Ecco perché ho voluto parlarti di persona. Fa solo parte della cura.»

Ancora una volta, Ned scelse la via conciliante. «Certo», rispose. «Capisco. Senti, facciamo quello che è giusto. Ho già detto che la paura che Annie ha di me non dev’essere presa alla leggera, per quanto assurdo possa essere. Se insisti nell’affidarti a quella donna, proviamolo. E se vuole che Annie venga comunque protetta, sono io che voglio lo sia, e sono io che pagherò per questa protezione.»

«Oh, no, non posso accettare!»

«No, Vera, insisto! Facciamo le cose per bene. Guarda, non sono d’accordo con te, ma dobbiamo tentare qualsiasi strada per Annie. Giusto?»

Vera parve rilassarsi, concedendosi per sino un sorriso. «Sì», rispose con calore. «Ned, sono felice tu sia la persona che sei.»

Se ne andò poco dopo, convinta che ogni crisi con Ned era stata risolta.

L’Empire Motel difficilmente poteva essere classificato come lussuoso.

Come struttura seguiva il modello, incompiuto, dei migliori motel di Tarrytown e della vicina Westchester. L’Empire aveva trentotto anni ed era costituito da due file di casette prefabbricate di legno, ognuna delle quali ospitava una camera. In origine le costruzioni erano state uffici prefabbricati per un campo d’addestramento militare durante la seconda guerra mondiale, dichiarato superfluo dopo la fine delle ostilità. Davanti ad ogni camera c’era la prescritta area di parcheggio, delimitata da strisce bianche sull’asfalto e numerate. L’interno delle stanze aveva i mobili essenziali, abbastanza in ordine, un vecchio televisore a colori e un bagno, sempre pulito, ma con la pressione dell’acqua insufficiente.

Non c’erano ristorante o snack bar, ma gli ospiti potevano procurarsi tavolette di cioccolato da un distributore fuori della stanza numero 26. La direzione era in un piccolo edificio a sé stante, che ospitava anche l’alloggio dei proprietari. L’ufficio era una cameretta con una scrivania verde di legno e dépliant per i turisti sparpagliati su una mensola. Le tariffe, quaranta dollari a notte per una camera doppia in alta stagione, erano esorbitanti dato il livello del motel, ma i proprietari dell’Empire sapevano che i loro «ospiti» non potevano trovare nient’altro altrove e non avevano scelta.

Il ponte di Tappan Zee si profilava a meno di un chilometro di distanza ed era chiaramente visibile dal motel. Scavalcava l’Hudson e collegava due parti dello Stato di New York. In quel momento era al centro dei programmi e delle teorie di Marie Neuberger, dato che poteva essere la chiave delle misteriose visioni di una bambina. L’elegante ponte raramente era stato oggetto di un così grande, profondo interesse.

Annie e Vera ebbero la camera numero 16, a due letti, mentre alla Neuberger venne assegnata la 17. Grazie all’interessamento di Ned, Vera si era assicurata un servizio di sorveglianza, all’esterno della stanza, ventiquattr’ore su ventiquattro. Le guardie sarebbero state in divisa e venivano messe a disposizione da una locale agenzia specializzata che era stata in rapporto con Harry. I turni di vigilanza si sarebbero susseguiti ogni otto ore.

Su insistenza della Neuberger a Larry Birch era stato vietato di soggiornare all’Empire contemporaneamente a Annie. Così lui fu costretto a prendere in affitto una stanza a due minuti di strada dal motel, la cui insegna luminosa e parte del parcheggio erano visibili dal balcone del secondo piano. Si era anche procurato una radio della polizia che lo avvisasse di qualsiasi «avvenimento» capitasse nel motel.

Vera non lo sapeva, ma Ned aveva assunto un detective privato, che alloggiava nella camera attigua a quella della Neuberger, per tenerla d’occhio e riferire su quanto stava facendo ad Annie.

Poche ore dopo il loro arrivo al motel, in una giornata calda e soleggiata, la Neuberger, Vera e Annie si riunirono nella stanza della psicanalista. Le due donne si sedettero su due poltroncine, mentre la bambina saltava sul letto cigolante. Fuori della porta una guardia di ventidue anni, dai capelli ramati, stava a cavalcioni di un cartone del latte, il volto quasi nascosto da occhiali da sole.

La Neuberger era «vestita» per l’occasione: indossava un informe abito verde con in testa un foulard rosso, portatole dalla Russia da un vecchio amico.

«Voglio che la piccola si renda conto», disse la dottoressa, guardando severamente Annie, «che è una faccenda da prendere sul serio. Non possiamo permetterci giochi e trastulli come il giorno del compleanno. Non possiamo concederci sogni a occhi aperti. Annie, ascolti quello che sto dicendo?»