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Gli agenti erano agli ordini del sergente Charles Washington, un negro gigantesco, già stella di prima grandezza nella squadra di football della Sleepy Hollow High School, e forte di un’inappuntabile carriera di quindici anni nella polizia. Washington aveva un aspetto autoritario e imponente, ma parlava con voce morbida, quasi vellutata. Il suo perenne sorriso e il suo rifiuto di perdere le staffe lo avevano reso inestimabile nel prevenire disordini razziali e nel raffreddare zuffe familiari.

Washington si portò dietro tre agenti mentre avanzava tra gli alberi, usando un’enorme pila elettrica per farsi strada. Trovò Vera, Annie e la Neuberger in una piccola spianata, circondata da alberelli e erbacce. La bambina tremava e rabbrividiva, mentre la madre le circondava le spalle con un braccio. La psicanalista stava ancora prendendo appunti.

«Che cosa succede qui?» domandò affabilmente Washington.

«Qualcosa di veramente profondo», rispose la Neuberger.

«Non capisco, signora.»

Vera tolse per un attimo il braccio dalle spalle di Annie e avanzò di fronte a Washington. «Sergente, mi chiamo Vera McKay.»

«Lo so, signora, dalla chiamata.»

«Allora lei conosce, probabilmente, la storia di mia figlia.»

«Be’, certo. I giornali e tutto il resto, capisce.»

«Ha avuto un’altra visione.»

Washington esitò, non sapendo lì per lì come affrontare quel problema. «Signora», chiese, «in che cosa possiamo esserle utili?»

«Mia figlia ha visto suo padre», spiegò Vera nervosamente, «sepolto quii»

«Oh, capisco.»

Uno degli agenti si coprì la bocca con la mano per nascondere una risata. Washington lo fulminò con un’occhiata di rimprovero. «Signora», domandò, «è sicura che non si sia trattato di un incubo? Sa, anch’io ho dei figli piccoli. Succede.»

«Non era un incubo», ribatté Vera. «Dobbiamo scavare qui. Se mia figlia ha ragione, lei sa che cosa troveremo.»

«Sì, signora.»

«Abbiamo bisogno della polizia. Se mio marito è… è meglio ci sia un poliziotto come testimone.»

«Senz’altro, signora.»

«Avete delle vanghe?» chiese Vera.

Washington sembrò restio a rispondere. «Be’, le abbiamo», rispose alla fine, senza entusiasmo.

«Qualcosa non va?» chiese Vera.

«Signora, ho per lei una profonda simpatia», replicò l’uomo, «ma la cosa è, come si suoi dire, irregolare.»

«Ah, il libretto dei regolamenti», ironizzò la Neuberger.

«Sì, signora. Non posso impiegare degli uomini per questa faccenda delle visioni. Devo avere qualcosa di effettivamente evidente.»

Vera divenne chiaramente agitata. «Annie ha già avuto ragione altre volte», scattò. «Mio marito è scomparso. Nessuno l’ha visto. Ci aiuti, per carità. Sarò io stessa a scavare. Mi dia solo una pala e rimanga come testimone.»

Washington, diviso tra la compassione e la burocrazia, sospirò e si concesse una breve pausa per riflettere. «Non voglio interpellare il mio capo», spiegò, «perché non sarebbe mai d’accordo. La sola cosa che posso fare è lasciar qui un paio di uomini e ripassare a prenderli domani. Io non posso rimanere.»

«Incorruttibili sbirri», brontolò la Neuberger. Washington fece finta di non sentirla.

«Ma se troviamo qualcosa», disse Vera con la voce che le tremava all’idea del corpo di Harry sottoterra, «lei non si sentirebbe uno sciocco a non essere rimasto?»

Washington ci rimuginò su un attimo. Non aveva pensato a quella possibilità. «Be’», ammise, «potrebbe esserci qualche grana.» Seguì una lunga pausa, carica di tensione. «Forse un modo c’è per cui potrei giustificare di aver lasciato qui un uomo.» Gli era venuta un’idea, un diversivo tattico che aveva usato in precedenza. «Potrei dire che la bambina necessitava di protezione contro eventuali profittatori della faccenda…»

«Naturale!» concordò la Neuberger. «Potremmo rovinarla, torturarla.»

«Ritengo che questo potrei spiegarlo», proseguì Washington, pensando a voce alta. «Anzi, potrei addirittura restare io stesso, ma senza collaborare. Dovremmo solo osservare e basta.»

«Sì, naturalmente», annuì Vera.

Washington spedì un agente a prendere le vanghe.

Vera chiese a Elmer Greer di aiutarla a scavare. Greer, umiliato dalla propria precedente incapacità a essere di grande aiuto, accettò subito. Il sergente Washington si sentì un intruso, ma permise ai suoi uomini di illuminare con le grosse torce della polizia la scena.

Vera e Greer iniziarono a scavare subito dopo le 23.30.

L’aria era ancora satura di umidità. Tutti quanti attorno al gruppetto respiravano con difficoltà, risentendo dell’umidità. E la temperatura cominciò ben presto ad abbassarsi rapidamente. L’aria umida penetrava nelle ossa, quasi a sottolineare l’atmosfera livida e spettrale già creata dalle torce. Un televisore dall’Empire era sintonizzato a tutto volume su una replica del Tenente Colombo e la Neuberger, al di sopra del rumore delle vanghe che affondavano nel terreno, udiva chiaramente la voce di Peter Falk.

Per un po’ nessuno fu molto loquace. Tutti, Annie compresa, osservavano i due che scavavano. La lontana, animata eco del traffico sul Tappan Zee offriva uno stridente contrasto con quel sordo lavoro.

Era passato solo un quarto d’ora, quando Washington si fece avanti con un’aria colpevole sul viso. «Lasci fare a me, signora», pregò. «Non è giusto. Infrangeremo un pochino i regolamenti.»

«Ma no, ce la faccio benissimo», rispose Vera.

Ma Washington vedeva la sua faccia pallida e spaventata. Tra la confusione generale, ossessionato dai regolamenti di polizia, il sergente non aveva pensato che in realtà Vera stava scavando per cercare il corpo del marito.

«Dia a me, signora. La prego, si metta là a sedere.» Con dolcezza, le tolse la vanga di mano.

«Grazie», sussurrò Vera, e Washington poté scorgerle gli occhi luccicanti di lacrime.

Il sergente affondò la pala nel terreno, tirandone su tre o quattro volte di più di quanto fosse stata capace Vera. Il suolo era duro e l’umidità lo rendeva ancora più pesante. Elmer Greer si arrese e fu sostituito da uno degli uomini di Washington.

Un radiomessaggio gracchiò nella ricevente dell’auto di Washington e fu distintamente udito dal punto dello scavo. Il poliziotto tornò lentamente alla macchina e rispose spiegando che stava ancora «analizzando» la situazione al motel.

La fossa raggiungeva la profondità di quasi un metro e mezzo.

Washington era zuppo di sudore da capo a piedi. Scavava per accontentare Vera, convinto tuttavia che non ne sarebbe uscito niente. «Signora», disse, «chiunque seppellisca un uomo in un bosco come questo, normalmente non scaverebbe così a fondo, sa?»

«Lei non crede che Harry sia lì sotto?» chiese ingenuamente Vera.

«Signora, non so dove sia. Ma non penso proprio che si trovi qui sotto.»

Vera sospirò profondamente, dolorosamente, poi chinò gli occhi su Annie, che era seduta su una coperta, mezza imbambolata dal sonno. «Tesoro, tu che cosa ne dici?»

«Papà è lì», rispose la bimba.

«Ne sei certa?»

«L’ho visto, mammina.»

Washington e l’agente si scambiarono un’occhiata scettica, che non sfuggì a Vera.

«Non so che cosa dire di più!» esclamò questa. «Vi sono grata di quanto state facendo, ma non posso chiedervi di aiutare se pensate che è inutile.»

La Neuberger intervenne bruscamente. «Io a questa piccola credo», affermò decisa. «Lavorerò io.»

«Non glielo permetterei, signora», replicò pacatamente Washington.

«Dobbiamo scavare ancora», riprese la psicanalista. «Dobbiamo avere la certezza. Una normale fossa è profonda circa due metri. Forse questo assassino era un perfezionista. Sì, ne ho visti altri del genere.»