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«In che modo?» domandò Vera.

«So che ci sono psicologi che, dopo aver tentato inutilmente tutto, ricorrono a macchine per scoprire le bugie.»

«La macchina della verità?» chiese Ned.

«Esattamente. Con certa gente spregevole dobbiamo adeguarci. Voglio che Vera si sottoponga a una di quelle prove.»

«No!» obiettò subito Ned.

«Perché dice di no?»

«Non permetterò che Vera si sottoponga alla prova della macchina della verità. Come avvocato, posso dirle che quegli strumenti sono affidabili solo all’ottanta per cento, il che per me non è sufficiente. Persone che dicono la completa verità, spesso risultano bugiarde. Niente da fare.»

Vera sollevò lentamente la testa. «Io sono disposta, invece», affermò tranquilla.

«Ecco!» esclamò la Neuberger. «Lei sì che ha coraggio.»

«Spiacente!» insisté Ned. «Adesso parlo come avvocato della famiglia. Sono io che decido che cosa fare o non fare.»

Ci fu un nuovo lungo, pensoso silenzio. La Neuberger era chiaramente scontenta. «Allora», domandò poi, «come facciamo a vedere dove sta la verità?»

La risposta non era facile e le due donne guardarono Ned. Evidentemente si era nel suo campo specifico. «Vede», disse lui, «questo mi spiace. Dottoressa Neuberger, ho cercato di vedere le cose dal suo punto di vista e nutro un grandissimo rispetto per lei. Ma mi sorprende e mi turba che lei possa dubitare di Vera con tanta facilità.»

«Non dubito per niente», ribatté la Neuberger. «Badi bene, questa famiglia mi piace. Ma che piaccia a me, conta poco.»

Di nuovo Vera cercò di calmare le acque. «Non essere in collera con la dottoressa Neuberger», disse a Ned. «Posso capire quello che prova. Queste donne bisogna affrontarle direttamente. Le loro calunnie vanno controbattute.»

«Le controbatteremo in tribunale», disse Ned cupo.

«Potrebbe essere troppo tardi», obiettò la psicanalista.

«Non c’è altro modo», disse Ned. «Quelle mentono. Hanno montato una congiura. È quasi impossibile smentire una campagna così subdola. Ma metto la gente sotto giuramento, la sottopongo a un controinterrogatorio stringente e vedrai che le contraddizioni saltano fuori, eccome.»

Ma Vera era preoccupata per la Neuberger. «Per quanto riguarda lei, qual è il suo parere?»

«Una gran confusione», rispose la dottoressa. «Vera, cerchi di capire che sono stata tradita molte volte. Devo essere prudente. Ma non l’abbandonerò per i pettegolezzi di altre femmine. Finora lei non ha fatto niente per cui potessi sospettarla. E verso Annie ho degli obblighi. Rimango al vostro fianco… a meno che non venga provato che le cose siano tutte a suo netto sfavore.»

Il fatto che la Neuberger non le lasciasse sollevò molto Vera. Adesso, i sospetti che fosse stata lei, Vera, a fare fuggire Harry sarebbero tornati a galla, si sarebbero dilatati in qualcosa di molto peggio. Giornalisti come Larry Birch non ci avrebbero creduto tanto facilmente. Ma Simeon, era evidente, la considerava come una sospetta. Vera non riusciva a immaginare nessuna delle proprie amiche coinvolta in tali mostruose menzogne.

I cronisti meno responsabili diedero ascolto alla campagna di calunnie e la trasformarono in un’orgia di articoli scandalistici, attenti a evitare il reato di diffamazione, ma abilissimi a introdurvi quel pizzico di malizia che fa vendere i giornali e rovina la reputazione. Un cronista iniziava così il suo pezzo:

Le autorità hanno oggi preso in esame la possibilità che Vera McKay, vedova dell’ucciso Harry McKay, assicuratore a Tarrytown, possa saperne di più, di quanto finora abbia ammesso, in merito alla sparizione del marito. Quelli che una fonte assai attendibile, vicina agli ambienti del procuratore distrettuale, definisce come «nuovi e inquietanti» indizi a carico di Mrs. McKay, sono emersi in questi ultimi giorni. Pur rifiutando di scendere in particolari…

La fonte attendibile vicina agli ambienti del procuratore distrettuale, così come ogni smaliziato lettore poteva intuire, era il procuratore distrettuale stesso.

S. Richardson Tremont amava essere il P.D. della Contea di Westchester. Era il coronamento di un sogno nato con lui, vagheggiato per lui dal padre, eminente avvocato penalista. Avendo raggiunto il traguardo, Tremont non nutriva ulteriori ambizioni. Voleva soltanto mantenersi la carica e ciò significava l’accumulo di un più che pingue record di incriminazioni, essenzialmente nei casi importanti. Lo zelo di Tremont era sostenuto da un’innata sfiducia nel prossimo che gli rendeva facile pensare il peggio quasi di chiunque. Le dicerie su Vera trovarono subito una vasta eco in lui.

Tremont aveva la pelle olivastra, con i pori molto dilatati, e la bocca leggermente storta, dovuta a una brutta protesi dentaria. Vestiva senza badare a spese, ma i vestiti che portava non sembravano mai fatti su misura per il suo metro e settantacinque. I capelli crespi, ribelli al pettine, si arruffavano al minimo soffio di vento.

Appena informato dalla polizia di Tarrytown delle telefonate anonime, Tremont convocò una conferenza stampa e dichiarò che il caso McKay aveva subito una svolta decisiva. Seduto alla scrivania nel suo sobrio ufficio, si autodefiniva il procuratore distrettuale del popolo, espose i motivi che lo portavano a una simile conclusione.

«Queste nuove fonti sono credibili», disse ai giornalisti. «Non sono false. Non provengono da persone animate da spirito di vendetta. Ne sono molto preoccupato.»

«Secondo lei, perché sono venute fuori tutte assieme in una volta?» chiese un cronista.

«Tormento intimo», rispose Tremont.

«Tormento intimo?»

«L’ho già sperimentato in altre occasioni. Gente che conosce i protagonisti di un caso vede che le cose non vanno nel verso giusto. Vede che un colpevole sta per cavarsela, o che sta per diventare un eroe. La gente si parla, si consulta e concorda di farsi avanti. È così che otteniamo alcune delle nostre migliori informazioni.»

«Può citarci altri casi dove è successo così?» domandò un altro giornalista.

«Dovrei controllare gli archivi.»

«Dicky», intervenne una terza reporter, chiamandolo con il diminutivo usato dagli amici di Tremont, «quando vedremo queste donne?»

«Nessuna anticipazione al riguardo. Sono considerate testimoni essenziali, secondo la procedura. Sono coperte dal segreto istruttorio, per ora.»

«I sospetti su Vera McKay si estendono agli episodi in cui è coinvolta la figlia?»

«Quei cosiddetti fenomeni psichici?» chiese Tremont alla giornalista.

«Esatto.»

«Naturalmente, sì. Mi sono sempre soffermato su certi fatti. Uno dei miei primi casi riguardava una donna la quale pretendeva che sua figlia fosse in contatto con i defunti. Dava a noleggio la bambina alle vedove inconsolabili. E anche nel caso in esame c’è qualcosa di affine.»

«In che senso?»

«Lasciamo perdere. Devo cautelarmi prima di un processo. Ma stiamo controllando la possibilità che la madre abbia istruito la ragazzina per quelle faccende. Stiamo cercando di scoprire perché. Ne saprò di più tra breve.»

«Puoi fare qualche accenno, al momento attuale, circa la tua opinione, Dicky?»

«In via confidenziale», dichiarò solennemente Tremont, «stiamo lavorando sulla teoria che Mrs. McKay possa essere stata coinvolta con qualcun altro. Ora, è possibile che i due siano in attrito. Mrs. McKay, temendo che il suo antico complice la lasciasse nei guai, potrebbe avere indotto sua figlia a inscenare l’affare delle visioni, ivi compreso il ritrovamento della tomba. Poi si atteggia a madre affranta e innocente di una figlia benedetta dal Cielo. Premetto però che questa è solo una teoria.»

La teoria era stramba e ogni giornalista lì presente lo sapeva. Sapeva anche che Tremont credeva ad ogni parola che pronunciava. Non che fosse cattivo. Però aveva un concetto della natura umana in base al quale giudicava Vera in un modo ancora più severo di quello del più velenoso dei giornalisti.