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«Ha qualche prova concreta su tutto questo?» domandò uno scettico cronista.

«Francamente no. Stiamo mettendo assieme, con logica, tutti i pezzi, sperando che le prove si concretizzino. Ho avuto molte intuizioni durante la mia carriera e ritengo assai fondata quella attuale.»

La conferenza stampa era finita. Larry Birch, che era rimasto in fondo all’ufficio di Tremont e non aveva fatto domande, era turbato. Vedeva che i giornali stavano montando un processo e sapeva che non poteva fare niente per impedirlo.

I suoi timori si avverarono rapidamente. Attraverso commenti di fonti non nominate, mediante fantasiose ricostruzioni, i giornali dipinsero Vera come una donna ambigua, probabilmente bugiarda, dal futuro incerto.

Annie era descritta come una bambina che poteva senz’altro essere stata «plagiata» e la Neuberger come una psicanalista che recitava con zelo una parte. Nessuno, naturalmente, formulava accuse dirette. Ma le subdole insinuazioni, il continuo dubitare di queste persone e delle loro motivazioni erano altrettanto dannosi.

Tremont sospettava, ma voleva le prove.

Squadre di agenti setacciarono la zona dov’era stato trovato il corpo di Harry, anche con l’aiuto di bulldozer. Si scavò un intero acro, come se la polizia stesse cercando qualche reperto archeologico. Era l’arma del delitto che volevano. Intervennero anche esperti in costruzioni che frugarono parte dell’impianto di fognatura e le fondamenta del ponte di Tappan Zee.

Altre squadre, armate di mandati di perquisizione, si concentrarono sull’auto di Harry McKay e sulla sua casa.

All’improvviso, in un secco e torrido pomeriggio, con il sole ancora alto nel cielo, esplose una febbrile attività attorno al garage di Vera McKay. Gli agenti della squadra di Simeon stavano frugando il posto e uno di loro si precipitò all’autoradio e chiamò d’urgenza il comando. Dopo qualche minuto apparve Simeon, cupo e teso. Vera e la Neuberger videro dalla finestra che davanti alla casa si stava fermando un’altra macchina, con la scritta reparto medicina legale — polizia di tarrytown. Nessuna delle due donne ebbe la minima idea di che cosa stesse accadendo.

Poco dopo Simeon suonò il campanello della porta e Vera andò subito ad aprire.

«Posso parlarle, signora?» chiese il detective.

«Certo», rispose Vera.

Simeon entrò. «Forse le converrebbe far venire qui Mr. McKay», suggerì.

«Perché?»

«Be’, è il suo avvocato.»

«Sta lavorando», ribatté Vera. «Non voglio disturbarlo in questo momento.»

«Allora potremmo combinare un appuntamento», propose Simeon.

Guardò Vera con un’espressione che, più che scetticismo, rivelava un sottile disprezzo mai dimostrato in precedenza.

«Voglio sapere a quale proposito», insisté Vera.

Simeon esitò, cercando di fornirle una risposta adeguata e nello stesso tempo burocraticamente idonea. «Non è escluso che debba affrontare nuovi problemi.»

Vera arretrò istintivamente, come per difendersi. «Quali problemi?»

«Signora, non credo sia possibile discuterne senza che lei abbia l’assistenza di un legale.»

Vera guardò alle spalle di Simeon. La porta era ancora aperta e lei scorse distintamente un poliziotto che stava dirigendosi alla sua auto con in mano un sacchetto di plastica, contenente un oggetto pesante. «Che cosa stanno portando via?» domandò.

Simeon scosse la testa. «Mrs. McKay, non si ostini. Lei deve avere un avvocato.»

«E se non posso disporre subito di Ned?»

Simeon sbirciò l’auto della sezione di medicina legale, che stava partendo in quel momento. «Facciamo così», disse, «devo fare un salto al laboratorio. Che cosa ne dice di telefonare da lì a Mr. McKay e trovarsi sul posto?»

«D’accordo», rispose Vera, con calma. «Ma voglio che mi dica che cos’hanno portato via dal mio garage.»

Simeon la fissò dritto negli occhi, uno sguardo freddo e sicuro. «Signora», ribatté, «penso lo sappia benissimo anche lei.»

Il laboratorio della polizia era in un edificio di mattoni, a un piano, in una strada di campagna nella zona nord di Tarrytown. Simeon vi portò il suo reperto e vi rimase per quattro ore, ordinando al proprio ufficio che la sua presenza lì o altrove non doveva essere comunicata ai giornalisti. Durante la sosta al laboratorio fece diverse telefonate a Tremont, che si barricò nel proprio ufficio, disdicendo ogni impegno. Un’atmosfera di attesa gravava sia sul laboratorio sia sull’ufficio del Procuratore Distrettuale.

La fonte di tutto ciò era un martello.

Uno degli agenti di Simeon lo aveva scoperto, notando che presentava sulla sua superficie macchie marrone scuro. In quel momento i tecnici stavano esaminando ogni millimetro dell’oggetto, prelevandovi particelle di terriccio, una parte di capello umano e le macchie incrostate. Il martello venne cosparso di polvere per le impronte digitali e la sua superficie contundente fotografata sotto un potente microscopio. Quando l’esame fu completato, il martello fu sigillato in una scatola di plastica e restituito a Simeon. Il detective telefonò a Ned McKay, gli disse che occorreva urgentemente un incontro, presente Vera, e ne concordò l’ora.

Simeon disse a Ned che l’incontro sarebbe stato traumatizzante.

L’indomani Simeon, Ned e Vera si trovarono a casa di lei. Annie era stata mandata a giocare a casa dei Moran. Simeon permise a Marie Neuberger di presenziare, data la sua qualità di consulente medico di Vera. Il detective era anche accompagnato da un collaboratore, un giovane agente della Omicidi. Il giovanotto aveva con sé il martello, ancora sigillato nella sua scatola.

L’atmosfera era tesa ed elettrica, con Vera che ormai si affidava interamente a Ned e con Ned fornito di carta, penna e un piccolo registratore.

Né Vera né Ned sapevano che il Procuratore Distrettuale Tremont aveva già indetto una conferenza stampa per l’ora successiva e aveva informato i mezzi di comunicazione che era in procinto di rilasciare una dichiarazione di importanza decisiva.

Simeon sedeva a disagio su una grande poltrona di fronte a Vera, che, come d’abitudine, si era sistemata su un angolo del divano, con Ned all’altra estremità. La Neuberger e l’aiutante di Simeon stavano su sedie prese in cucina.

«Mrs. McKay», esordì Simeon, «sono certo che lei si rende conto che questa è un’indagine ufficiale di estrema gravita.» La voce era esitante e sommessa. «Desidero sottolineare che qualsiasi cosa lei dica può essere usata più tardi contro di lei.»

Vera guardò Ned.

«Mrs. McKay se ne rende conto», rispose lui. «Dal momento che ovviamente non ha niente da nascondere, la sua premessa non significa molto.»

«Bene», disse Simeon meccanicamente. «Ora, Mrs. McKay, il soggetto di questo nostro incontro è un oggetto trovato nel suo garage.»

«Che cos’è?» domandò Vera.

«Un martello.»

«Eh?»

«Lei possiede un martello, vero, signora?»

«Sì. Naturalmente.»

«Lo usa, Mrs. McKay?» Era una domanda strana e Simeon, nel formularla, la scrutò negli occhi, cercandovi il minimo segno di nervosismo.

«A volte», rispose Vera. «Molte piccole riparazioni le faccio io stessa.»

«Naturale.»

«Che cos’è tutto questo interesse per un martello?» chiese lei.

Simeon, prima di rispondere, fece una pausa a effetto, per cercare di esasperare la tensione. Fissò Vera, poi Ned, poi la Neuberger e di nuovo Vera. «È stato usato per uccidere suo marito», disse alla fine.

Lei si irrigidì. Si portò le mani al viso, poi girò di scatto la testa verso Ned.

Lui risultò non meno scioccato di Vera. «Questo come lo sa, signor Simeon?» chiese, trattenendo uno scatto d’ira.