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«Adesso devo proprio scappare.»

«Solo un minuto ancora, signore», insisté Birch. «Sembra che abbiate solo prove indiziarie indirette. In realtà non avete provato niente.»

«Molti casi sono basati su prove indiziarie indirette, che spesso sono le più risolutive, dipende dalle circostanze.»

«Non è che vi lasciate sfuggire troppo facilmente dalle maglie altri sospettati?»

«Non ci sono altri sospettati.»

Birch inarcò le sopracciglia cespugliose. «So da fonti vicine a lei che Mrs. McKay ha affermato che l’arma del delitto appartiene al cognato.»

«La McKay può dire quello che le pare», replicò Tremont. «Ned McKay non è e non è mai stato un sospettato, tant’è vero che gli ho appena parlato stamattina. È molto turbato per tutta la faccenda, specialmente per la sorte della bambina. È davvero un gran bravo zio, quell’uomo.»

Tremont salì in macchina e si dileguò.

Da quando aveva guidato Vera alla tomba di Harry, Annie non aveva più avuto altre visioni. Era diventata, perlomeno temporaneamente, il personaggio dimenticato di un dramma che le sue strane facoltà avevano creato. Eppure, nonostante l’età, era consapevole che qualcosa era andata spaventosamente male. Scontrosa, cercava di isolarsi, tentando persino di non farsi vedere da Vera e dalla Neuberger, che, entrambe, notavano la sua tensione e si preoccupavano.

Mentre Tremont stava illustrando alla stampa in che modo avrebbe sottoposto al gran giurì il caso della McKay, Vera, la Neuberger e Annie stavano facendo, in ritardo, colazione. La psicanalista cercava di passare insieme con la bambina il maggior tempo possibile, studiandola, analizzandola, tentando di aiutarla in quel periodo difficile. E voleva trovare la risposta alle domande che lei e Vera si erano poste, da quando il nuovo incubo era cominciato in quel breve tratto di terreno vicino all’Empire Motel. Dov’era adesso l’angelo protettore? Dov’era lo scudo soprannaturale che aveva salvato Vera dall’incendio e dagli incidenti, che aveva aperto la strada alla verità sulla sparizione di Harry? Perché permetteva che Vera fosse torturata in quel modo?

«Hai fatto qualche sogno ieri notte, Annie?» chiese la Neuberger, mentre la bambina addentava un toast.

«Sì», rispose lei, masticando.

«Raccontami com’era, allora.»

«Lo stesso sogno che ho avuto anche la notte prima», disse Annie. «La mamma se ne andava via, come papà, ma non era morta.»

«Capisco. E tu, mentre tutto questo succedeva, dormivi sempre?»

«Sì. Come la notte ancora prima.»

La Neuberger sondava la bambina per accertarsi che avesse avuto un sogno, non una nuova visione. Ora ne era sicura. «Questa volta la mamma dove andava?» le domandò.

Annie abbassò gli occhi.

«Devi dirmelo. L’altra notte hai detto che andava in un bosco. Anche questa volta nello stesso posto?»

«No», rispose Annie. «Il poliziotto, la portava via lui, come hanno detto alla TV.»

Vera si agitò. Aveva cercato di mantenere l’atmosfera di casa normale, per quanto possibile, di fronte alla dura prova che l’attendeva, ma Annie a volte aveva sentito i telegiornali, che inevitabilmente avevano parlato del probabile arresto di Vera, e aveva compreso fin troppo bene.

«La TV si sbaglia, tesoro», disse Vera tentando di rassicurarla.

«Però continuano a dire così», ribatté Annie. Guardò la madre, desolata. «Ti metteranno in prigione?»

«No», disse Vera, lottando per mostrarsi calma. «Annie, è tutto uno sbaglio.»

Allora intervenne la Neuberger. «Parlami ancora del sogno», chiese alla bambina.

«Non c’era poi molto altro.»

«Dimmelo lo stesso.»

«Mettevano in prigione la mamma e lei doveva indossare un vestito buffo, quello che una volta ho visto in un film. Mi venivano attorno dei bambini. Restavano qui davanti a casa e gridavano.»

La Neuberger vide le lacrime spuntare negli occhi di Annie. «Che cosa gridavano?»

Annie guardò Vera, quasi per scusarsi. «Gridavano: ‘Tua mamma ha ucciso tuo papà!’» Poi scoppiò a piangere, respinse la sedia così violentemente da farla quasi capovolgere e cercò di abbandonare la tavola.

Vera l’afferrò per un braccio. «Sono dei bugiardi!» proruppe, dimenticando che si trattava solo di un sogno. «Annie, io volevo bene a papà. Non lo sai?»

Ma la bambina, spaventata dalla reazione della madre, cercò di divincolarsi. «Lasciami andare!» gridò.

«No!» si ostinò Vera. «Non voglio che tu gli creda! È tutto un errore, Annie! Vedrai!»

«La lasci andare», l’ammonì, calma, la Neuberger. «Vuole restare per conto suo.»

Vera ubbidì e la bimba corse su per le scale e si sbatté dietro la porta della sua camera.

Negli occhi di Vera si riflettevano la paura e l’angoscia. «Sospetta di me», disse alla Neuberger con voce tremante, tormentandosi le mani.

«C’era da aspettarselo», spiegò pacatamente la Neuberger. «La mente infantile è facilmente influenzarle, ecco perché i bambini si fanno irretire da estranei. Lei deve aspettarsi dei problemi con Annie finché questa mostruosa menzogna non si dimostrerà falsa.»

«Se», mormorò Vera.

«Non ho capito. Che cosa, se?»

«Se sarà dimostrata falsa. Tutta quella gente è contro di me. Non riesco a sperarlo.» Vera era madida di sudore freddo. «Il martello è di Ned. So che è suo.»

Stava cominciando a divagare, senza concatenare troppo le idee, ma la Neuberger sapeva che era un bene, una specie di sfogo. Vera tacque, con gli occhi che saettavano intorno alla stanza, come se sospettassero di ogni cosa. «Lui sapeva che il martello è suo!» esplose poi. «Perché non l’ha detto? Ci vuole bene. Mi occorre un avvocato.»

Si voltò guardando un cassetto vicino all’acquaio della cucina, si alzò all’improvviso e vi si diresse. Dal piano di sopra arrivavano chiaramente i patetici singhiozzi di Annie. Vera aprì il cassetto e ne tirò fuori una busta. «L’ho avuta qualche giorno fa», spiegò alla Neuberger. «L’ho messa qui e non ci pensavo neanche più. Chissà dove avevo la testa.»

«Che cos’è?» domandò gentilmente la psicanalista.

«È di Mr. Birch del News. Da quando mi ha indirizzata a lei, credo si consideri mio consigliere permanente.» E rise, nervosa. «Ha un avvocato per me.»

«Dovrebbe intendersene», commentò la Neuberger. «È l’amico di tutti gli imbroglioni.»

Vera trasse la lettera dalla busta. Era scritta su carta del Daily News, macchiata di ditate lungo gli orli. Vera fissò il nome che Birch aveva battuto a macchina: elwood P. frain. Poi lui aveva aggiunto di suo pugno: «Se la Neuberger le va, questo signore le piacerà ancora di più. È il migliore».

«Voglio vedere questo tizio», dichiarò Vera alla Neuberger. «E al più presto.»

Fissò ancora la lettera, consapevole che la sua esistenza presto si sarebbe incrociata con l’illustre avvocato difensore Elwood P. Frain.

17

Occorsero solo quaranta minuti al gran giurì della Contea di Westchester per raggiungere una decisione sul caso del Popolo contro Vera McKay, iscritto a ruolo sotto il numero 63457. Un sorridente Richardson Tremont uscì dalla sala delle udienze, attraversò un corridoio coperto da una passatoia e raggiunse una piccola saletta per le conferenze, per leggere la seguente dichiarazione a un ansioso gruppo di cronisti:

«Il gran giurì ha rinviato a giudizio Vera McKay per l’assassinio premeditato del marito. Sono estremamente soddisfatto di tale decisione e credo che la macchina della giustizia stia procedendo nella direzione giusta. Mi riprometto di aprire il procedimento entro quattro settimane all’incirca e non ho dubbi sul suo esito».

Tremont gongolava. Larry Birch, nauseato, si rintanò in fondo all’atrio. Era il tipico comportamento da gran giurì, pensò, con i giurati che facevano esattamente ciò che il giudice istruttore aveva chiesto. Dopo la sua dichiarazione, Tremont posò sorridente per i fotografi. Segretari e giovani di studio fecero capolino nella saletta per gettare un’occhiata a quello storico evento e arricchire il bagaglio dei loro pettegolezzi.