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Ned McKay ricevette per telefono nel suo studio la notizia del rinvio a giudizio. I giornalisti piombarono da lui, sollecitando la solita dichiarazione di sorpresa e di contrarietà. Ned li ricevette e parlò senza consultare appunti, esponendo quanto, per una maggiore efficacia, aveva imparato a memoria.

«Sono turbato», disse, «da ciò che è accaduto questa mattina. Naturalmente mia cognata è innocente finché la sua colpevolezza non venga comprovata, ma l’idea che abbia potuto compiere quello di cui è accusata mi sconvolge. Non ho mai notato in lei nessuna tendenza criminale.

«La mia angoscia è in particolare rivolta a sua figlia Annie, che, in questi ultimi mesi, è passata attraverso così penose vicende. Farò tutto quanto è in mio potere per aiutarla in questa dura prova.»

Era una strana dichiarazione, priva di quella sdegnata difesa di Vera che tutti si erano aspettati. Birch non era andato nello studio di Ned, ma ne sentì i commenti dalla sua autoradio. Si avverava ciò che tante altre volte aveva visto: verdetto di colpevolezza, precipitoso e a furor di popolo.

Lo studio dell’avvocato Elwood P. Frain era degno di un re, ciò che lui riteneva appropriato alla sua posizione tra i luminari del foro. Perché Frain, a volte stigmatizzato per le sue eccentricità, era temuto dai colleghi per la sua smaliziata destrezza procedurale. Durante i trentaquattro anni della sua carriera aveva perso esattamente quattro cause, tutte e quattro riguardanti assassini la cui innocenza non sarebbe stata dimostrabile neanche da un dio.

Vera e la Neuberger erano sedute nel regale ufficio, in attesa che il Grande Uomo emergesse da una conferenza che si svolgeva in un antistudio. Vera era impressionata dall’arredamento. La scrivania di Frain era lunga due metri e mezzo, con il piano in marmo massiccio del Vermont, su cui spiccava un antico calamaio d’oro. Il telefono era placcato oro, la matita a scatto, lì a fianco, di puro platino. Il pavimento scompariva sotto un autentico tappeto rosso afgano, alto due centimetri e mezzo. Ogni armadietto, ogni scaffale erano un pezzo di antiquariato italiano. Anziché la tradizionale illuminazione di un ufficio, Frain si serviva di due lampadari di cristallo, di modello esclusivo, in vetro Steuben.

Di colpo, una pesante porta di quercia venne spalancata. Una figura irruppe di slancio nello studio. «Mrs. McKay, immagino», disse il nuovo venuto.

Vera lo guardò. «Sì», rispose piuttosto stupita.

«Eccomi qui ad assicurarle la libertà.»

Né Vera né la Neuberger credevano ai propri occhi. Era quello Elwood Frain?

Frain non superava il metro e cinquantacinque, aveva una rotonda pancetta prominente ed era completamente calvo. La faccia, che dimostrava tutti i suoi cinquantatré anni, era «decorata» da un paio di baffetti. Aveva gli occhi dal taglio leggermente a mandorla, che gli conferivano un tocco orientale, ma il vestito era decisamente in stile Ordine degli Avvocati di New York: gessato nero, con panciotto in tinta e orologio d’oro con catena con la chiave della Phi Beta Kappa, la più antica associazione universitaria americana, i cui membri eccellono per qualità accademiche. Il convenzionalismo, però, si arrestava all’altezza delle ginocchia. Frain calzava infatti stivaletti neri da cowboy.

«Mi spiace per quanto le è successo», dichiarò a Vera, precipitandosi a stringerle la mano e poi battendole paternamente sulla spalla. La voce era acuta, penetrante e sgradevole. «Lei è vittima di forze schiaccianti. Noi le sbaraglieremo.»

«Pensa davvero di riuscirci?» gli domandò Vera.

«Gesù non ha trasformato l’acqua in vino?» ribatté lui e andò a sedersi alla scrivania.

«C’è gente che sparla di me», precisò Vera.

«E di me!» replicò Frain. «E rincarerà la dose adesso che il suo avvocato difensore sono io. Ma ci ho fatto il callo e non me ne preoccupo assolutamente. Ecco come mi comporto.»

«Mr. Birch ha detto che lei è il migliore», ricordò Vera.

«Lo sono.»

«Mi piace questa sicurezza», commentò la Neuberger. «Lei mi assomiglia.»

«Ne sono lusingato, dottoressa. Mio fratello è medico a Los Angeles, oculista specialista in bambini. Una professione deliziosa. I suoi pazienti non muoiono e non migliorano mai.» Frain rise della propria piccola freddura. «Adesso», proseguì, «ho bisogno di qualche risposta da lei, mia cara.»

«Dica pure.»

«Ma dev’essere sincera con me. Un avvocato può aiutare soltanto se il cliente da informazioni precise e veritiere.»

«Non dubiti.»

«E io le credo. Allora, mi dica la verità, ha ucciso lei suo marito?»

Vera sussultò. «No, naturalmente», rispose con fermezza.

«Benissimo. Era una domanda inevitabile. Prassi ordinaria. Ha qualche idea su chi avesse potuto desiderare la sua morte?»

Vera esitò. «Non proprio», rispose con un sospiro.

Frain la fissò con attenzione, aggrottando poi la fronte. «Non posso assumere la sua difesa», l’ammonì,. «se lei tenta di ingannarmi.»

Ci fu un pesante silenzio, durante il quale Vera si rese conto che Frain era senz’altro capace di leggerle nel pensiero. «D’accordo», disse alla fine, «ma mi è difficile. Non voglio danneggiare qualcuno che potrebbe essere innocente.»

«Questo lo lasci giudicare a me», disse Frain. «Qui non possiamo mettere in galera nessuno. Non possiamo spedire nessuno a Sing Sing. Tutto quanto possiamo fare è parlare.»

Vera tirò un profondo sospiro. «Bene, non so perché, ma a volte mi viene l’idea tremenda che mio cognato, Ned… voglio dire, il martello con cui Harry è stato ucciso era suo. Ne sono certa. So che sembra assurdo…»

«No, non lo è. Caino non uccise Abele? Il più antico delitto noto all’umanità fu un fratricidio.»

«Ma Ned non aveva nessun motivo.»

«Lei questo non lo sa, quindi non lo dica. E poi non gliene serviva uno necessariamente.»

«Questo non quadra», disse la Neuberger.

«Ci sono molti delitti senza motivazione, delitti passionali. Delitti per contrasti insignificanti. E la maggior parte accade nell’ambito familiare o tra amici.»

Vera scosse la testa, sempre più smarrita. «Ma è stato sempre così buono con noi.»

«Be’, e che cos’altro si aspettava che facesse?» chiese Frain. «Che sventolasse una bandiera con su scritto che aveva ucciso suo fratello?»

Vera abbassò gli occhi, sentendosi tremendamente ingenua. «No», rispose sommessamente, soggiogata da Frain.

«Ora, che cos’altro le fa pensare che Ned McKay abbia eventualmente a che fare con questo atroce crimine?»

Vera gli parlò della visione di Annie, in cui Ned voleva ucciderla, e dei propri sospetti sul martello.

«La visione se la scordi», le ordinò Frain agitando una mano, sprezzante. «Potrei portare al banco dei testimoni, tutti in una volta, Mosè, Freud e Houdini, e nessuno crederebbe una virgola di quella faccenda. Dobbiamo attaccarci al concreto. Non dobbiamo dare l’impressione che lei sia fuori di testa.»

«Ma le visioni sono vere», intervenne la Neuberger.

«E con questo?» ribatté Frain. «La verità è in un processo quello che l’onestà è nel commercio delle automobili usate: una convenienza, non una necessità.» Ridacchiò. «I suoi sospetti su suo cognato si basano su quanto mi ha esposto ora?»

«Più o meno. Come ho detto, il martello…»

«La parola di Ned McKay contro la sua. Anche se trovassimo qualcuno che l’abbia visto usare il martello a casa, lui direbbe d’averlo preso in prestito da suo marito. È un punto morto.»