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«Quale legge?» proruppe Vera.

«La legge dello Stato di New York, signora. Prendendo la mia decisione sul presente caso, io ho tenuto conto della tensione cui lei sarà sottoposta durante il processo, della gravità dell’accusa contro di lei e dei precedenti medici e psichiatrici alquanto confusi di sua figlia. Peraltro, ho anche vagliato l’idoneità di Mr. McKay a prendersi cura della bambina durante il processo, la sua reputazione nella comunità e il fatto che lui abbia molto radicato il senso della famiglia.»

«Quale senso della famiglia?» domandò Vera con amarezza, ma già un po’ più calma.

«Ma… lui mostra chiaramente un vivissimo affetto per voi e soprattutto per Annie. Inoltre, questa corte ha esaminato il lavoro di legale che ha svolto per il patrimonio del fratello e lo ha riscontrato estremamente valido.»

«Ma la ucciderà!»

A quell’uscita, Brendel con un cenno impose agli uscieri di avvicinarsi a Vera, pronti ad afferrarla per le braccia. «Mrs. McKay», disse parlandole come a un bambino, «l’affermazione che lei ha fatto è gravissima. Credo convenga, e certo il suo avvocato ne converrà, che non esiste la minima prova che Mr. McKay voglia fare del male ad Annie.»

L’atteggiamento e l’espressione di Vera indicavano un odio puro. Girò attorno al banco, per raggiungere Brendel e affrontarlo direttamente. Fulminei, gli uscieri intervennero e l’afferrarono. Ancora prima che si rendesse conto di che cosa stava accadendo, Vera fu trasportata fuori dell’aula e trascinata in un’infermeria nel seminterrato, dove le fu prontamente somministrato un sedativo che la rese incosciente.

Frain rimase in aula, accasciato per la scena cui aveva appena assistito. Era quella la sua cliente, una donna che lui doveva tentare di difendere da un’accusa di assassinio; era evidente che la McKay non poteva più resistere alle enormi pressioni esterne. Come si sarebbe comportata durante il processo era un grosso punto interrogativo; una nube minacciosa che incombeva sui suoi piani. Pensò per un attimo di ricorrere in appello contro il verdetto di Brendel. Ma il comportamento isterico di Vera era ormai agli atti e qualunque giudice d’appello che ne avesse preso visione avrebbe emesso una sentenza sfavorevole.

Frain si alzò lentamente e andò da Ned per stringergli la mano. Ned alzò gli occhi, ma non tese la destra. «Preferirei non darle la mano», disse. «Mi sento tutt’altro che orgoglioso.»

«Capisco», rispose Frain. «Le telefonerò in studio per concordare la consegna della bambina.»

«Non c’è fretta», ribatté Ned. «Cerchi di rendere l’impatto il meno duro possibile per Vera, se ci riesce.»

Il giudice Brendel chiese ai due legali se avessero altro da sottoporre alla corte. Alla risposta negativa di entrambi, tolse la seduta.

Una cosa era sentenziare che Annie doveva stare con Ned, un’altra rendere operativa la sentenza.

Frain riportò a casa Vera nel tardo pomeriggio. Intontita dalla pesante dose di sedativo, continuava a piagnucolare: «Non me la porteranno via… no… no!»

La Neuberger la mise a letto, poi andò in camera di Annie e la trovò che giocava con una bambola che eseguiva passettini di danza. La bambina appariva notevolmente serena per essere passata attraverso tante traversie. Indossava un grembiulino rosa e aveva un nastro nei capelli e sembrava completamente immersa nel suo gioco.

«Annie», le disse la dottoressa. «Devo parlarti. Voglio che mi ascolti bene.»

«Okay», rispose la bambina.

«Tua mamma non si sente bene. C’è un uomo che decide quello che è meglio per i bambini come te. Lui pensa che forse dovresti andare a stare un po’ in casa di tuo zio Ned.»

Annie smise di giocare e fissò la Neuberger, terrorizzata. «No!»

«Ma è una bella cosa.»

«No. La mamma non vuole più bene allo zio Ned. E lui voleva uccidermi. Lo so!»

«Penso che dovrai andarci.»

Annie lasciò cadere la bambola, si alzò e cominciò a indietreggiare. «Non voglio andarci. Voglio restare qui. La mia mammina è qui.» Di scatto, infilò la porta e si lanciò verso la camera di Vera, spalancando l’uscio con violenza. «Mammina!» gridò a Vera che dormiva. «Svegliati, mammina.»

La Neuberger accorse, ma Annie già era riuscita a svegliare Vera, scuotendola. Ancora sotto gli effetti del sedativo, Vera appariva molto poco lucida, ma comprese le grida disperate di sua figlia.

«Mammina, zio Ned vuole uccidermi con una rivoltella! Mammina, non lasciare che mi portino da lui!»

Nonostante gli sforzi della Neuberger, Annie non desisteva. E, a mano a mano che l’effetto del sedativo si attenuava, Vera rientrò in crisi, chiudendosi poi a chiave in camera insieme con Annie.

Frain telefonò a Ned per dirgli della tempestosa reazione di Annie e chiedergli di riconsiderare la sua richiesta. Ned fu di tutt’altro parere. «La voglio qui», si ostinò e la mattina seguente ottenne dal giudice Brendel l’autorizzazione formale per l’immediato prelievo di Annie.

E così, mentre un’esausta Vera dormiva, due funzionari dell’Ufficio per l’assistenza infantile si presentarono in casa McKay, diedero ad Annie un dolcetto che conteneva un blando tranquillante e la portarono via, dicendole che, su richiesta di Vera, l’accompagnavano al parco dei divertimenti. La Neuberger assisté alla patetica scena. Aveva già sperimentato i capricci della legge e sapeva che sarebbe stato inutile opporsi.

Quando si rese conto di quanto era successo Vera scivolò di nuovo nell’apatia che l’aveva già invasa dopo la scoperta del cadavere di Harry. In stato letargico, più morta che viva, inerte e sorda a quanto le si diceva. Senza Annie e con Harry morto non valeva più la pena di continuare a esistere.

La sua unica speranza era nella propria rivendicazione al processo imminente.

19

«È un circo», scrisse Larry Birch, osservando la scena fuori del tribunale della Contea di Westchester a White Plains. «La gente di questa fiorente e compiaciuta provincia sembra avere trovato lo spettacolo dell’anno. C’è chi lo paragona apertamente alla saga di Lizzie Borden.»

C’era un po’ di esagerazione, ma non troppo. Nell’edificio di mattoni a due piani del tribunale erano confluiti più giornalisti di quanti mai si fossero occupati in precedenza di un processo nella Contea. L’atmosfera era di festa, ricca di aspettativa. Alcuni dei giornalisti erano commentatori televisivi noti in tutta la nazione e avevano immediatamente attirato il loro circolo di ammiratori.

«Tu che cosa pronostichi?» chiese Birch a un collega del New York Post.

«Colpevole», rispose quello.

«Perché?»

«Aumenta la tiratura. Chi se ne frega di uno che viene assolto?»

La stessa domanda Birch la rivolse a un cronista televisivo.

«Colpevole», fu la risposta. «Non c’era nessun altro.»

La risposta turbò Birch, perché anche lui si era soffermato su quell’aspetto. Le giurie, lo sapeva bene, spesso condannano un accusato perché sembra essere il solo possibile assassino.

Birch continuò il suo sondaggio, attraverso una folla eterogenea di spettatori fra cui impiegati che utilizzavano l’intervallo per il caffè e massaie in giro a fare spese. La sensazione predominante era che Vera fosse colpevole, con un’ampia percentuale di persone che disapprovava si fosse rivolta a una psicanalista «ciarlatana» dell’West Side. Alcune donne affermavano che il fatto di avere tolto a Vera la figlia era la «prova» della sua colpevolezza.

Elwood Frain entrò in tribunale con Vera. L’avvocato era magnifico, in un abito su misura dal taglio impeccabile, con panciotto di satin e stivaletti grigi di camoscio. Vera indossava un modesto tailleur blu scuro con camicetta bianca e portava grossi occhiali scuri per nascondere gli occhi gonfi.

Tremont fece il suo ingresso qualche minuto più tardi, destando meno impressione di Frain, ma largamente favorito al totalizzatore. La sua dichiarazione alla stampa si limitò a esprimere la speranza che giustizia era fatta e a sottolineare che il popolo, a Westchester, «non può lasciare impunito il delitto». Si abbandonò anche alla riflessione, espressa a voce alta, sul tipo di donna che era capace di privare la propria figlia del padre. Le sue parole suonavano tanto più convincenti proprio perché lui credeva a quello che stava dicendo.