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Birch entrò in aula per prendere posto nel settore riservato alla stampa. Si chiedeva quando avrebbe visto la prima dei testimoni segreti che avevano sparlato di Vera e che evidentemente erano l’arma principale nelle batterie di Tremont. Rimuginò sulla propria idea che quelle fossero in sostanza manovrate dall’esterno, come se facessero parte di una congiura. Sembrava un’ipotesi stiracchiata, e, comunque, assurda.

L’aula si riempì rapidamente fino a traboccare. L’anemico condizionatore d’aria era allo stremo e la temperatura sfiorava i ventisette gradi. Furono portati altri ventilatori per rinfrescare l’atmosfera rovente. Era come un processo dei vecchi tempi, quando la calura era più feroce del pubblico accusatore. Birch sapeva che il disagio rendeva più difficile la concentrazione dei giurati.

I colpi di martello echeggiarono sopra il brusio della folla, che li ignorò. Il martello risuonò ancora, e poi ancora, ma svogliato, diretto riflesso dell’uomo che sedeva al banco. Il giudice Melvin Watson era seccato e annoiato. Di lì a un anno sarebbe andato in pensione e si sarebbe dedicato a tempo pieno alla pesca. Era un uomo dall’aspetto mite, la cui pigrizia era leggendaria tra i giudici di Westchester. Gli avevano affidato il caso McKay perché non aveva altri impegni. Non aveva nessun particolare interesse al processo né tanto meno alle sue possibili conseguenze. Era un uomo, come una volta aveva scritto un cronista locale, che un giorno sarebbe morto senza lasciare nessuna traccia di sé.

«Silenzio in aula!» ordinò senza convinzione Watson. «Esigo silenzio.»

Alla fine la gente si calmò.

«Ha inizio il procedimento del Popolo contro Vera McKay», cominciò Watson. «So che al riguardo c’è stata parecchia pubblicità e che qualcuno si aspetta di assistere a un buono spettacolo. Io non organizzo spettacoli, quindi che ognuno si comporti doverosamente.»

La giuria era stata formata mediante una speciale selezione preprocessuale, un esperimento per accelerare la prassi, in modo che Watson poté passare direttamente alle dichiarazioni preliminari. «Ascolterò le eccezioni introduttive.»

Frain scattò in piedi. «Chiedo che l’accusa venga ritirata, vostro onore.»

«In base a che cosa?»

«In base al fatto che il procedimento, nei suoi termini, non ha ragione d’essere.»

«Respinto. Mr. Tremont, a lei.»

Tremont si alzò e avanzò lentamente verso la giuria, composta da otto donne e quattro uomini, tutti di mezza età. Si schiarì la voce e automaticamente si ravviò i capelli.

«Signore e signori della giuria», cominciò, «non è facile mandare una vicina in galera per tutto il resto della vita, ma non è neanche facile perdere un vicino per un brutale delitto. Il crimine merita la punizione e la punizione si adegua al crimine. Nei giorni che seguiranno dimostreremo che la donna che siede al tavolo della difesa, che asserisce di essere l’innocente spettatrice, la madre devota, la vedova affranta, è in realtà una cinica assassina che odiava il marito che l’amava tanto. Non fatevi fuorviare da appelli alla vostra compassione o pietà, perché costei non ha avuto compassione né pietà quando ha fracassato la testa di Harry McKay.»

Vera appariva composta, mascherando il tumulto interiore.

«È vostro dovere», proseguì Tremont, «fare in modo che giustizia sia fatta, che la società sia protetta. Tutti voi sapete che cosa accade quando i criminali sentono di poter sfuggire alla punizione. Lo vedete sulle strade di New York, ogni giorno. Fate in modo che non accada anche qui.»

Tremont aveva concluso e ritornò alla svelta al suo posto. La tirata era stata tipica di lui: incentrare l’accusa sui mali della società e predicare il collasso della legge e dell’ordine se non gli avessero dato retta. Larry Birch scrisse nei suoi appunti che Tremont sarebbe potuto benissimo essere un evangelista se fosse nato con una maggiore dose di fuoco e zolfo.

Prima di alzarsi Frain attese qualche attimo, sperando di creare attesa tra giornalisti e pubblico, ma più segnatamente tra i giurati. Finalmente si alzò in piedi, con un’espressione di esagerato stupore sul volto. «Signore e signori», iniziò, senza abbandonare il tavolo della difesa, «sono confuso.» Sorrise e sollevò le mani in un gesto di candore. «Io, nella dichiarazione preliminare del procuratore distrettuale, non ho sentito nominare nessuna prova contro la mia cliente. E voi?» Girò attorno lo sguardo, conscio che quel suo insolito esordio polarizzasse subito l’attenzione. «Non ho sentito nulla che mi indurrebbe a rinchiudere questa donna in un tetro e lurido carcere per il resto della sua vita. Qualcuno di voi ha sentito?»

Frain si allontanò leggermente dal suo tavolo, dando l’impressione di essere un ometto in minatura nell’immensa aula. «Amici miei», continuò, «stiamo parlando della vita di una donna, non di un’altra tacca sulla pistola del procuratore. Stiamo parlando di uno specifico, controverso dibattimento nella Contea di Westchester e non», guardò verso Tremont e sorrise beffardo, «del declino della civiltà occidentale. Non so neanche perché questa donna sia sottoposta a processo. Forse lo sa il procuratore distrettuale. Forse si degnerà di svelarvelo lui. Ma io so che lei è innocente. Amava suo marito, questo è un fatto. Oh, ci saranno le solite malelingue in giro a dire che non gli voleva bene. La bontà suscita sempre invidia, gelosia, persino odio.» Guardò intensamente i giurati. «Sapete bene come certe persone odino due coniugi felici.»

E quindi si sedette, bruscamente.

Watson fece un debole cenno verso Tremont. «Può chiamare i testimoni.»

Tremont si alzò di nuovo. Tradizionalmente, le testimonianze introduttive vertevano su argomenti di routine e tecnici: riassunto del crimine, relazioni di laboratorio, procedure di polizia. Ma Tremont aprì l’escussione dei testi d’accusa con una bomba.

«Chiamo Roberta Moran», annunciò a un’aula che subito ammutolì.

Tutti puntarono gli occhi su Vera, che restò sbalordita e si chinò verso Elwood Frain. «È la mia vicina di casa. A volte fa da baby-sitter ad Annie. Sua figlia gioca con la mia. È lei che ha telefonato a Ned la notte in cui Annie si è ammalata. Non riesco a crederci.» Provava l’impulso irrefrenabile di andare lei stessa a fronteggiare direttamente Roberta Moran.

«Ha mai avuto attriti con lei?» le chiese Frain.

«No.»

«A scuola, Annie è più brava di sua figlia?»

«Credo siano circa allo stesso livello.»

«Harry la conosceva?»

«Buongiorno, buonasera e basta.»

Frain si strinse nelle spalle. «Dovremo aspettare e sentire che cosa dice.»

Roberta Moran, con un aspetto più matronale del solito, si portò al banco, evitando accuratamente di guardare Vera. Il cancelliere le si accostò con aria svogliata. Lei posò la tozza mano sinistra sulla Bibbia.

«Giura solennemente di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?»

«Lo giuro», rispose la Moran.

«Si sieda.»

Tremont allora si avvicinò con passo scattante al banco dei testimoni. «Buon giorno, Mrs. Moran», disse.

«Buon giorno», rispose la donna, con una traccia di nervosismo nella voce.

«Per il verbale, vuole darci nome e cognome completi?»

«Roberta Harriet Moran.»

«È sposata?»

«Sì.»

«E abita due case più in là dell’accusata?»

«Esatto.»