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«Da quanto tempo è vicina di casa di Vera McKay?»

«Quando abbiamo traslocato lì tre anni fa, i McKay ci abitavano già.»

«Capisco. Come definirebbe i suoi rapporti con Vera McKay?»

«Siamo amiche. Ci vediamo alcune volte la settimana.»

«Un buon rapporto?»

«Cordiale… in apparenza.»

Vera si irrigidì di colpo a quella nota stridente.

«In apparenza?» domandò Tremont.

«Be’, sa, Vera era così tesa l’anno scorso che mi sentivo a disagio per lei.»

«Come descriverebbe questa tensione, Mrs. Moran?»

La Moran guardò Vera con un’espressione compassionevole, ma lei distolse lo sguardo.

«Be’», replicò la Moran, «non è facile parlarne…»

«Ci provi», insisté Tremont.

«Va bene. Vera e Harry non andavano d’accordo, capisce? Fingevano sempre il contrario, ma lei veniva sempre da me a lamentarsi del marito.»

Vera restò a bocca aperta per la sorpresa e l’indignazione.

«Di che cosa si lamentava, esattamente?» la incalzò Tremont.

Frain esplose: «Obiezione, vostro onore! Argomentazioni del genere si identificano con il pettegolezzo!»

«Obiezione respinta», brontolò Watson. «Risponda alla domanda, Mrs. Moran.»

«Be’, Vera, a dir poco, trovava che Harry era noioso. Tutto lavoro, capisce, e quando si dedicava alla famiglia, così diceva lei, sembrava dedicarsi quasi esclusivamente ad Annie.»

«Questo è tutto?»

«Evidentemente Harry non aveva una grande opinione di Vera. Perlomeno lei la pensava così. Sa, i McKay sono gente importante a Tarrytown e Vera, be’, non è che si ammazzasse in casa. E credo che i suoi commenti a proposito di altri uomini non migliorassero la situazione.»

«Sia più precisa, per favore.»

«Vera ha gli occhi lunghi. Mi spiace ammetterlo, ma è così. Avevo l’impressione che Harry lo sapesse. A Vera piaceva un amico di lui che lavorava alla Camera di Commercio.»

«E non ha mai dato seguito a queste… simpatie?»

«Non lo so.»

«Mi dica, Mrs. Moran, Mrs. McKay ha mai accennato a un suo interesse a divorziare da Harry?»

«Del matrimonio era insoddisfatta.»

«Voleva il divorzio, allora…»

Frain saltò su di nuovo. «Obiezione, obiezione! L’accusa sta influenzando la teste!»

«Obiezione accolta», stabilì Watson. «Stia attento, Mr. Tremont.»

Tremont annuì, avendo già raggiunto lo scopo e si rivolse di nuovo a Roberta Moran. «Mrs. Moran, Mrs. McKay non ha mai manifestato interesse a risolvere i suoi problemi matrimoniali?»

«Oh, sì.»

«In che modo?»

«Parlava di lasciare Harry e di portarsi via Annie, ma lei non è tipo da decisioni ferree, capisce? Aveva paura.»

Vera stava ormai fissando apertamente la Moran, quasi non volesse credere ai suoi occhi. «È una menzogna dietro l’altra», sussurrò a Frain. «Non c’è una parola di vero.»

Frain, accorgendosi della sua crescente agitazione, le mise una mano sulle sue, per tranquillizzarla. «Verrà il nostro turno», la rassicurò. Continuava però a scrutarla, preoccupato che lei non riuscisse a mantenersi calma.

«Non è vero», bisbigliò Vera. «Perché Roberta sta comportandosi così?»

Tremont continuò a battere il ferro. «Mrs. Moran», chiese, «se Vera McKay aveva paura di lasciare Harry, che cosa voleva fare, allora?»

«Oh, diceva di volergli parlare chiaro una volta per sempre, ma non lo faceva mai. Lui era così grande e grosso che lei aveva sempre paura di essere picchiata.»

«Nient’altro?»

«Be’…»

«Vada avanti.»

«A volte si dicono certe cose senza averne l’intenzione.»

«Tutta la verità, Mrs. Moran.»

Roberta Moran sbirciò di sfuggita in direzione di Vera. «Una mattina», riferì con un sospiro e un’espressione virtuosa, «Vera è venuta da me dopo che le bambine erano andate a scuola. In quell’occasione mi ha detto, più decisa che mai, quanto odiasse Harry. Ha detto…»

«Sì?»

«Ha detto: ‘Come vorrei che ci fosse qualcuno che lo facesse fuori’.»

Putiferio in aula.

Giornalisti che abbandonavano l’aula precipitandosi a telefonare per riferire quella testimonianza schiacciante. Spettatori che rumoreggiavano.

Frain, livido, si alzò ancora una volta. «Obiezione, vostro onore! L’affermazione è irrilevante e ingannevole. Molta gente dice cose che non pensa, dettate solo da impulsi emotivi del momento. La giuria non dev’essere influenzata…»

«Obiezione respinta. Proceda, Mr. Tremont.»

«Vostro onore», dichiarò il procuratore distrettuale, «non ho altre domande.» Guardò Frain. «A lei la teste», disse e quindi ritornò, trionfante, al proprio posto.

Larry Birch osservò attentamente Frain, domandandosi in che modo il maestro avrebbe controbattuto l’offensiva sferrata da Tremont proprio all’apertura del dibattito. Lo stesso Birch era profondamente scettico su Roberta Moran, insospettito dal suo comportamento da robot programmato: gli sembrava imbeccata. Scrisse sul taccuino che «la teste iniziale sembrava troppo perfetta, troppo ideale per l’accusa per essere attendibile. Pare uscita da un film di Hollywood, o da una vecchia commedia».

L’attenzione si concentrò sul Elwood Frain che si era alzato lentamente e si avvicinava al banco dei testimoni. Per un attimo rimase muto, limitandosi a fissare negli occhi un’ansiosa Roberta Moran.

«Buon giorno, Mrs. Moran», le disse in tono cupo.

«Buon giorno.»

«Mi consenta di porle una domanda, signora», proseguì Frain, soppesando ogni parola. «Lei ritiene che una donna che voglia uccidere il proprio marito andrebbe in giro a raccontarlo a tutti?»

Tremont balzò in piedi. «Obiezione! La domanda è capziosa!»

«Obiezione accolta», concesse Watson.

Frain sospirò. «Ritiro la domanda. Con la teste ho finito.» Tornò al suo posto. La domanda, non inserita a verbale, non si sarebbe però cancellata dalla memoria dei giurati.

«Questo è tutto il suo controinterrogatorio della teste?» gli chiese Watson.

«Sì, vostro onore, per il momento», rispose Frain.

Watson fece spallucce e fece cenno a Tremont di chiamare il teste seguente. Tremont si alzò. «Chiamo Lily Singleton.»

Vera era senza parole.

«Chi è?» le domandò Frain.

«La presidentessa dell’Associazione genitori-insegnanti. Lavoriamo assieme. È sempre in contatto con me. Era al party di Annie, quando è uscita dalla clinica.»

«Ha litigato con quella?»

«Mai.»

«Ne è sicura?»

«Mai.»

«Ha qualcosa contro di lei?»

«Non credo.»

Lily Singleton raggiunse con deliberata rapidità il banco e prestò giuramento come se fosse roba di tutti i giorni. Era l’immagine di un’organizzazione, di un dinamismo, di un’efficienza incredibili. Il morbido, lucente completo pantaloni di velluto era fuori luogo nell’aula, ma lei non se ne curava. Era l’ultima moda di Westchester e tanto bastava.

«Le sue generalità, signora?» le chiese Tremont.

«Lily Susan Singleton», sillabò la voce autoritaria, quasi metallica.

«Indirizzo?»

«Quattro sedici River Lane, Tarrytown.»

«Posso chiederle il suo rapporto con l’accusata?»

«Oh, conosco Vera McKay da circa tre anni. Lavoriamo assieme nell’AGI, che presiedo da due anni consecutivi.»

«A suo merito», commentò Tremont. «Mrs. Singleton, come descriverebbe Vera McKay?»

«Vera è sempre stata una delle nostre migliori collaboratrici», rispose la Singleton. «È competente ed efficiente. Le è sempre piaciuto lavorare per la scuola, diceva che la distoglieva dai suoi problemi.»

«Quali problemi, Mrs. Singleton?»

«Quelli che aveva con Harry.»

Vera la fissò. «È una menzogna!» esplose, questa volta abbastanza forte da essere udita da tutti.