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Il dibattimento continuò per due buone giornate interrotto soltanto da qualche testimonianza su aspetti tecnici. In una il detective Simeon esibì il martello trovato nel garage di Vera McKay. Frain tentò di sottolineare che il martello poteva esserci stato messo di proposito e poteva anche non essere appartenuto a Vera, ma persino lui intuiva che una marea prorompente stava salendogli contro. In effetti risultava che molti di coloro di cui Vera si era fidata per anni le si erano rivoltati contro. Mentivano, gli aveva detto lei. Ma chi poteva saperlo? Perché avrebbero mentito così in tanti?

Il terzo giorno scoppiò un’altra bomba.

«Chiamo Frances Crawford», proclamò Tremont.

Vi fu un immediato rumoreggiare nell’aula, punteggiato da esclamazioni di stupore. Frances Crawford, una rotondetta cinquantenne, era la moglie del reverendo Milton Crawford, uno degli ecclesiastici più stimati di Tarrytown e il più anziano proprietario terriero del posto. Che Frances Crawford potesse deporre per l’accusa sembrava impossibile. Quell’affabile, paciosa, artritica donna che cosa mai poteva conoscere che fosse disposta a usare contro una parrocchiana, una componente di una famiglia di vecchio ceppo?

Dopo i preliminari, quello che Frances Crawford sapeva diventò palese.

«Ha avuto un incontro con Mrs. McKay qualche mese prima che il marito scomparisse?» domandò Tremont alla moglie dell’ecclesiastico.

«Sì.»

Vera, stupefatta per la presenza della Crawford, restò seduta scuotendo la testa, una reazione che le era divenuta abituale durante gran parte delle deposizioni. «Non è vero», disse a Frain che a sua volta si era ormai abituato alla frase. «La conosco appena.»

«Ci descriva l’incontro», disse Tremont.

Mrs. Crawford si tormentò le mani, tentando di tirarsi le dita gonfie e irrigidite. «Be’», rispose, «Mrs. McKay mi ha telefonato, era agitatissima, e mi ha chiesto di riceverla.»

«Le ha precisato la ragione?»

«Oh, più o meno. Ha detto di avere un problema, un problema di coscienza. Le ho chiesto perché non si rivolgeva a mio marito e mi ha risposto che non credeva che lui avrebbe capito, mentre io sì, invece. Allora l’ho invitata a venire da me, senz’altro.»

«E Mrs. McKay che cosa le ha detto?»

Mrs. Crawford sospirò e scosse la testa, come fosse rattristata per quello che doveva rivelare. «Mi ha confessato che si era messa con un altro uomo.»

Di colpo Vera saltò in piedi, rovesciando una pila di carte sul tavolo della difesa. «È una menzogna!» La sua voce echeggiò per tutta l’aula. «Lei mente, come tutte le altre!» Frain tentò di afferrarla, ma lei si girò e lo colpì in viso con il pugno sinistro, un colpo che ebbe molto più effetto sulla gente in aula che non su Frain. Tuttavia l’avvocato piroettò su se stesso, facendo accorrere i suoi collaboratori.

«Tutto quanto qui è un’ignobile commedia!» gridò Vera.

Si scatenò il caos, mentre gli uscieri accorrevano per fermarla. «Non osate toccarmi!» gli ringhiò Vera. E questa volta tornò a sedersi, crollando con la testa sul piano del tavolo e singhiozzando.

Watson batté a più riprese il martelletto, con poco successo.

Frain, con un livido sulla faccia, era seduto su una sedia vicino al tavolo della difesa e scuoteva la testa perché era tutto intontito. Un’infermiera di servizio accorse al suo fianco, ma lui coraggiosamente la congedò con un cenno, per difendere il proprio prestigio e la propria dignità.

Larry Birch non si era perso niente della scena ed ebbe la certezza di avere assistito al naufragio di qualsiasi possibilità di salvezza per Vera. La sua attenzione, però, non era puntata su Vera, o su Frain e nemmeno su Tremont, ma sulla teste. Ecco lì, pensava, la moglie di un sacerdote, una donna che asserisce che Vera era andata da lei per avere guida e conforto. Eppure, davanti al suo tormento, se ne resta seduta sul banco dei testimoni, limitandosi a guardare freddamente, priva di qualsiasi espressione, la sua vittima. Come se Frances Crawford fosse una specie di macchina.

Frain, malfermo sulle gambe ma indomito, ritornò al tavolo della difesa. Da buon attore quale era, il suo primo atto fu di preoccuparsi di Vera.

«Vostro onore!» esclamò Frain. «La mia cliente è sconvolta di fronte a questa deposizione altamente discutibile. Chiedo una sospensione.»

Watson guardò Tremont. «L’accusa ha obiezioni?»

«No, vostro onore», rispose Tremont, ovviamente soddisfatto del collasso nervoso dell’accusata. «La pietà rende necessaria una sospensione.»

Watson consultò l’orologio. «Vista la situazione e l’ora, la corte si aggiorna alle nove di domani mattina.»

L’aula fu fatta sgomberare e gli uscieri fecero eclissare Vera e Frain da una porta laterale, distante dai giornalisti. Tremont si fermò per essere intervistato, ma l’obiettivo principale della stampa era Ned che, di fronte all’esplosione di Vera, si era limitato a chinare la testa. Si avviò lentamente verso il fondo dell’aula e, anche se non si offriva apertamente ai giornalisti, non mostrava nemmeno di volerli eludere.

«Mr. McKay», gli chiese una giovane cronista, «che cos’ha pensato durante la protesta di Mrs. McKay?»

Ned abbassò gli occhi, cercando la risposta adatta. «È difficile esprimerlo a parole», disse. «Devo ammettere che in parte ho pensato a me stesso. Sembra che dovrò avere cura di Annie più a lungo di quanto prevedessi. Dovrò cominciare a pensare a come allevarla, al vestiario, alla scuola, cose del genere.»

«La bambina è consapevole di quello che sta accadendo al processo?»

«Sì, lo è. Abbiamo pensato che sia meglio farle vedere la televisione. Sa com’è, cerchi di nascondere le cose a un bambino e non fai che peggiorare la situazione.» Sospirò profondamente. «Adesso vado a casa, da lei. La scena di oggi l’avrà sconvolta, naturalmente. Ha bisogno di me.» E, così dicendo, aggirò i giornalisti e si avviò in fretta alla sua automobile.

Frain e la Neuberger salirono in macchina con Vera per riportarla in fretta a casa. Troppo annichilita per connettere, se ne stava stoicamente sul sedile posteriore, distrutta. La Neuberger, al suo fianco, comprendeva come la sua amica si sentisse sola, brutalizzata e abbandonata.

«Una bella carogna, quella moglie del sacerdote», commentò la dottoressa. Frain la sbirciò, con aria seccata, ma lei lo ignorò. «Ho sempre diffidato della gente così intima con Dio. Ipocriti, ecco che cosa sono.»

Vera rimase in silenzio.

«Sono assalti rabbiosi che andranno a vuoto», proseguì la Neuberger. «Falliranno per il più profondo dei motivi.»

Vera parve rianimarsi di colpo. «Perché?» domandò, chiaramente scettica. «Perché dovrebbero fallire?»

La Neuberger, compiaciuta che Vera reagisse, rispose. «Al nostro uomo di legge, dal linguaggio ricercato, verrà da ridere, ma noi abbiamo il nostro segreto, vero?»

Per la prima volta da lungo tempo Vera abbozzò un sorriso. Un debole sorriso, pieno di sofferenza. «Sì», annuì, comprendendo che la Neuberger stava alludendo alle visioni di Annie.

«Colei che dal nulla», continuò la dottoressa, «ci protegge non è ancora intervenuta. All’inizio ne ero preoccupata. Forse era la fine. Forse non vi avrebbe più aiutate. Ma oggi, in tribunale, ho capito che c’era un’altra spiegazione. Non so al cento per cento se sia esatta, ma non manca di logica. Rifletta: questo angelo custode non ritiene che tutto quanto è successo in tribunale sia abbastanza grave da richiedere il suo intervento. Non crede che niente di questo arrechi danno effettivo. Aspetta, aspetta il momento in cui il suo aiuto sia effettivamente necessario.»

Frain si voltò di nuovo e di scatto. «Cerchi di smetterla!» la implorò, patetico. «Lei può influenzare molto negativamente il cervello di Vera.»

«No, invece!» esclamò Vera. «È l’unica che capisce.»

Frain roteò i suoi occhietti a mandorla.