Выбрать главу

«Pensa», domandò Vera alla Neuberger, «che tornerà?»

«Sono una comune mortale», rispose la dottoressa alzando la mano grinzosa con un’insolita aria di umiltà, «ma se colei che protegge torna, lo farà tramite Annie.»

Vera deglutì, cercando di controllarsi. «Annie non è con noi», disse con amarezza. «Potremmo non saperlo mai.»

«Allora, forse c’è qualcosa da tentare», rispose la Neuberger. Diede un colpetto sulla spalla di Frain. «Avvocato, lei conosce tutti quegli sfaticati delle alte sfere. Che cosa si può tentare?»

«Proprio niente», ribatté Frain, la cui voce già penetrante risuonò ancora più acuta nell’interno dell’auto. «Non crederà mica che possa ottenere una revoca basata su questi vaneggiamenti?»

La Neuberger non rispose. Inutile rispondere, perché lei e Vera conoscevano la risposta. L’improvviso ottimismo di un attimo prima si rafforzò. Evidentemente Annie sarebbe rimasta da Ned. Ma se il pericolo era costituito da Ned, Annie aveva con lei l’angelo protettore e si sarebbe salvata. L’unica certezza di Vera era che il processo sarebbe continuato e che Elwood Frain sapeva quale ne sarebbe stato l’esito, nonostante ogni suo sforzo.

Finalmente arrivarono a casa. Frain aiutò Vera a scendere e la scortò fino all’ingresso buio. L’andatura di lei risultava più lenta e esitante del solito e la Neuberger si rese conto che presto sarebbero occorse le cure del medico di famiglia per rimetterla, almeno fisicamente, in condizioni accettabili.

Ned McKay, di ritorno dal tribunale, salutò Annie con un abbraccio e un bacio. Chiaramente si era riguadagnato la sua fiducia, in parte coprendola di regali, tra cui il modellino funzionante di una stazione televisiva. Era di nuovo il vecchio zio Ned, pieno di entusiasmo e di attenzioni. Non c’era nessun presagio minaccioso o funesto.

«Come sta la mia mamma?» gli chiese Annie, come non mancava mai di fare.

«Oh, non c’è male», rispose Ned. «Oggi era un po’ nervosa, Annie cara. Lo vedrai alla TV. Ma credo che le passerà subito.»

«Ha dato un pugno all’uomo che le siede accanto», sbottò Annie.

«Sì. Sì, glielo ha dato.»

Mentre salutava l’infermiera, Ned capì che Annie aveva già visto il telegiornale. «Ma non penso che ne avesse l’intenzione. A volte basta un momento di nervoso. Direi che dovresti telefonare alla mamma e dirle quanto le vuoi bene.» Ned incoraggiava la piccola a telefonare a Vera almeno una volta al giorno.

Annie chiamò, ma fu la Neuberger a rispondere. Vera dormiva, sotto l’effetto di un tranquillante. La Neuberger spiegò che non si sentiva bene, ma che avrebbe richiamato quando si fosse svegliata. Annie ci rimase male, ma cercò di mostrarsi coraggiosa.

«Sono sicurissimo che la mamma starà bene», la rassicurò di nuovo Ned. «Adesso dorme proprio per rimettersi. Meglio non disturbarla, ti pare?»

«No», rispose Annie, docilmente.

«Perché non facciamo un gioco?» propose Ned.

«Okay. A Merlino.»

Merlino era un nuovo gioco elettronico che Ned aveva comprato qualche giorno prima. Andarono in soggiorno e si sedettero sul tappeto per giocare. Di solito Ned faceva vincere Annie, ma ogni tanto la batteva perché non si insospettisse. Come al solito, Annie cominciò a stancarsi dopo sette-otto partite, sbadigliando più volte e accelerando nelle battute conclusive. Per le sei e mezzo era pronta per la cena e un’ora dopo Ned la mise a letto.

Cominciò a leggerle Il palloncino rosso, uno dei suoi racconti preferiti. La prima volta che gliel’aveva letto, Ned aveva cercato di riassumerglielo, solo per accorgersi che Annie lo sapeva a memoria. Questa volta, mentre stava avvicinandosi alla conclusione, si accorse che la piccola faticava a tenere gli occhi aperti e ben presto si addormentò. Ned spense la luce, scese dabbasso, domandò all’infermiera dei progressi di Annie e poi la lasciò libera per il resto della serata.

Qualche minuto più tardi telefonò Elwood Frain. Di solito era lui a chiamare quando Vera voleva parlare con Annie, per evitare un contatto diretto tra Ned e Vera.

«La mia cliente vorrebbe parlare con la piccola», disse l’avvocato, come se annunciasse una visita regale.

«Apprendo che la sua cliente ha avuto una leggera collisione con la sua mascella», rispose Ned, incapace di rinunciare alla frecciata.

«Pura casualità», ribatté Frain. «La mia cliente stava manifestando la propria irritazione davanti a una deposizione particolarmente odiosa.»

«Bene», disse Ned in tono più cordiale, rendendosi conto di esser potuto sembrare ostile, «le auguro il meglio. Lei sa come la penso.»

«Naturalmente.»

«Annie non ne poteva più dal sonno. È andata a letto. Non ho voluto si stancasse troppo. Non può telefonare domattina?»

«Certamente», rispose Frain.

«Diciamo verso le otto», disse Ned, che concluse lì la telefonata.

Dopo che ebbe riattaccato compose un altro numero, irrigidendosi in tutto il corpo mentre completava le ultime cifre, come se il gesto avesse un profondo significato. All’altro capo del filo il telefono squillò una volta, due volte. Poi rispose una voce femminile.

«Tutto pronto», disse Ned. «Trovati qui all’ora esatta. Passa parola.»

La donna non rispose, limitandosi a riattaccare.

Poi Ned salì solennemente in camera sua e aprì un ampio ripostiglio. Sul fondo c’era un baule da marina, chiuso con due lucchetti. Li aprì servendosi di una chiave appesa alla catena del panciotto, sollevò il coperchio e guardò dentro. Il suo sguardo incontrò un mare di tessuto nero. «Questa notte», promise lui.

Annie dormiva bene a casa di suo zio. C’era già stata altre volte, quando Vera accompagnava Harry in qualche viaggio. Il letto nella stanza degli ospiti era soffice, l’atmosfera accogliente. Probabilmente, aveva detto Ned a una delle sue segretarie, Annie ci dormiva meglio che non a casa propria, con tutte le emozioni del processo.

Anche quella sera stava dormendo sodo. Durante le prime ore non aveva quasi cambiato posizione. Non risentiva nemmeno della forte umidità che era calata su Tarrytown insieme con una fitta nebbia. Era distesa, pacifica, con il braccio stretto attorno al cagnolino di pezza che lo zio Ned le aveva portato in ospedale.

E poi, all’improvviso, cominciò ad agitarsi.

Sollevò la testa dal cuscino e quindi la riadagiò, come se fosse troppo pesante.

Cercò di riprendere sonno, ma sollevò di nuovo la testa e aprì gli occhi, spalancati e spaventati. Strinse forte il cane di pezza.

Girò attorno lo sguardo. Il respiro le si fece affannoso. Le pareva di vedere qualcuno ritto di fronte a lei.

Era un sogno? Un incubo? Una visione? Non lo sapeva.

L’immagine di quelle persone si intensificò. Annie era terrorizzata e vi si concentrò tentando di decifrare la scena.

C’erano delle persone, in piedi, a semicerchio, tutte che la guardavano, gli occhi pieni di furore. Le scrutò una per una. Pensò di riconoscere una donna, ma senza esserne sicura. Erano vestite… in modo strano. Tuniche nere. Scarpe nere. Guanti neri.

Annie aguzzò gli occhi su un’altra donna. Sì, era Mrs. Moran.

E sembrava in collera.

E, vicino a lei, c’era Mrs. Singleton, la signora dell’AGI. Annie l’aveva vista spesso in giro per la scuola. Anche lei aveva un’aria feroce.

Annie saltò giù dal letto e cominciò a indietreggiare, ma la gente avanzava su di lei. Un uomo, al centro del gruppo, con il viso nascosto dal buio, accese un fiammifero. Prese da un tavolo una torcia, l’accese e la diede a Mrs. Moran. Poi, passando lungo il semicerchio, consegnò una torcia ad ognuno.

I volti emersero dalle tenebre.

Annie vide altri che conosceva: Mrs. Crawford, la moglie del pastore… e il dottor Laval.

«Mamma!» gemette Annie.

Spiava, confusa e dubbiosa, quegli adulti dal comportamento così strano.