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«Mammina», mormorò di nuovo.

E poi anche l’uomo al centro, il capo, avanzò in piena luce. Era zio Ned. Sembrava più arrabbiato degli altri e anche lui era vestito di nero.

Annie indietreggiò ancora, ma era ormai contro la parete. Ebbe voglia di urlare. E di scappare. Ma da chi? Vera e la dottoressa Neuberger non c’erano. C’era soltanto Ned.

Annie era ormai terrorizzata, smarrita, una bimba sola, senza nessuno a cui ricorrere.

Ma si chiedeva anche: che cosa stava facendo quella gente? Che cosa stava facendo zio Ned?

Di colpo la visione cominciò a sbiadire. Annie allungò una mano per toccarla, ma continuava ad allontanarsi e ben presto scomparve.

Annie, ancora una volta al buio, dapprima non si mosse. Era spaventata, incerta su quanto aveva visto. Voleva chiamare lo zio Ned, ma l’immagine di lui vestito di nero le ricordò una precedente visione, quella di lui che veniva per ucciderla.

La bimba si riaccostò lentamente al letto e vi mise su un ginocchio, quasi a cercare rifugio sotto le coperte. Vi salì sopra, le molle cigolanti sotto il suo peso.

Poi udì dei rumori venire dal pianterreno.

Rumori strani.

C’era gente dabbasso. Forse zio Ned aveva ospiti, ma non gliene aveva parlato. E quei rumori non erano di persone riunite per un party: gli ospiti di Ned stavano cantando. Le voci ritmate risuonavano lugubri, minacciose.

Annie scese di nuovo dal letto e andò alla porta in punta di piedi, attenta a non fare il minimo rumore. Aprì l’uscio e una lama di luce si stagliò sul tappeto.

Il canto era più forte, ma Annie non riusciva ancora a capirne le parole. Sgusciò pian piano fuori della stanza, guardando da ogni parte che non ci fosse nessuno, e poi, rannicchiandosi, strisciò verso la cima delle scale.

Quel che vide là sotto la paralizzò di terrore.

Lì, nel soggiorno, ecco la sua visione che si materializzava.

C’era il semicerchio di persone, in piedi, con le torce… tutte vestite di nero.

C’era Mrs. Moran.

E Mrs. Singleton.

E il dottor Laval.

E, al centro, con la torcia tenuta più alta di tutti, c’era zio Ned.

L’espressione sul suo volto era determinata, cattiva, sinistra. Un’espressione che Annie non gli aveva mai visto.

E continuavano a cantilenare, monotoni… sempre le stesse parole che echeggiavano attraverso il pianterreno e su per le scale sino a lei.

Con il cuore che le batteva all’impazzata, tremando in tutto il corpo, Annie cominciò a scivolare verso la stanza di Ned, pregando di non venire sorpresa. Il suono della cantilena le riempiva le orecchie, ma copriva anche ogni suo rumore.

Quando fu nella camera dello zio si precipitò al telefono e con dita nervose e sudate formò il numero di casa sua.

«Per favore, mammina», sussurrò, «per favore, sii a casa.»

L’apparecchio squillò una volta, due volte, poi una terza.

Vera, addormentata, sfinita dagli avvenimenti della giornata, non si svegliò che al quarto squillo. Intontita, sollevò il ricevitore, pensando si trattasse di qualche altro maniaco che si divertiva ad angosciarla.

«Pronto.»

«Mamma?»

«Piccola mia!» Vera si sedette di colpo.

«Mammina, ho paura!»

«Che cosa? Annie?»

«Mammina, è terribile!»

La Neuberger, che aveva teso l’orecchio sin dal primo squillo, uscì di volata dalla stanza attigua per ascoltare a una derivazione.

«Annie», domandò Vera, «che cos’è successo?»

«Mamma!» il respiro ansimante di Annie ne rendeva poco intelligibili le parole. «Mamma, loro sono giù al pianterreno.»

«Loro chi? Annie, cerca di calmarti!»

«Zio Ned», rispose Annie. «È giù dabbasso con delle altre persone. C’è Mrs. Moran. E Mrs. Singleton. Prima le ho viste come in un film.»

«Una visione», intervenne la Neuberger. «Ha avuto un’altra visione.»

«Sì», disse Annie. «Vedevo quella gente che mi stava intorno, tutta vestita di nero. Avevano in mano dei bastoni, mammina. Li tenevano alti, con il fuoco in cima.»

«Torce», disse la Neuberger.

«Poi il film è sparito e adesso loro sono per davvero giù dabbasso. Cantano una canzone!»

Vera, disorientata, capiva solo in parte quanto Annie le stava dicendo. «Che cosa stanno cantando, tesoro?» domandò.

«Di me, credo», bisbigliò Annie. «Ho paura, mamma!»

La Neuberger si intromise. «Annie, dobbiamo sapere che cosa stanno cantando. Alza il ricevitore.»

Annie corse alla porta e la spalancò, tirando il filo del telefono così da dirigere il ricevitore verso la tromba delle scale.

Vera e la Neuberger sentirono. Il canto era rabbioso, sinistro. Filtrava attraverso il telefono in tutta la sua agghiacciante follia:

LA BAMBINA DEVE MORIRE
LA BAMBINA DEVE MORIRE
IL NOSTRO CAPO È IL MESSAGGERO DI SATANA
TUTTI QUELLI DEL SUO STESSO SANGUE DEVONO PERIRE
LUI DEVE ESSERE IL SOLO
LA BAMBINA DEVE MORIRE
ANNIE MCKAY DEVE MORIRE

La voce di Ned McKay sovrastava le altre, facilmente identificabile tra il coro.

Per un attimo Vera e la Neuberger rimasero incapaci di parlare, le loro menti paralizzate dal nuovo incubo. La prima a riprendersi fu la Neuberger. «È una setta», disse con calma, intuendo l’importanza di mantenere il controllo. «È una setta di streghe.»

«Mio Dio», mormorò Vera. «Ned…»

Ma ad Annie le teorie non interessavano. «Mamma, che cosa devo fare?» domandò e cominciò a piangere.

«Annie!» esclamò la Neuberger. «Adesso ascoltami bene. Rimani lì al telefono. Io vado subito a un altro apparecchio e torno.» Mise giù il ricevitore e si affrettò a un altro telefono che Harry aveva fatto installare in casa per suo uso d’affari. Rapidamente chiamò la polizia. «Devo segnalarvi un incendio», dichiarò. «Forse doloso. Una strana faccenda.» Diede l’indirizzo di Ned e quindi fece un’identica telefonata ai pompieri.

Tornò di corsa all’apparecchio in linea con Annie. «Annie», ordinò, «devi scappare da quella casa. Subito! Adesso arriviamo anche noi. Fa’ come ti dico!»

Riattaccò e si affrettò a raggiungere Vera, che era ancora seduta, inebetita, il ricevitore appoggiato all’orecchio. La Neuberger glielo tolse di mano e lo riappese. «Qui non le siamo di alcun aiuto», le disse. «Si infili qualcosa. Andiamo là con la polizia. Adesso il pericolo è grande!»

«Che cosa le succederà?» gemette Vera.

«Si vesta!» gridò la psicanalista. «Vuole aiutarla o no?»

Terrorizzata, ossessionata da orribili presagi, Vera scese dal letto.

«Adesso capisco», le disse la Neuberger, mentre Vera afferrava i vestiti. «Avrei dovuto sospettarlo. Suo cognato, quel Ned, è il capo di questa setta di indemoniati. Da quello che cantavano sappiamo che lo considerano il messaggero di Satana sulla terra.

«Ma il messaggero dev’essere puro. Nessun altro può esistere avendo lo stesso suo sangue. Quindi, questo Ned deve distruggere tutti i propri consanguinei, quale atto di devozione a Satana.»

Vera la guardò, il volto devastato dall’angoscia più torturante. «È lui che ha ucciso Harry.»

«Sì», rispose la Neuberger, «questo è ovvio, adesso.»

«E Annie!…»

«Ha già tentato di ucciderla, come diceva la visione. Adesso non dobbiamo perdere un minuto. Il loro rito sta procedendo ancora. Ned deve eliminare Annie, un altro discendente dello stesso sangue, che ha nelle vene il sangue di suo fratello. Dalle torce deduco che il piano è di servirsi del fuoco, per poi dire che è stato un incendio a colpire la casa.»

Vera e la Neuberger corsero fuori e salirono in macchina. Partirono a tutta velocità, dirette verso l’abitazione di Ned, che distava quattro minuti, i quattro minuti più lunghi della vita di Vera.