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«E i suoi occhi?» chiese Vera nervosa.

«In base all’esame che ho appena fatto resto tutt’ora senz’altro ottimista. Dopo la vostra visita farò delle prove visive preliminari.»

Laval si fece da parte. Lentamente, deliberatamente, Vera si accostò all’uscio, con Ned subito dietro con i suoi cioccolatini e il cane di pezza. Vera guardò dentro. La camera era piccola, con le pareti dipinte di grigio chiaro.

Annie era a letto, perfettamente immobile. Aveva la testa fasciata più pesantemente di quanto Vera avesse previsto. Ciò nonostante, vedendo sua figlia, Vera provò un’ondata di eccitazione. E, mentre lei entrava, Annie girò leggermente la testa, come se si fosse accorta che c’era qualcuno.

«Mamma?» chiese debolmente.

«Sì.»

«Sapevo che eri tu. Hai su le scarpe buffe.»

Vera si guardò i piedi. In effetti, calzava scarpe con la suola di sughero, che producevano distintamente un suono cavo.

«È vero!» esclamò e si affrettò verso Annie. La baciò sul collo, attenta a non toccare il bendaggio. «Come ti senti, piccola mia?»

«Mi fa male.»

«Tanto?»

«No. Agli occhi, come quando si ha l’influenza. Ho l’influenza?»

«Qualcosa del genere.»

«Perché mi hanno bendata così?»

«Perché il dottore ha pensato che fosse meglio.»

«Sono all’ospedale, mammina. Me l’ha detto una signora.»

«È vero.»

«Perché non ero mai stata in un ospedale, prima?»

«Oh, ci sei stata, quando sei nata.»

«No, voglio dire, quando ero più grande.»

«Non ne hai mai avuto bisogno. Adesso il dottor Laval ha pensato che fosse una buona idea.»

«Sono appena arrivata?»

«Be’, sei qui già da un pochino. Ma dormivi.»

Ci fu una lunga pausa di silenzio. Annie si mosse per sentirsi più comoda. «Parli confuso», osservò.

Vera si voltò verso Laval, allarmata, ma il pediatra formò con le labbra la parola «normale».

«Il dottore dice che può capitare», rispose Vera. «Ma poi passerà.»

«Quando posso tornare a casa?»

«Molto presto.»

Si intromise Ned. «Ciao, Annie!»

Per un attimo la bambina parve non riconoscere la voce. Poi un sorriso apparve sul suo viso. «Zio Ned!»

«Ti ho portato dei dolci e un cane di pezza. Okay?»

«Sì!»

Ned piazzò il grosso, invitante giocattolo tra le braccia di Annie. «Ti piace?»

«Che cosa si dice allo zio Ned?» chiese Vera.

«Grazie. È morbido.»

Ned era raggiante. «Spero che tu ti diverta un sacco con lui.»

Laval estrasse dalla sua valigetta alcuni strumenti. «Annie», disse, «sono ancora il dottor Laval. Adesso devo lavorare un pochino con le tue bende. Te la senti?»

«Sì, credo di sì. Dopo potrò vederci?»

Gli adulti si irrigidirono, scambiandosi occhiate piene d’ansia.

«Vediamo se i tuoi occhi stanno meglio», si decise alla fine Laval. Con un gesto fece capire a Vera e a Ned che era venuto il momento di uscire.

«Annie», disse Vera, «zio Ned e io andiamo qui fuori intanto che il dottor Laval ti visita.»

«No!» protestò Annie. «Voglio che tu resti qui!»

La faccia di Vera assunse un’aria desolata. «È il regolamento dell’ospedale, bambina mia.»

Annie cominciò a piangere. «Mammina, ti prego, resta con me! Stai sempre con me quando andiamo nello studio del dottor Laval.» Cominciò a picchiare sul letto con le mani.

Vera si girò verso Laval, che capì al volo.

«La prassi non è questa», disse, «ma se la cosa la sconvolge faremo uno strappo alla regola.» Poi, con la faccia seria, soggiunse: «Ma sia chiaro che…»

Non ebbe bisogno di concludere la frase.

«D’accordo, cominciamo», decise Laval. Ma poi si accostò a Vera e, in modo che solo lei e Ned potessero sentire, mormorò: «Se sorge il più piccolo problema dovrò insistere perché ve ne andiate».

Entrambi annuirono in silenzio.

Laval si avvicinò al letto di Annie, stringendo con la mano sinistra un paio di piccole forbici da chirurgia. Chiuse la veneziana e spense la tenue lampadina sopra il letto. «Probabilmente gli occhi saranno sensibilissimi», spiegò con il suo sorriso contenuto.

Istintivamente Ned fece per afferrare la mano di Vera. Vera si stropicciò le mani sulla sottana, poi si sedette, sperando disperatamente che gli occhi di Annie fossero davvero sensibili alla luce.

«Vera, ti senti bene?» volle sapere Laval.

«Sì», rispose lei, con voce malferma.

«Annie», domandò Laval, «tu adesso come ti senti?»

Un sorriso sbocciò sulle labbra della bambina. «Okay», rispose.

Laval sollevò le forbici, le aprì e le accostò pian piano alle bende attorno agli occhi di Annie. Cominciò a tagliare, mentre il rumore del metallo contro la garza echeggiava nella stanzetta. A Vera, ogni cauto taglio delle forbici pareva durare un secolo.

«Scommetto che sei felice di farti togliere questi affari», disse Laval.

«Sì. Pizzicano e poi voglio vedere il mio nuovo cane.» Vera si strinse il giocattolo sotto il braccio e afferrò convulsa la mano di Ned.

Laval era ormai arrivato all’ultimo strato del bendaggio. Girò attorno al letto, piazzandosi tra Annie e Vera, preoccupato della reazione di quest’ultima alla vista di un possibile edema. Cominciò la lenta, lunga operazione di svolgere la benda, attento a che nessun lembo di garza fosse appiccicato alle ciglia. «Bene, Annie», disse, «voglio che tu chiuda gli occhi stretti stretti.»

Annie ubbidì.

«Ci siamo», annunciò Laval. «Tolgo l’ultima benda.» La striscia di garza venne via e ricadde sulla spalla di Annie. Gli occhi della bimba erano ancora leggermente gonfi e un po’ di pelle intorno si era arrossata a causa dei cerotti. Ma non era visibile nessun altro danno. Laval si spostò di lato.

Vera, nella stanzetta in penombra, riusciva a vederci poco.

«Sei sempre qui, mammina?» domandò Annie.

«Certamente. Te l’ho detto che sarei rimasta.»

«Non aprire gli occhi», ripeté Laval. Trasse di tasca una piccola torcia elettrica ed esaminò l’esterno degli occhi di Annie, poi si volse a guardare Vera. «Finora, sembra tutto normale.» Poi, di nuovo rivolto ad Annie: «Okay, Annie Grace, sei pronta ad aiutarmi?»

«Sì!»

«Adesso ti metto degli occhiali finti. Sarà buffo.» Frugò nella sua borsa, ne trasse un piccolo paio d’occhiali neri e li fece scivolare sul naso di Annie. «Con questi», spiegò, «siamo sicuri che la luce non ti farà male.»

«La luce non fa male, a me», replicò Annie con candore.

«Bene, ma ricorda, i tuoi occhi sono stati ammalati. Adesso, voglio che tu apra l’occhio destro, ma appena appena.»

Il cuore di Vera batteva all’impazzata e lei scorse sul volto di Ned, che teneva la mano di Annie, sudore e tensione.

Annie aprì l’occhio destro. «Non vedo niente!»

Vera deglutì spasmodicamente.

«Per forza», esclamò Laval. «Questi occhiali sono scurissimi. Non puoi vedere attraverso le loro lenti. Quindi, dobbiamo aiutarci, vero?»

«Già.»

Laval accese la torcia e la tenne obliqua a un metro da Annie.

«Ehi, vedo un fuoco!» esclamò Annie.

Vera fu percorsa da un’ondata di sollievo.

Laval mosse in giro la torcia. «Adesso che cosa vedi?»

«Altri fuochi. In posti diversi.»

«Benone. Ogni fuoco resta o sparisce?»

«Va via.»

«Perfetto. Ora ti rivelo un piccolo segreto. È la mia pila quella che vedi. E quando starai meglio te ne regalerò una uguale.»

«Grazie», disse Annie.

Laval rifece l’esperimento con l’occhio sinistro, con gli stessi risultati. «Bene», ripeté ancora. «Sono molto contento di te, Annie. Ti sei comportata ottimamente.»