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Annie sorrise, raggiante.

«Adesso voglio che tu ti guardi in giro e mi dica se vedi qualcos’altro.»

Annie girò lentamente la testa da un lato, poi dall’altro. «Scorgo la luce da quella parte», rispose, indicando verso la finestra.

«Ti fa male agli occhi?»

«No.»

«Fissa attentamente quella luce. È solo una luce, o qualcos’altro?»

Annie strizzò gli occhi. «Credo che sia una finestra con la veneziana, come ne abbiamo a casa.»

Vera sorrise, con gli occhi pieni di lacrime. «È un miracolo», sussurrò.

Laval si rivolse a Ned. «Penso che andiamo bene», disse. «È un sintomo davvero confortante vedere oggetti anziché solo strisce di luce.»

«L’ho visto prima», sbottò all’improvviso Annie.

Laval sorrise all’entusiasmo della bambina. «Davvero? Che cosa hai visto?»

«Mi faceva paura.»

«Oh?»

«Cadevo su un binario. Sa, dove ci passano i treni. E finivo sotto il treno.»

«Be’, non è piacevole.»

Vera e Ned trasalirono. Ned lanciò un’occhiata preoccupata a Laval. Ma il medico sollevò entrambe le mani, come per esortare alla calma. Si accostò ad Annie e le afferrò una spalla. «Via, Annie», spiegò, «quello che hai avuto non è stato altro che un brutto sogno, niente altro. Una bambina grande come te non avrà paura di una cosa del genere, no?»

«No», replicò calma Annie, «solo che non stavo dormendo.»

«Ma certo che dormivi.»

«No, sentivo anche la gente nell’atrio. Nella camera qui accanto c’è un ragazzo che non sta mai zitto. Si lamenta sempre, come Alan a scuola, sai, mamma?»

«Sì, tesoro.» Vera in realtà non le dette troppo peso, felice com’era che non fossero soltanto i sogni le cose che Annie poteva vedere.

«Bene», disse Laval, «hai avuto quello che i grandi chiamano sogno a occhi aperti. Eri mezza addormentata e mezza sveglia.»

«Ma se non ero nemmeno stanca», ribatté Annie.

Laval e Ned si misero a ridere. Non Vera. L’insistenza di Annie era insolita e Vera ne era colpita in un modo che né Laval né Ned potevano capire.

«Ora voglio che tu tenga questi occhiali per un po’», ordinò il dottore. «Più tardi verrà un’infermiera a toglierteli. Okay, Annie?»

«Okay.»

«Desidero che questi occhi si abituino alla luce nel modo opportuno.» Si girò verso Vera. «Attenta a non alzare la veneziana o ad accendere la luce.»

«Senz’altro.»

«Annie», proseguì Laval, «adesso ce ne andiamo, ma torneremo presto.» Accennò con il capo a Vera, che si accostò alla figlia e la baciò sulla guancia.

«Piccolina mia, sono tanto orgogliosa di te. Ora voglio che tu riposi. Mammina va a parlare con i dottori e le infermiere.»

«Mammina?»

«Sì?»

«Credi che papà sappia che sono malata?»

Vera lanciò un’occhiata a Ned, che abbassò gli occhi, a disagio. «Non credo, piccola», le rispose. «Se lo sapesse verrebbe a trovare la sua Annie? Giusto?»

«Sì, credo di sì. Quando torna non dirglielo. Voglio raccontarglielo io.»

«Okay. Non glielo dirò.»

«Annie», intervenne Ned, «voglio che tu guarisca presto. Non deludermi.»

«Okay, zio Ned.»

«Eravamo d’accordo di andare a vedere Annie a New York. Ricordi?»

«Certo!»

Vera, Ned e Laval uscirono, avviandosi lungo l’atrio, oltre le infermiere, gli inservienti e altri familiari. Si isolarono in un punto tranquillo vicino a una grande finestra.

«Bene», disse Laval battendo leggermente le mani, «tutto quanto ho detto lì dentro è vero. Sono molto soddisfatto.»

«Lei è soddisfatto?» esclamò Vera. «A me sembra di sognare. C’è solo una cosa…»

«Sì?»

«Quel sogno… cadere sui binari, essere travolta.»

«Trauma post crisi. Ne vedo tutti i giorni.»

«Continuerà?»

Laval trasse un respiro profondo e si guardò in giro, salutando alcune infermiere, prima di rispondere. «Può darsi, ma dubito che sarebbe preoccupante. Qui dentro Annie può avere qualche reazione. Per un bambino questo è un posto che mette paura, Vera. Ma a casa riacquisterà il suo equilibrio.» Guardò l’orologio.

«Devo scappare», soggiunse. «Ci sentiamo, comunque.» Fece per andarsene.

«Solo un’altra cosa», lo fermò Vera. «Quando c’era lei, Annie ha avuto altri sogni del genere?»

Laval si strinse nelle spalle. «No, non esattamente», rispose. «Brontolava qualcosa nel sonno. Ma succede sempre. In effetti era qualcosa di simile a quanto ha detto poco fa. Mormorava ‘binari… Topeka’.» Alzò di nuovo le spalle. «Niente altro.»

Un brivido gelato corse lungo la spina dorsale di Vera al nome «Topeka», ma si dileguò subito. Così, aveva menzionato Topeka? Annie non sapeva le dicerie su Harry che correva la cavallina.

Laval fece di nuovo per allontanarsi. «Grazie, Sandy», gli gridò dietro Vera, con voce colma di commossa sincerità. È un gran giorno.»

Laval si volse a guardarla, con un viso stanco, e riuscì ad abbozzare un sorriso.

4

Annie continuò nel suo miglioramento, senza scosse e rapidamente. Alcuni tra i medici si chiedevano se il virus che l’aveva colpita non fosse un’affezione nuova cui mancavano precedenti. Ogni giorno Laval prescriveva una gradazione più leggera degli occhiali di Annie, i cui occhi a mano a mano si abituavano sempre più alla luce. L’acutezza visiva migliorava costantemente. Laval cominciò a dire a Vera che la vista di Annie quasi certamente sarebbe diventata molto più che accettabile. Le sue condizioni psichiche, aggiunse anche Laval, risultavano equilibrate, anche se non si poteva ancora escludere il sopraggiungere di reazioni.

Cinque giorni dopo aver tolto le bende i timori di Laval sulle «reazioni» si avverarono.

Erano le 8.30 di mattina. Annie dormiva nella sua stanza, al buio, con la porta chiusa. Un’infermiera l’aveva controllata alle 8.15, trovandola normale. Un’altra infermiera era appena entrata, riferendo poi l’identica cosa.

Alle 8.31 Annie cominciò ad agitarsi, con un’espressione di sofferenza sul visetto rotondo. Gemette. Gli occhi malati si spalancarono, rivelando una paura che subito si trasformò in autentico terrore.

Annie si mise a sedere, con un sussulto. Girò gli occhi sulle ombre, con i loro contorni di mobili, fiori e giocattoli.

Cominciò a piangere, una cosa che, stranamente, non aveva mai fatto dopo l’operazione. Le lacrime le inondavano le gote. Si sentiva il cuore battere forte forte.

«Mammina», chiese, «sei qui?»

Ma udì soltanto il ronzìo del condizionatore d’aria.

«Mamma?» domandò a voce più alta, ma, con la porta chiusa, nessuno la sentì.

«Mammina, attenta! Sta’ attenta!»

Balzò dal letto e si infilò gli occhiali scuri, per abitudine. Quando aprì la porta della camera, la luce vivida dell’atrio la ferì. Socchiuse gli occhi. Poi, respirando affannosamente, oppressa da un terribile presentimento, irruppe nell’atrio e cominciò a gridare.

«Mammina, attenta! Non voglio che tu muoia!»

Si scatenò un pandemonio.

Alcune infermiere si precipitarono verso Annie. Vedendole, lei le evitò cambiando direzione di corsa.

«Torna qui!» ordinò un’infermiera. Un’altra sbucò fuori da una stanza. In due bloccarono Annie.

«Voglio la mia mamma!» urlò lei. «Non voglio che lui le vada contro!»

Le sue grida si sentivano per tutto il piano.

Mentre le infermiere le si affannavano intorno arrivò un inserviente in loro aiuto.

Le infermiere, preoccupate per Annie, la riportarono nella sua stanza. Altri bimbi, spaventati dalle grida e dalla confusione, correvano su e giù per l’atrio.