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«Si ricorda?» chiese l’uomo con un sorrisetto.

Goodpaster si strinse nelle spalle. «Mi dispiace, veramente no.»

«Forse ricorda il vestito, vecchio e consunto com’è.» Allargò le braccia per sottolineare l’affermazione.

«Ricordo l’abito, sì», rispose Goodpaster un po’ seccato, «ma questo è quanto.»

Il visitatore estrasse un logoro portacarte, tutto sporco di tabacco, che cadde in parte sul pavimento. Gli fece balenare sotto gli occhi una tessera. «Larry Birch, del New York Daily News. Parlai con lei l’anno scorso riguardo agli adolescenti cui piace tanto bere, qui dalle nostre parti.»

«Ah, sì», esclamò Goodpaster, poco entusiasta d’essere visto insieme con quel trasandato giornalista. «Voleva parlarmi di questo, adesso?»

«Be’, non esattamente, signore. Voglio parlare di Annie McKay.»

«Una bella e brava bambina», osservò Goodpaster. «Ma veramente non c’è molto di cui parlare.»

«Oh, non saprei, signore.» Birch si appoggiò alla parete. «Una bambina il cui padre è sparito, mi sono occupato anche di quella faccenda, e che si ammala e quasi perde la vista. C’è parecchio da parlarne, dottore.»

Goodpaster sbirciò il suo cronometro d’oro. «Senta», propose, «perché non va in amministrazione, in modo che possiamo fissare un appuntamento?»

«Oh, è questione di un minuto, signore.»

«Non dispongo nemmeno di un minuto.»

«Trenta secondi, allora», ribatté Birch, seguendo Goodpaster, che già stava per allontanarsi e piazzandoglisi davanti, bloccandolo. «È qualcosa di più di una storia strappalacrime, dottore. Da quanto si dice questa bimba è una, per così dire, che ‘vede’ le cose.»

Goodpaster diventò paonazzo in viso. «Lei come lo sa?»

«È il mio mestiere.» Birch alzò le spalle, con aria disinvolta.

«Guardi che lei sta parlando di notizie confidenziali», lo avvertì Goodpaster. «Se desidera sentire i familiari, può darsi che loro…»

«Disturbare la madre? Mi suggerisce di fare questo?»

«Be’…»

«Senta, dottore, qualcuno mi ha riferito che questa bambina sapeva che sua mamma quasi rimaneva ammazzata in un incidente. Allora qual è la sua opinione al riguardo?»

«Nessuna opinione. La cosa non è importante.»

Birch tossì, una tosse da fumatore piena di catarro, poi ricominciò: «Quindi, lei non è interessato alla cosa?»

«Ne sono interessato, certo. Ma non è mio reame.»

«Non è suo che cosa?»

«Reame, campo. La bambina è una paziente del dottor Laval, il quale non mi ha chiesto nessun parere.»

«Così lei non ha alcuna opinione?»

«Gliel’ho detto. Se mi chiamano a esaminare la bambina potrei saperne di più. Ma questo dipende dal dottor Laval.»

Birch scribacchiò qualche appunto su un taccuino con le pagine piene di orecchie, servendosi di un mozzicone di matita. «Lei intende dire che è un problema burocratico.»

«Il caso non presenta possibilità di crisi ripetitive, né di serie infermità», rispose Goodpaster.

Il medico tentò di nuovo di aggirare l’ostacolo. E di nuovo Birch non mollò la preda, seguendola fin dentro l’anticamera dello studio, che aveva le pareti tappezzate di fotografie di bambini.

«Non posso più dedicarle nemmeno un secondo», insisté Goodpaster. «Si rivolga all’amministrazione.»

«Ancora qualche domanda.»

«Senta Mr. Burns…»

«Birch. Larry Birch. Del New York Daily News

«Mi scusi, Birch, ma il colloquio finisce qui.»

«Dottore, la storia non finisce. La bambina ha avuto un’altra visione, sì o no? Crede di essere caduta da un traliccio della ferrovia a Topeka…»

«Questo dove l’ha saputo?» domandò Goodpaster, la cui giovialità fanciullesca si stava tramutando in collera e risentimento.

«Via, via», lo ammonì Birch, agitando un dito. «Noi proteggiamo le nostre fonti. Ho degli amici qui dentro, dottore. Ma lei come spiega questa visione?»

«È un sogno, non una visione. Se lei riesce a fare capire esattamente il suo nome deve anche sapere usare il vocabolo giusto. Non spiego né posso spiegare e comunque a chi importa?»

«Dottore», disse Birch, «la differenza è che io sono sicuro di come mi chiamo. Vede, lei non sembra rendersi conto di ciò che la faccenda comporta. Quanti sono i bambini che sognano di cadere sulle rotaie di un treno?»

«Un sacco, sono pronto a scommetterlo.»

«Subito dopo che è realmente accaduto a Topeka?»

«Come sarebbe a dire?»

«Una bambina cadde, o fu sospinta, giù da un traliccio a Topeka, poche ore prima che Annie si ammalasse. Poi Annie ebbe questa visione.»

Goodpaster si strinse nelle spalle. «Il mio campo è la psichiatria», rispose. «Si rivolga a quelli che pubblicano certe cose.»

«Non stimola il suo interesse, proprio per niente?» chiese Birch.

«No, no davvero. Probabilmente qualche infermiera ha accennato a quell’episodio mentre Annie era semicosciente. Lo ha registrato nel cervello. Ecco tutto.»

«Impossibile.»

«Perché?»

«Perché l’episodio non fu riferito in nessun modo da New York se non la mattina seguente… dopo che Annie aveva raccontato il suo, già, il suo sogno. Nessuno poteva avere saputo la notizia in precedenza.»

«Be’», ribatté Goodpaster, «allora il mistero lo risolva lei. La terrà occupato.» Sgusciò oltre Birch e si precipitò in studio, salutando, strada facendo, qualche bambino e la sua assistente.

«Ehi, dottore», gli gridò dietro Birch, ma Goodpaster fece orecchie da mercante. «Dottore», ripeté Birch, «che cosa significa ‘ci protegge lei’?»

Goodpaster ignorò la domanda e Birch lasciò l’ospedale, chiedendosi quale potesse essere la risposta. Decise di tenere in sospeso il suo articolo. Spesso aveva come norma di accumulare e tenere da parte il materiale finché non disponeva di un qualche elemento essenziale. Dapprima aveva pensato che si trattasse soltanto di un articolo tipo ‘famiglia sconfigge la cattiva sorte’. In quel momento intuì che era molto di più. Si rendeva conto che i sogni di Annie potevano essere davvero solo sogni e che forse gliene sfuggiva la spiegazione ovvia. Era così che di solito andava a finire in quelle storie più strane di un romanzo. Ma nel caso di Annie McKay c’era qualcosa che lo attirava. Non riusciva a togliersi dalla testa il terrificante rapporto tra la tragedia di Topeka e la visione di Annie. Forse, pensò, ma solo forse, era qualcosa che giungeva da un’altra dimensione, da una potenza ultraterrena.

O forse lui era soltanto un cronista annoiato che aveva lasciato una famiglia del cui dramma si era già occupato sul giornale, un cronista che attribuiva un significato assolutamente inesistente a delle circostanze che erano solamente bizzarre.

5

Vera e Ned affiancarono la sedia a rotelle di Annie, mentre un’infermiera la spingeva verso l’ascensore. Annie tornava a casa. I suoi occhiali erano solo leggermente scuri e la bimba sarebbe probabilmente stata in grado di farne a meno di lì a qualche settimana. Il leggero ematoma era scomparso.

Annie indossava una camicetta di velluto rosso e una gonna in tinta. Teneva in grembo il suo cane di pezza. Cronisti e fotografi le si affollarono attorno. La piccola che aveva riacquistato la vista era una celebrità, un argomento che emozionava sempre i lettori.

Le infermiere applaudirono, secondo una tradizione del reparto pediatrico, mentre Annie passava. Altri piccoli pazienti erano fermi sulla soglia delle loro stanze, con l’aria di chi è dimenticato, desiderando di poter tornare a casa anche loro. Annie li salutò gioiosa, agitando le mani e promettendo di farsi viva.

Un radiocronista piazzò davanti al viso di Annie un registratore portatile. «Annie, che effetto fa vedere di nuovo?»