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La faccia di Ned assunse un’espressione sdegnata per la cinica domanda.

«È bello», rispose Annie, sorridendo.

«Ti sei fatta degli amici qui in ospedale?»

«Sì. Mi hanno dato il loro numero di telefono e verremo a trovarli.»

«Hai pregato molto?»

«La mia mamma lo fa per me.»

«E tuo papà?»

Cadde di colpo il silenzio. Vera e Ned fissarono il cronista. Ned stava per intervenire quando Annie rispose.

«È andato via.»

Il radiocronista accusò il colpo e arrossì. «Buona fortuna, Annie», concluse, «da tutti i nostri ascoltatori.»

Annie fu condotta nell’ascensore, le cui porte si chiusero.

Dato che l’auto di Vera era ancora in riparazione fu Ned a portare a casa lei e Annie attraverso le tranquille vie di Tarrytown. Alla vista di luoghi a lei familiari Annie si rianimò: i movimenti del suo corpicino divennero più scattanti, più eccitati, più simili a quelli di ogni altro bambino.

La casa dei McKay era un edificio a due piani, di arenaria rossastra e con stucchi, situata in uno dei quartieri più vecchi della città. Aveva, diceva qualcuno, un aspetto abbastanza comune, poco appariscente, che rifletteva la determinazione di Harry di non gareggiare con la gente nuova e brillante di Tarrytown. Il prato era ben tenuto, ma piccolo, e le macchie di arbusti esprimevano, più che il gusto di un giardiniere, il tocco dilettantesco di Harry e Vera.

Quel giorno, sebbene in strada fossero parcheggiate parecchie automobili, Annie non sospettò che fosse stato organizzato in suo onore un party di benvenuto. Quando la bambina fece il suo ingresso in casa, una folla di amici e vicini la circondò. La confusione era enorme, quasi insopportabile. Annie ricevette baci e pacche sulla schiena da averne a sufficienza per tutta la vita. Arrivò anche il dottor Laval a portarle, come le aveva promesso, la torcia elettrica. C’erano i suoi insegnanti e molti compagni di scuola a raccontarle in lungo e in largo che cos’era successo a scuola durante la sua assenza.

Roberta Moran era una donna ben piazzata, di trentacinque anni, amica intima di Vera. Abbracciò Annie, così come fece sua figlia, che era nella stessa squadra delle Giovani Esploratrici di Annie. Roberta diede a quest’ultima un pezzo di torta e poi andò ad aiutare Vera. «Siamo amiche per che cosa?» le disse quando Vera volle opporsi.

Anche Lily Singleton, capo dell’Associazione genitori e insegnanti, una delle donne più impegnate della città, capitò lì per qualche minuto. Raramente faceva visite di convenienza e Vera fu particolarmente commossa dalla sua premura. Snella, sulla quarantina, dai modi sbrigativi, Lily Singleton diede per quasi tutto il tempo una mano a Roberta Moran, bisbigliando con lei, cosa che sorprese Vera, che non sapeva neanche che Roberta e Lily si dessero del tu. Vera si rese conto che era stata così assorbita dalle vicende di Annie da aver perso ogni nozione degli avvenimenti locali.

La bambina ricevette molti regali, ma continuò a tenersi stretto il cane di pezza che lo zio le aveva portato. Ned scattò fotografie e Annie era al settimo cielo per tutte quelle attenzioni… e per i doni.

Ma, mentre Ned stava per scattare un’altra istantanea, la bambina sembrò di colpo estraniarsi e sbarrò gli occhi nel vuoto. Ned abbassò la Nikon. «Che cosa ti succede, tesoro?» domandò ansiosamente. «Annie, non ti senti bene?»

Lei lo guardò, ma non rispose. Nella mente, però, vedeva una scena nuova e paurosa: la madre che scivolava sul pavimento della cucina e batteva un polso contro un armadietto. Ma, nella confusione che le era intorno, lasciò che la visione svanisse, senza dire niente anche se assalita dall’impulso disperato di gridare e correre dal dottor Laval. Il baccano degli ospiti era addirittura intimidatorio, l’atmosfera troppo eccitata. La visione sparì come se non fosse avvenuta.

«Annie, stai bene?» insisté Ned.

«Sì», rispose lei quasi impercettibilmente.

«Allora girati da questa parte e sorridi.» Ned puntò di nuovo la macchina fotografica.

Qualche minuto più tardi Vera scivolava sul pavimento della cucina, picchiando forte il polso contro la dispensa. La botta era dolorosa, ma non grave, per cui Vera non ne parlò con nessuno.

Il dottor Laval volle che Annie non riprendesse la scuola prima di tre settimane, come minimo. La bambina rimase quasi sempre in casa, giocando con i suoi nuovi balocchi o smaltendo con grandi dormite i postumi dell’operazione. Ma il tempo primaverile era una tentazione e lei non vedeva l’ora di uscire e giocare.

In una calda e soleggiata giornata Vera e Annie stavano gustando un gelato in cucina e finalmente la madre annunciò quello che Annie aveva tanto atteso. «Questa mattina ho parlato con il dottor Laval. Ha detto che oggi puoi stare fuori un pochino. Ma, mi raccomando, non stancarti troppo correndo su e giù. Okay?»

«Okay», rispose la bambina. Terminò in fretta il suo gelato, facendolo gocciolare sulla maglietta.

«Attenta!» la rimproverò Vera.

Lei non le diede nemmeno retta. «Andiamo!» esclamò.

Vera non si era aspettata l’invito. «Senti, tesoro, ho ancora da fare in casa. Perché non esci da sola? Io ti guarderò dalla finestra della cucina.»

«Oh, dai, mammina! È la prima volta che esco.»

Vera si arrese all’entusiasmo della figlia. «E va bene», acconsentì. «Fammi almeno finire il mio gelato… senza sporcarmi il vestito.»

Il gelato di fragola fu inghiottito alla svelta e Vera prese Annie per mano. «Andiamo!» disse con vivacità. «Ti spingerò sull’altalena, ma pianino, e niente acrobazie.»

Si avviarono verso la porta, con Annie che tirava sua madre e le saltellava intorno. Vera fece scattare la serratura e girò la maniglia.

In quel momento Annie si immobilizzò.

«No!» gridò e indietreggiò.

«Che cosa ti prende?» le chiese Vera.

«Non esco!»

La madre, stupita e irritata, le domandò: «Che cosa?»

«C’è qualcosa sul prato, mammina! L’ho visto proprio ora. E un pezzo di vetro. Mi taglierà!»

Vera si inginocchiò e strinse a sé Annie, che aveva cominciato a tremare. «Su, perché pensi una cosa del genere? Sono uscita questa mattina e il prato era bellissimo!»

«C’è un pezzo di vetro!» insisté la bambina.

«E com’è finito lì?» ribatté Vera.

«Non lo so, ma c’è!»

«Ascolta», cominciò Vera dolcemente, «facciamo così. Io esco e ti sto davanti. Guarderò proprio bene e anche tu guarderai. Vedrai che non c’è niente.»

Annie si allontanò di un passo dalla madre. «No!» ribatté.

«Sì, invece», disse Vera, sempre dolcemente. «Devi vedere tu stessa.»

«Ho già visto.»

Allora Vera si alzò e la prese per mano. Provava una certa irritazione verso la figlia, ma l’attribuì alle lunghe settimane durante le quali era rimasta confinata sola in compagnia di una bambina. Si controllò e si mantenne comprensiva ma decisa.

«Su!» esclamò. «Guarda com’è pulito il prato. Vedi nessun pezzo di vetro?»

«C’è!»

«Allora andremo a cercarlo. Se lo troviamo, lo buttiamo via, così puoi giocare fuori.» Cominciò a tirarsi dietro Annie, chiedendosi perché mai si fosse di colpo spaventata all’idea di uscire di casa.

«È vicino al tavolo da picnic», disse Annie sommessamente. «L’ho visto.»

«Che cosa?» Vera cominciava a rendersi conto che le paure di Annie erano un altro dei suoi ‘sogni a occhi aperti’ o ‘visioni’ o che altro fossero. Preoccupata e smarrita, si diresse cautamente verso il tavolino da picnic.

«Così lo vedrai!» sbottò Annie. Si liberò dalla mano di Vera e rientrò di corsa in casa.

Vera si fermò e ispezionò con lo sguardo ogni centimetro del prato.

E allora vide il riflesso scintillante.