Dopo la cerimonia del salto del manico di scopa nel cortile del ricovero, Mr. Leland chiamò Zoe in disparte e le disse che c’era qualcuno che desiderava parlarle nella sala che una volta aveva chiamato «camera stagna». Sulla sua faccia equina un muscolo della mascella vibrò impercettibilmente, si strofinò le mani nel camice blu brillante. — Gli ho detto di attendere finché non avessimo finito qua fuori, Zoe. E lui ha accettato.
Perché questo mistero? La sua mente era altrove. — Chi è?
— Tuo genero.
Zoe si diresse alla camera stagna, o di decompressione o come la si volesse chiamare, e vi trovò Sanders rannicchiato in un angolo del sofà, intento a giocherellare con un filo che usciva dal calzino. Quando la vide si alzò goffamente in piedi, con un’espressione da funerale sul volto. Sembrava essersi riempito la bocca con gli stessi fili che aveva tolto dai calzini: le guance gonfie, le labbra appena increspate. Lei continuò a fissarlo, finché lui non riuscì a trovare il coraggio di parlare.
— Lannie ha perduto il bambino — disse.
Così, quando Lannie uscì dall’ospedale, Zoe passò una settimana nel loro cubicolo al Livello 3, cercando di dare una mano fino a quando Lannie non fu in grado di sbrigarsela da sola. Trascorsa quella settimana, ritornò dalla sua nuova famiglia nel Ricovero Geriatrico. Ma prima di andarsene chiamò Sanders in disparte e gli disse: — Devo raccomandarti una cosa che dovrai dire anche a Lannie. Lo farai?
Sanders abbassò lo sguardo. — D’accordo, Zoe.
— Be’, dille… — cominciò Zoe — dille di riprovarci.