Helen, con una nuova macchina da scrivere Braille Gardner-Crowell, aveva il compito di registrare le dodici reminiscenze della serata e di rimproverare chiunque ripetesse qualcuna delle vecchie espressioni. Come Zoe scoprì più tardi, quando ciò accadeva venivano lanciate feroci accuse di senilità galoppante fra i partecipanti. Tuttavia, quella sera non vi era inquietudine. Era la prima volta che giocava, e non l’avrebbero fischiata, anche se la parola non fosse stata pari alle loro attese.
— Tre mesi — disse Toodles. — Sono passati tre mesi dall’ultima volta. Yuichan era ancora ammalato.
— Procediamo, allora — disse Helen. — Comincia tu, Toodles.
Sul gruppo calò il silenzio. Le navette sopra di loro scivolavano lentamente lungo le pareti della cupola. Tre o quattro minuti dopo Toodles lasciò cadere una parola in quel cerchio tenebroso, il pozzo dei loro antichi sussurri:
— Bazzecole — disse.
Zoe notò che Paul aveva la testa piegata all’indietro, fino a toccare lo schienale, gli occhi spalancati e lucidi. Anche la bocca del vecchio era aperta. Se non si fosse sporto in avanti sarebbe caduto sulle mattonelle del terrazzo sottostante.
Era il turno di Parthena. Tre o quattro minuti dopo la reminiscenza di Toodles, l’altra donna di colore disse:
— Scup’nins. — Voleva dire scuppernongs. Una qualità di uva.
Dopo che la parola ebbe prodotto il suo effetto, Luther disse: — Paul non gioca, Zoe. Tocca a te, adesso. — No, Paul non era sul punto di parlare: stava ancora ripensando alla parola di Parthena.
Zoe era già pronta. Aveva pensato la parola quando Jerry le aveva spiegato le regole. Ma non voleva precipitarsi; non voleva far capire che ci aveva pensato dall’inizio del gioco (anche se ciascuno di loro aveva fatto lo stesso). Così attese. Poi, sporgendosi per guardare il parco pedonale più in basso, pronunciò la parola alla sua nuova famiglia:
— Lucciole…
6 .Il Fujiyama e l’orpianola
Nell’appartamento del quarto piano, i Phoenix dormivano in una camera comune di forma circolare, i letti erano disposti attorno all’apparecchiatura mobile del biomonitor, sistemata al centro (la prima delle tre su quel piano), che aveva già ripreso i suoi silenziosi controlli. Ciascun letto disponeva di un comodino, un cassetto per gli effetti personali e una sedia nelle vicinanze, nonché un paravento di tessuto artificiale che, con il semplice contatto, si sarebbe dispiegato automaticamente. Poiché nessuno sembrava usarlo, dopo aver ringraziato Paul per averle procurato una camicia da notte, si preparò ad andare a letto davanti a tutti gli altri.
Era come avere sei Rabon nella propria stanza. Anzi cinque, perché Jerry era altrove. — Vuol stare un po’ solo, prima di coricarsi — disse Parthena. Ma cinque Rabon erano comunque molti, anche se abbastanza discreti da non tenerti gli occhi addosso. (Rabon non l’aveva mai fatto.) Ad eccezione, ancora una volta, del vecchio Paul.
Ad ogni modo, non ci volle molto perché tutti scivolassero nel mondo dei sogni. Nossignore. A quanto sembrava, tutti tranne Zoe. Lei aveva anche sentito Jerry scivolare con un ronzio nella stanza dove tutti russavano e alzarsi dalla sedia a rotelle per mettersi a letto. In cinque o dieci minuti si infilò sotto le coperte. Soltanto Zoe aveva la mente lucida, e il corpo indolenzito lottava contro il desiderio di sprofondare nel sonno. Oh, Signore. Che giornata! E mentalmente cercò di riviverne ogni istante.
Poi udì dei singhiozzi, e rimase ad ascoltarli a lungo. Era Toodles, due letti più in là. Toodles, che soffriva di cuore.
Cercando le pantofole che non aveva, Zoe si alzò dal letto. Andò a piedi nudi fino alla seggiola di fianco a Toodles. Si sedette e scostò le ciocche umide e arricciate della donna. — Vuoi dirmi che cosa non va?
Uuuuh, no-o. Lamenti soffocati, disperati.
— Si tratta di ciò che è accaduto a cena, Toodles? Spero di no. Non vorrei sembrarti la Strega Cattiva del Nord. — Era una bugia bella e buona, se mai ne aveva detta una: una bugia innocua, comunque.
I singhiozzi si attenuarono. — Non… è… per quello — riuscì a dire con voce soffocata. — Davvero… non è… per quello. — E quasi a confermare quanto diceva, si mise a sedere sul letto, arrotolandosi con cura attorno alla vita la camicia da notte che prima giaceva disordinatamente sulle coperte.
— Allora, ti va di parlarne?
Ora Toodles era un po’ più tranquilla. — Yuichan — disse. — Pensavo a Yuichan. Vedi questo indumento, Zoe… È stato lui darmelo. — Era troppo buio perché si potesse vedere con chiarezza, ma Toodles prese il vestito e lo mostrò a. Zoe, con le mani scosse da un occasionale tremito provocato dai singhiozzi. Ma Zoe avvertì solamente uno sgradevole e stantio odore di urina.
— Ecco — fece Zoe, ed accese la lampada da lettura sulla spalliera del letto. Un cerchio di luce tenue e tremula illuminò la veste da camera. Helen l’avrebbe definita di pessimo gusto, e a ragione: su un lato dell’indumento c’era ricamato un monte coperto di neve; sull’altro (quando Toodle sollevò i risvolti gualciti per mostrarlo) c’erano le parole Monte Fujiyama. Un capo brutto e puzzolente, non importava come fosse ricamato o lo si profumasse.
— Oh, so bene che non piace a nessuno — disse Toodles. — Ma mi ricordava Yuichan. Lo ordinò per posta a San Francisco quattro anni fa, quando seppe che nell’infermeria del ricovero si trovava una donna giapponese gravemente ammalata. Una come Yuichan. E lui regalò il vestito a quella povera donna. Due anni dopo, quando lei morì e suo figlio gettò via quasi tutte le sue cose, Yuichan si riprese il vestito e lo diede a me. Oh, mi stava stretto e puzzava di urina, d’accordo; ma sapevo con quale spirito Yuichan me l’aveva regalato, e io l’ho lavato e rilavato continuamente, al punto che temevo si strappasse. — Stese la veste da camera sulle ginocchia. — E questa sera… questa sera… mi ha ricordato Yuichan… intensamente. — Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si nascose il volto fra le mani.
Il conforto che Zoe le diede fu di restarle seduta accanto, finché la povera donna, con il viso tirato e senza più tracce di mascara, gli occhi cerchiati e simili a due crateri, cadde in un sonno leggero.
Ma il pomeriggio seguente, nella sala che chiamavano centro di ricreazione, Toodles sedeva all’orpianola a batteria e coinvolse tutti in una festicciola canora: esili corde vocali, tese allo spasimo, che cercavano di afferrare note ormai dimenticate. Infatti, soltanto Toodles aveva un’estensione vocale senza confronti, un contralto particolarmente dotato che poteva lanciarsi in un impervio glissando per passare subito con disinvoltura a una melodia in pianissimo. Guidava il loro canto con un braccio, mentre con la mano libera batteva sui tasti, premeva i pulsanti, azionava le levette e si divertiva con le percussioni. E nonostante le gambe appesantite non smetteva di pestare sui pedali, come un eretico sui carboni ardenti. L’intero appartamento risuonava della musica di Toodles, e Zoe, battendo le mani e gracchiando insieme agli altri, si chiese istintivamente se si fosse sognata, solo sognata, la disperazione notturna della chiassosa Phoenix.
— Benissimo! — Toodles gridò fra un ritornello e l’altro. — Non siete contenti di essere troppo vecchi perché quegli asini che hanno approvato l’Editto di Soppressione possano venire qui per farci stare zitti?!
Zoe lo era. Stavano facendo della musica illegale, canzoni fuorilegge, ritmi proibiti e moralmente riprovevoli. Vecchi tempi. Quando ripresero a battere le mani e a cantare, Helen spiegò a Zoe che Toodles un tempo era stata una capofila del nuovo swing, in una fumeria di New Orleans. — Nei primissimi anni del secolo — le bisbigliò Helen all’orecchio, mentre tutti insieme applaudivano l’orpianola che continuava a suonare. — A quarant’anni si occupava di una rivista di musica popolare indigena. A quarant’anni! Veramente professionale, come risulta dalle vecchie recensioni. — Dopo il ’35 quando il servizio d’ordine e i membri del consiglio cittadino cominciarono a temere disordini, questi spettacoli furono radicalmente soppressi, almeno ad Atlanta. Chi può sapere che cosa accadde nelle altre città?