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Si è cominciato con Tognazzi. L'animatore di bordo ha detto: «Signori, domani avremo il piacere e l'onore di mangiare i famosi fusilli alla carbonara di Ugo Tognazzi!». Lungo applauso.

L'indomani alle 19,40, tutti seduti a tavola per una serata che si annunciava entusiasmante da un punto di vista culinario. Tognazzi faceva, malamente, dei fusilli al massimo per sei persone: sei uova, tre etti di parmigiano, un po' di pepe, due etti di pancetta. Buttava i fusilli in quella specie di impasto e serviva caldo a tavola. Poi un pizzico di pepe.

«Quanti sono i passeggeri?» ha domandato Tognazzi al capo cuoco giù nelle cucine. E quello: «Ottocento!». E lo ha guardato con disprezzo, perché sapeva a quale disastro andava incontro.

È stata, dopo quella del Titanic, la più spaventosa tragedia di una nave passeggeri. Alle sei di sera hanno portato: ottocento uova, dodici forme di parmigiano, quattrocento chili di fusilli, quaranta chili di pancetta e due sacchi di pepe nero.

Tognazzi, ormai, era fisicamente irriconoscibile. È caduto due volte sul pavimento viscido della cucina mentre cercava di mescolare, con un mestolone di legno di sei metri, i quattrocento chili di fusilli. E il capocuoco, carogna: «Il sale non lo mette?».

«Ah! Già!» ha ridacchiato lui. «Sale!»

Ha sollevato con molta fatica un sacco di sale marino da trenta chili. È caduto nell'acqua, fortunatamente ancora tiepida, con il sacco e tutto. Era vestito da cuoco. Questo alle otto di sera. Alle undici i passeggeri urlavano come iene del Serengeti: «Assassini! Basta! Abbiamo fame!».

È stata la più grande sconfitta di un cuoco dilettante. Tognazzi è entrato alle undici preceduto dai sei camerieri con le pentole, aveva il cappello da cuoco, ma era in canottiera e mutande. Era un relitto umano. Si è inchinato ed è stato subissato da un mare di fischi: «Criminale!» urlavano tutti. «Vigliacco! Ci hai rovinato la crociera!»

I fusilli alla Tognazzi erano un enorme magma di pasta giallognola fredda. Poi al centro sala si è ricordato: «Ah! Ci vuole un pizzico di pepe!». Gli è caduto un intero cartone di pepe nero nella pentola del comandante.

Allora ha capito ed è scappato verso le lontane cabine di terza classe.

Il debutto di Gassman, la sera stessa in seconda classe. Io ho fatto sdraiare per terra sei passeggeri, su un tavolo avevo fatto piazzare come richiesto sei budini di crème caramel.

Gassman è partito con molto coraggio lanciando un urlo speciale. Purtroppo aveva sottovalutato il fatto che non eravamo sulla terraferma, ma che la nave aveva un leggero rollio. Doveva ricadere in piedi, ma è andato giù di nuca. Si è rialzato stordito ed è andato verso i budini. Ne ha succhiato uno e a metà del secondo ha vomitato.

I passeggeri hanno applaudito mentre lo portavano via a braccia.

Gli anni più felici della mia vita sono stati gli anni Settanta. Quelli del successo. Mio compagno di viaggio: Vittorio Gassman. Con lui ho fatto il mio primo film, Brancaleone alle Crociate, e poi altri sei, dei quali tre in Spagna. Questi erano meno belli, ma noi siamo stati felici lo stesso.

Alle sette del mattino si usciva con una Cadillac scoperta per andare al lavoro e si attraversava una Madrid deserta, con le autobotti che innaffiavano le strade. Ci si fermava alla Puerta del Sol al Museo del prosciutto, e con un pezzo di pane si mangiavano tre fette tagliate a mano del mitico Jamón de Cabugo, il più buono del mondo. Poi, Alcalà de Henares, con le cicogne sui campanili delle chiese, le ragazze spagnole con i capelli neri e alcune erano bellissime. E le angulas sui tegamini di terracotta e il solomillo di Casa Paco dove andavamo tutte le sere. E ci sono ancora le nostre foto da giovani alle pareti.

Una sera tornavamo dal lavoro anche con Mario Gori, il produttore del film. Si tornava da Toledo verso Madrid e ci siamo fermati varie volte a mangiare le fragole lungo la strada polverosa di Aranjuez. C'era un magnifico tramonto quando siamo arrivati a plaza de la Republica Argentina, dove c'era una fontana con molta acqua e dei delfini in bronzo che si tuffavano dentro. Il vecchio Gori, che era un atroce raccontatore di barzellette, ha detto: «Ve ne racconto una…».

«Fermo!»

Gassman è balzato in piedi, è saltato fuori dalla macchina senza aprire la portiera e si è buttato nella vasca. Ha nuotato un po' sott'acqua poi è riemerso e ha detto: «Scusatemi, non sopporto le barzellette».

Non c'è mai stato un anno così, perché lui è uno degli amici più divertenti che ho conosciuto nella mia vita.

Eravamo stati invitati a cena dall'ambasciatore italiano a Villa Italia, a Madrid. Il vino spagnolo, straordinario. Nel salone c'era un tavolo di cristallo enorme, sul cristallo c'erano almeno quaranta fotografie in cornici d'argento. Il re di Spagna, Saragat, il papa e poi centinaia di ninnoli d'argento, elefantini, candelabri e una stupenda lampada liberty di grande valore. Entriamo tutti. Gassman aveva tracannato quasi due caraffe di Riocha, un vino rosso quasi allucinogeno. Vicino al tavolo c'era una magnifica poltrona basculante di cuoio bianco. Si è seduto con violenza ed è andato all'indietro a forbice! Allora si è ancorato al cristallo e, cadendo con trenta chili di argento e cento milioni di lampada liberty, ha urlato: «Non vi preoccupate! Rispondo di tuttooo!».

Un Natale lo abbiamo passato tutti nella sua villa di Velletri. C'erano Marco Ferreri, Ugo Tognazzi, Luciano Salce, Sergio Leone, Volonté, le mogli bardate come alberi di Natale, tutti i figli e, soprattutto, Diavolo, il terrificante cane lupo di Tognazzi. Dopo cena si è alzato un po' di vento che fischiava attraverso il fogliame. Le nubi cominciano a oscurare la luna, i figli più piccoli a dormire. Un'atmosfera degna di Passo Borgo in Transilvania.

Gassman è seduto in poltrona vicino al caminetto acceso, un bicchiere di cognac in mano. Fuori si sente un ululato terrificante. Silenzio di tutti i presenti. Altro ululato, questa volta lunghissimo. Gassman abbassa gli occhi, accucciato a fianco alla sua poltrona c'è Diavolo, il cane lupo, che dormicchia. Lui si alza, butta il bicchiere di cognac nel fuoco e urla al cane: «Ma, allora, se non sei tu è… mio figliooo!».

Poi ci sono due capodanni a Cortina d'Ampezzo molto divertenti, molto allegri, entrambi in casa di nostri amici napoletani. Nel primo io compivo sessantuno anni, e nel secondo sessantatré. E lui mi ha scritto e mi ha letto queste due lettere.

La nostra è un'amicizia di frontiera:

qualche volta ci incontriamo al confine,

entrambi ricchi di solitudine vera che l'uno all'altro rende caro e affine.

Tu ti presenti al dazio in carovana con sessantuno bauli colorati; io ho un nécessaire pieno di fogli appuntati:

e nessuno dei due paga dogana.

Un giorno, Paolo, rifaremo un viaggio con un bagaglio alfine unificato: tu userai il mio rigore un po' malato,

io la fragilità del tuo coraggio. Auguri!

Vittorio

A Paolo per il suo 63° anno Ricordi? Ti scrissi anni fa pochi versi per il tuo compleanno.

Valgono ancora; e tuttavia si sa le cose della vita come vanno.

Oggi la mia mano è più fievole, ma l'affetto no: vale ancora quel couplet non svenevole che ti scrivevo allora.

Riprendi quell'augurio come viene e non volermene se la mia musa si è fatta un po' ripetitiva e confusa:

ti voglio ancora lo stesso tipo di bene.

Perché qualcosa di più nuovo si aggiunga avrei bisogno di una pausa più lunga.

Ecco, magari compi un anno ogni tre:

conviene a tutti, e soprattutto a te.

Vittorio
* * *

«So' preoccupato. So' molto preoccupato.»

Era la voce di Marco Ferreri. Parlava una poltiglia di romanesco e di dialetto del lago di Lecco, dove era nato.