«Preoccupato di che?» ho domandato io.
«Non me fa' domande. Te dico solo che so' molto preoccupato.»
Era febbraio.
Ad aprile una notte in casa sua in piazza Mattei a Roma, senza preavviso, di colpo ha riattaccato: «So' veramente preoccupato».
Eravamo in cucina con la televisione accesa.
«Ma preoccupato perché?»
«Te vedo pallido. Me pari un po' stanco.»
«No, sto benissimo, Marco.»
«Sta' a sentì. Tu non te ne accorgi ma io el mal sottile lo conosco» lui era veterinario «non lo devi sottovalutà.»
Un mese dopo a Parigi stavamo girando Non toccate la donna bianca. Al ristorante cinese Le Mandarin: «Sta' a sentì. Finito qua, namo in Corsica sul Cochecito» era la sua barca «così te riprendi».
Venti giorni dopo salendo in barca mi fa: «So' costretto a darte la stanza padronale, così dormi meglio».
«Ma no… non è il caso, davvero.»
«Per favore! Fa' come te dico.»
Sono le dieci del mattino dopo, siamo ancorati di fronte all'isola più bella del mondo: Lavezzi, in Corsica.
Bussano alla porta della stanza padronale. Dormivo. «Chi è?»
«So' io!»
Entra con il vassoio di una colazione trionfale: «Ce so' tre soli! Magna, magna, che te fa bene!». E, dopo una pausa: «So' preoccupato… ho paura che ti amministri male».
«No… non ti preoccupare, è un mio momento straordinario, guadagno molto…»
«Sei sicuro? Quanto c'hai in banca?»
«Molto» dico io.
«Allora damme subito tre milioni, che so' strozzato e devo pagà i marinai, che se no me buttano a mare!»
Gli ho fatto un assegno.
Il direttore della sua banca m'ha telefonato la settimana dopo: «Mi scusi, lo conosce bene lei Marco Ferreri?».
«Certo! È un mio amico. È un genio.»
«Sì, vabbe'» fa il direttore, «ma sa cosa mi ha scritto dietro il suo assegno? „E per me girate finché volete, che tanto non c'ho una lira!“.»
Quando Bernardo Bertolucci ha vinto nove Oscar con L'ultimo imperatore eravamo a casa di Marco in Corsica, a Ciappili. Accendo la televisione, RaiUno, e compaiono i nove vincitori che alzano gli Oscar al cielo. Avevo il telecomando in mano e passo subito alla seconda rete. Lui non protesta. La prima immagine: i nove che si abbracciano con gli Oscar in mano. Terza rete. Lui non dice nulla. Compare Bertolucci con i nove Oscar sul tavolo di casa sua a Los Angeles. Faccio sette cambi: Canale 5, Rete 4, Italia 1, Antenne un e Antenne deux, e la Cinq francesi. Sempre Bertolucci in una foresta di statuette. Alla Cinco spagnola Bertolucci intervistato da quaranta giornalisti americani. Chiudo.
Lui è di marmo.
Passano sei giorni infruttuosamente. E non abbiamo mai parlato di cinema, che era il nostro argomento preferito.
Ora sono le sette di sera, siamo vicini alla grotta Lo Sdragonato a pescare sul mio gozzo. Il mare è uno specchio, il sole è tramontato, i gabbiani ci svolazzano intorno con degli stridolii. Aspettano che noi si peschi almeno un'occhiata. Un lungo silenzio, era un momento veramente magico.
E lui, di colpo: «A me de quel là, non me ne pò fregà de meno!».
Non gli ho mai domandato di chi stava parlando.
Abbiamo tirato su le lenze e siamo andati a cena alla Caravelle.
Ugo Tognazzi aveva fama di grande cuoco, fare la cucina era la sua salvazione, un parafulmine senza il quale sarebbe finito alla fossa dei serpenti di Colorno, il rinomato manicomio femminile che aveva ospitato la Cianciulli, la Saponificatrice, e Rina Fort, la belva di via Rivale. Era pieno di buona volontà, ma non aveva il minimo senso delle misure. Insomma, non aveva assolutamente la vocazione del cuoco. Solo una tragica voglia di farlo. Tragica perché seviziava i suoi ospiti. Gli ho visto fare fette di mortadella panata con prosciutto e scamorza e maial tonné. Gli ospiti nuovi si abbuffavano, poi scomparivano dalla circolazione per alcuni giorni; altri, per sempre.
Un giorno mi ha telefonato: «Ho ucciso il maiale, faccio una cena».
«Ma quale maiale? Non hai mai voluto un maiale a Velletri.»
«No. Difatti l'ho ucciso vicino a Faenza, con l'automobile.»
Era stato circondato da un gruppo di contadini inferociti con roncole e forconi. Aveva una spider, ed era tornato con il maiale morto cinturato al suo fianco. Lo aveva dovuto comperare. Conservava tutto quello che gli regalavano in un gigantesco refrigeratore a casa sua a Torvajanica. Una volta a Ferragosto nel menù ha scritto: colomba pasquale con fette di panettone natalizio alla panna acida, brodetto di fagioli con le cotiche all'osso di Gigetto. Gigetto era il maiale investito a Faenza quasi tre anni prima.
La sua malattia proseguiva a passi da gigante. Aveva deciso di fare ogni venerdì la cena dei dodici apostoli. Aveva invitato dodici amici, fra i quali Benvenuti e De Bernardi, Mario Monicelli e altri. La cena si doveva chiudere con una votazione segreta. Queste le possibilità per ogni piatto: straordinario, ottimo, buono, sufficiente, cagata, grandissima cagata.
Lui era rimasto durante tutta la cena sulla porta della cucina a spiare ansimando le reazioni dei commensali. Viveva un momento di tensione terribile. Alla fine è passato con un bacile d'argento. Era vestito da cuoco e leggeva il menù, e per ogni piatto diceva: «Signori, si vota!» e passava a raccogliere i biglietti.
Alla fine prega Leo Benvenuti, che aveva la voce da attore, di leggere i risultati.
Primo piatto: tre insufficienze, cinque cagate e quattro grandissime cagate.
Secondo piatto: dodici cagate.
Terzo piatto: due cagate e dieci grandissime cagate.
Lui ha interrotto la votazione in silenzio, ha raccolto i biglietti e li ha chiusi in un busta.
E io: «Ma che te ne fai?».
«Lasciami perdere! Li porto da un grafologo.»
Sulla porta, quando stavamo andando via, si è accorto che Mario Monicelli aveva raccolto dei reperti della cena e gli ha domandato: «Dove li porti?».
E Monicelli, feroce: «All'istituto italiano di criminologia. Voglio sapere se si può fare qualcosa!».
Un anno, a Bologna, stavamo girando con Pupi Avati La mazurca del barone, della santa e del fico fiorone. Alla fine della lavorazione avevamo deciso di andare al cinema Arena del Sole. Eravamo con una strafiga sulla quale Tognazzi voleva fare colpo. Si era vestito da ragazzo: pancera sotto il maglioncino, scarpe con tacco mascherato e un po' di rimmel agli occhi.
Arriviamo alla cassa e lui: «Tre, per favore» trattenendo il respiro.
E la cassiera, carogna: «Due adulti e un anziano?».
Lui si è inalberato e ha urlacchiato di fronte a tutti: «Ma che te frega! Scema!».
«Volevo farla risparmiare!»
«Ma risparmiare che cosa!» ha urlato. «Ma va' a da' via i ciap!»
Si è voltato, mi ha preso per un braccio e m'ha detto: «Vieni, andiamo via. Mi è passata la voglia di andare al cinema».
Nel film di Avati c'era una giovane attrice che gli piaceva molto e che gli ha domandato: «Domani posso venire a Roma con te e Villaggio in macchina?».
Lui aveva una spider rosa a tre posti anteriori che si chiamava Matra. Era piena di gadget e di trucchi infernali che lui non riusciva a controllare. Partiamo la sera di sabato. Lui guidava, era felice e ciarliero come un quindicenne innamorato. La ragazza era al centro. Dopo Bologna lui dice: «Vi dispiace se fumo?», e si mette in bocca una sigaretta. E alla ragazza: «C'hai d'accendere?».
E quella, che era povera, tira fuori dalla borsetta un Cartier d'oro. Glielo passa, lui accende, spegne con una soffiata e butta l'accendino dal finestrino.
La ragazza è rimasta pietrificata e poi, quasi piangendo: «Il mio Cartier…».
Abbiamo fatto una paurosa inversione a U. Era notte fonda, e dopo un'ora abbiamo abbandonato le ricerche.