«Quale lettera?» ho ringhiato io.
Due giorni dopo sono finite le scuole. Ho ritardato l'uscita dell'una, sono uscito sul piazzale e, seduta sul muretto, c'era solo lei. Le sono passato vicino tenendo la testa bassa, e lei: «Scusa! Ti posso accompagnare a casa?».
«Non capisco di cosa mi vuoi parlare…» ho annaspato vergognosamente.
«Ci sono rimasta molto male… così, in pubblico, di fronte a tutti. La tua lettera era molto bella. Ma tu sei un cretino!»
Non l'ho mai più vista in vita mia.
L'anno dopo, era l'ultimo del liceo, il primo giorno di scuola pioveva e il professore di latino, quello squilibrato, prima di fare l'appello ha detto: «Ci siamo tutti, ma purtroppo manca…», e ha fatto il nome di lei, «perché si è trasferita a Milano con la famiglia».
Io ho provato una strana sensazione, come se qualcuno, infilandomi la mano e tutto il braccio in gola, mi avesse asportato le interiora come a un pollo ruspante.
Tre anni dopo mi hanno detto che si era sposata con un dentista di Milano.
Quell'ultimo anno di liceo era cominciato male.
Erano le undici di un qualunque mattino d'autunno, stavamo azzannando un pezzo di focaccia. Com'era buona la focaccia di allora! Come mi piacerebbe poterne riaddentare solo un pezzetto, mi farei tagliare la mano sinistra.
Siamo nel cortile per l'intervallo. La voce della gobba: «Zitti tutti, per favore! Zitti! Quest'anno c'è una grande novità: noi tutte ragazze del liceo Andrea Doria abbiamo eletto con voto segreto il più bello…», e qui fece una pausa respirando profondamente, era emozionata, poi con voce languida, «di tutta la scuola».
Tirò fuori dalla tasca del grembiule la pagina piegata di un quaderno quadrettato.
«Il più bello di tutta la scuola è… Tonino Sciaccaluga!»
Le ragazze hanno urlato tutte e applaudito, gli si sono fatte intorno veramente felici, non certo come quelle concorrenti che circondano la nuova miss Italia fingendo ignominiosamente felicità, mentre in realtà vorrebbero farla a pezzi.
Sciaccaluga era veramente un bel ragazzo e tutte a toccarlo, molte erano sinceramente commosse, quasi tutte innamorate di lui.
Dopo due mesi, prima di Natale, sempre nel cortile all'ora della focaccia, la gobba: «Zitti tutti! Abbiamo rifatto l'elezione del più bello del liceo». Tirò fuori il solito foglietto e questa volta con voce sicura disse: «Anche questa volta il più bello è… Tonino Sciaccaluga!».
Squittii, urletti da parte di tutte.
Verso febbraio, solita scena. La gobba, foglietto in mano: «Il più bello è…», e qui molte voci dei maschi un po' annoiate: «Tonino Sciaccaluga!».
E la gobba: «Siete solo degli invidiosi. Fermi, però! Non andate via, questa volta c'è una grande novità. Noi, ragazze del liceo Andrea Doria, per la prima volta abbiamo eletto», e qui fece un pausa feroce, «il più brutto di tutta la scuola!».
Ci bloccammo tutti. Questa volta c'era un silenzio di marmo. La gobba ghignava sadicamente. Non tirò fuori neppure il foglietto e urlacchiò: «Il più brutto di tutti», e su quel brutto sembrava che stesse per vomitare, «è… è…», e fece il mio nome!
Io sono rimasto lì, in mezzo a tutti, un po' stordito, come se la cosa non mi riguardasse. Sapete come quando vi danno una brutta notizia, e non ci credete, e pensate: «No! Non è possibile! Non può essere successo proprio a me!».
Cominciarono tutti, uomini e donne, a gracchiare come iene maledette: «Ha, ha, ha! Hi, hi, hi!».
Io mi sono ricomposto e fingendo, come ho sempre fatto nella vita, di essere di spirito, ho fatto: «Ho, ho, ho!», e quel tentativo di risata mi si è spento in gola, come il tragico gracidio di un rospo.
All'ultima ora ho chiesto al professore squilibrato di essere rimandato a casa.
«Mi scusi, ma non mi sento molto bene.»
Alla fine dell'anno, era quasi estate, c'era nel cortile della scuola una festa serale a lume di candela. Era la festa d'addio. Poi ognuno per la sua strada. Chissà se ci saremmo rivisti. Le ragazze erano quasi tutte intorno a Tonino Sciaccaluga. Erano disperate, correva voce che si era fidanzato con una bella ragazza di Priaruggia e che si sarebbe sposato dopo la laurea.
La gobba montò su una sedia: «Zitti tutti! Prima dell'addio vi voglio dire chi è stato eletto il più bello di questi ultimi cinque anni: Tonino Sciaccaluga!».
I maschi non sembravano molto rallegrati da quella notizia. E lui, stronzo, faceva una faccia rassegnata come per dire: «Credetemi… è una cosa che conta poco. Non me ne importa quasi niente!».
E la gobba, implacabile: «Non è finita qua, però! Adesso vi leggo il nome del più brutto di tutti questi ultimi anni», e con l'artiglio fece un gesto circolare, quasi volesse dire il più brutto non solo della scuola, ma di tutta la galassia.
Io mi sono allontanato in silenzio prevedendo il peggio e quand'ero già al cancello ho sentito il mio nome, e tutti a gracidare e ad applaudire divertiti.
Dopo quasi cinquantanni, ricco, famoso e arrogante, caracollavo nel salottino della Freccia Alata di Linate con un gruppo di ladri, lupi mannari, farabutti e tangentisti con i denti insanguinati. Ero fierissimo di appartenere a quel gruppo feroce in quella specie di galoppatoio.
Per molti anni non mi hanno fatto entrare, poi sono riuscito a farmi accettare, ma non mi salutava nessuno. C'era Eugenio Scalfari, il fondatore della «Repubblica». Io sono entrato, lui mi ha sorriso, e allora io un po' emozionato gli sono andato incontro con la mano tesa. Lui mi ha schivato ed è andato a stringere la mano a uno alle mie spalle. Io, sempre con la mano tesa, sotto gli occhi di una hostess di terra ho mormorato: «Sto appunto qui cercando… un giornale…».
Quella non ha neppure sorriso, ma le ho fatto pena.
Passano quasi due anni. Alla Freccia Alata di Fiumicino, vestito da ricco, con la faccia da ricco, pronti a partire per la costa Smeralda. Ed ecco Scalfari, vestito da Scalfari, con una magnifica giacca di lino irlandese. Mi sorride, io mi alzo, gli vado incontro con la mano tesa e dico: «Finalmente adesso lei mi ricono…». Lui mi schiva come se fossi un rettile e va a stringere la mano sempre allo stesso vip di Linate, che era alle mie spalle. M'è venuto anche il sospetto che lui se lo portasse dietro per umiliare alcuni sventurati come me. Lo metteva in asse e il gioco era fatto.
Ero comunque in un momento di grande euforia, essere immerso in quel branco di ladri mi inorgogliva. Sono entrato in una specie di balordone di felicità e stringevo le mani a tutti, anche se spugnate.
Sono passato troppo vicino alla cellula che apre le porte automatiche smerigliate e le porte si sono spalancate e poi richiuse. Solo un attimo, che mi è bastato per intravedere un signore anziano che mi salutava sorridendo. Io con la mano sotto alla fotocellula ho riaperto le porte incuriosito. Un vecchio, dimesso, curvo in avanti, mi fa con tono rispettoso: «Ciao, ti ricordi, no?».
«No… no, così… sinceramente ora non…»
«Ma Paolo, sono Tonino, Tonino Sciaccaluga, ricordi?»
Certo che me lo ricordavo. Era un po' cambiato: pelato come un ginocchio, quattro denti su trentadue. Ero disorientato.
«Ti ricordi adesso di me?» fa lui. «Mi trovi un po' cambiato?»
«Ma no!» ho detto io ferocemente. «Sei uguale! Vieni dentro!», e gli ho fatto il gesto di entrare. Lui ha fatto solo un passo.
I lupi mannari l'hanno subito guardato come uno scarafaggio e le hostess della Freccia Alata, spintonandolo fuori: «No, no! Ci scusi, ma il signore non può entrare».
Le porte si sono richiuse e lui è scomparso dalla mia vita. Non sono neppure uscito a salutarlo.