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«Lasciamolo comunque ancora in prova», propose Traynor. «Non possiamo correre rischi, ha già avuto una ricaduta.»

Il dottor Cantor si sedette e Traynor, visto che non c’erano altri interventi, pose fine alla riunione. Lui e la signora Beaton rimasero a riordinare i loro appunti, mentre gli altri uscivano subito dalla sala per dirigersi all’Iron Horse Inn. Quando rimasero soli, incrociarono i loro sguardi. Un attimo dopo si abbracciarono appassionatamente.

Mano nella mano, raggiunsero in fretta l’ufficio di Traynor, dall’altra parte del corridoio. Lì, nella semioscurità, fecero l’amore sul divano, con frenesia, come avevano fatto per quasi un anno dopo ogni riunione del comitato esecutivo. Non ci misero molto e non si diedero nemmeno la pena di spogliarsi.

«Penso che la riunione sia andata bene», disse lui quando ebbero finito, mentre si ricomponevano.

«Sì, penso anch’io», convenne Helen. Accese una lampada e si guardò allo specchio, pronta a rifarsi il trucco. «Mi è piaciuto il modo in cui hai gestito la questione dell’illuminazione nel parcheggio. Hai evitato che si svolgesse un dibattito inutile.»

«Grazie», disse lui, evidentemente compiaciuto.

«Ma mi preoccupa la situazione finanziaria. L’ospedale potrebbe non farcela.»

«Hai ragione», ammise Traynor con un sospiro. «Anch’io sono preoccupato. Tirerei volentieri il collo a quelli del CMV. Questa faccenda della ‘competizione controllata’ potrebbe portarci alla bancarotta. Se non avessimo accettato il regime di contributi individuali, non avremmo ottenuto il contratto con loro e avremmo chiuso. Ma adesso rischiamo di dover chiudere baracca lo stesso.»

«Tutti gli ospedali hanno i loro guai. Dovremmo averlo bene in mente, anche se non è certo una consolazione.»

«Pensi che ci sia qualche possibilità di rinegoziare il contratto con il CMV?»

La donna rise con sarcasmo. «No di certo.»

«Non so che altro fare», si lamentò Traynor. «Continuiamo a perdere soldi, nonostante il piano MDUR proposto da Cantor.»

Helen Beaton rise. «Quella sigla è quasi impronunciabile: ‘Misure drastiche di utilizzazione delle risorse’. Dovremmo trovarne un’altra. Che cosa ne dici di MICDUR? ‘Misure di controllo drastiche per l’utilizzazione delle risorse?’ Suona meglio.»

«Va bene, va bene, l’importante non è la sigla. Se soltanto non fossi stato tanto stupido a fissare una quota di contributi così bassa!»

«Io e Caldwell abbiamo avuto un’idea che potrebbe essere di grande aiuto», disse lei prendendo una poltroncina e sedendosi di fronte al suo amante.

«Non dovremmo raggiungere gli altri all’Iron Horse Inn?» propose lui. «Non vorrei che nascessero sospetti. La città è piccola.»

«Ci vorrà solo un attimo. Caldwell e io ci siamo scervellati per capire come mai queste quote sono troppo basse, poi abbiamo capito: le abbiamo stabilite in base alle statistiche di ospedalizzazione forniteci dal CMV, che si basavano sulla sua esperienza con l’ospedale di Rutland.»

«Pensi che ci abbiano fornito dati fasulli?»

«No, no, ma come tutti gli enti mutualistici che gestiscono ospedali propri, anche il CMV incentiva i propri medici a limitare la durata dei ricoveri.»

«Vuoi dire che paga i medici?» chiese Traynor.

«Esatto, una specie di tangente. Più un medico riduce le sue percentuali di ricovero, maggiore è l’incentivo. È molto efficace. Caldwell e io pensiamo di poter applicare lo stesso incentivo nel nostro ospedale. L’unico problema è che dovremmo disporre di un capitale iniziale, una volta che il sistema entra in funzione, si paga da solo.»

«Mi sembra un’ottima idea», commentò Traynor con entusiasmo. «Magari riusciremo a non avere più i conti in rosso.»

«Fisserò una riunione con Charles Kelley per discuterne», propose Helen, mentre s’infilava la giacca.

«Spero proprio di non ottenere l’autorizzazione per le operazioni a cuore aperto», disse poi, quando erano già nel corridoio. «Il CMV deve continuare a mandare a Boston i pazienti che hanno bisogno di un bypass.»

«Sono assolutamente d’accordo ed è per questo che sono stato a Montpelier, oggi. Ho cominciato a lavorare dietro le quinte per esercitare pressioni negative.»

«Se ottenessimo l’autorizzazione, i nostri conti andrebbero ancora di più in rosso.»

Arrivati al parcheggio, Traynor e Beaton si diressero verso le loro macchine, parcheggiate una di fianco all’altra. Prima di salire sulla propria, Traynor si guardò intorno, soffermandosi a osservare il folto gruppo di alberi che separava il parcheggio inferiore da quello superiore.

«È più buio di quanto ricordassi», osservò. «L’illuminazione è proprio necessaria.»

«L’avremo.»

«Con tutte le cose di cui dobbiamo preoccuparci, ci mancava anche lo stupratore! Come sono andate esattamente le cose, la scorsa notte?»

«È accaduto verso mezzanotte e questa volta non si è trattato di un’infermiera, ma di una volontaria, Marjorie Kleber.»

«L’insegnante?»

«Sì, da quando si è ammalata, svolge molto lavoro volontariato nei fine settimana. L’aggressore risponde alla solita descrizione: alto circa un metro e ottantacinque, con grandi occhiali da sci. Aveva anche un paio di manette.»

«Particolare sfizioso», commentò Traynor. «E come è riuscita a salvarsi?»

«Per pura fortuna. Stava passando il guardiano notturno.»

«Forse dovremmo aumentare il personale di sorveglianza», suggerì Traynor.

«Ma non abbiamo soldi.»

«Magari potremmo parlarne a Wayne Robertson e vedere se la polizia può fare qualcosa.»

«Gli ho già parlato, ma non ha abbastanza agenti per tenerne fisso uno qui ogni notte.»

«Mi chiedo se Hodges avesse davvero un’idea sull’identità dello stupratore», mormorò Traynor.

«Pensi che la sua sparizione possa avere qualcosa a che fare con i suoi sospetti?» gli chiese la donna.

Lui alzò le spalle. «Non ci avevo pensato, ma è possibile. Non era il tipo da tenere la bocca chiusa.»

«Fa paura pensarci.»

«Già. In ogni caso, voglio essere immediatamente informato, se ci sono altre aggressioni. Non voglio sorprese durante le riunioni del comitato esecutivo.»

«Mi spiace, ma ho provato a telefonarti. D’ora in poi troverò il modo di informarti.»

«Ci vediamo all’Iron Horse», concluse Traynor salendo sulla propria auto.

3

Giovedì 20 maggio

«Devo andare a prendere mia figlia al doposcuola», annunciò Angela a uno dei suoi colleghi, Mark Danforth.

«Che cosa pensi di fare di tutti questi vetrini?» chiese lui.

«Che ne so», sbottò Angela, «devo andare a prendere mia figlia.»

«Ehi, non sbranarmi, chiedevo solo. Magari posso darti una mano.»

«Scusami, sono esausta», mormorò Angela, mentre ne sceglieva cinque. «Se potessi dare un’occhiata a questi, te ne sarei grata in eterno.»

«Non c’è problema», disse Mark, unendoli ai propri.

Angela coprì il microscopio, afferrò le proprie cose e corse fuori dall’ospedale, ritrovandosi ben presto nel traffico caotico di Boston all’ora di punta.

Quando arrivò a scuola, trovò Nikki seduta sui gradini davanti al portone chiuso. L’edificio era circondato da un mare di cemento e sui muri campeggiavano scritte oscene, mentre dall’altro lato della strada, era visibile il ricovero di cartone di un barbone.

«Scusami, ho fatto tardi», disse Angela a Nikki, facendola salire in macchina.

«Non importa. Però avevo paura, perché oggi a scuola c’è stato trambusto. È arrivata la polizia.»