«Voglio parlare adesso!» sbraitò Hodges. «Non mi piace quello che state facendo, lei e il suo consiglio di amministrazione!»
«Ascolti, vecchio scemo!» sbottò Traynor. «Abbassi la voce! Non ho la minima idea di che cosa abbia in mente, ma le dirò che cosa abbiamo fatto finora io e il consiglio di amministrazione: abbiamo fatto i salti mortali per tenere aperto questo ospedale, e non è un compito facile, di questi tempi. Adesso sia ragionevole e ci lasci lavorare.»
«Non ho intenzione di aspettare», incalzò Hodges. «Parlerò a lei e a Beaton adesso. Sono le sciocchezze come le diete, il cambio di biancheria e le stupidaggini delle infermiere che possono aspettare.»
«Ah!» esclamò Nancy Widner. «È proprio da lei, dottor Hodges, irrompere qua e insinuare che ciò che riguarda le infermiere non è importante. Vorrei che sapesse…»
«Basta!» intervenne Traynor, allargando le braccia con un gesto conciliatorio. «Non degeneriamo. La questione è, dottor Hodges, che siamo qui riuniti per parlare del tentativo di violenza carnale che c’è stato la settimana scorsa. Sono sicuro che non sosterrà che uno stupro e due tentativi di stupro da parte di un uomo con il viso coperto da grossi occhiali da sci non sono importanti.»
«È una cosa importante, ma non quanto quella che ho in mente io. Inoltre, è chiaramente un problema interno.»
«Un momento! Vorrebbe dire che lei conosce l’identità dello stupratore?»
«Mettiamola così, ho i miei sospetti. Comunque, ora non m’interessa parlare di questo, ma bensì di questi pazienti.» Hodges sbatté con forza sul tavolo i fogli che stringeva in mano.
Helen Beaton sobbalzò e disse: «Come osa irrompere qui dentro come se fosse a casa propria e dire a noi quello che è importante e quello che non lo è?»
«Va bene, va bene», intervenne Traynor, frustrato. La sua riunione, ormai, era andata a farsi benedire. Raccolse le carte di Hodges, gliele ficcò in mano e lo accompagnò alla porta. Dopo una leggera resistenza iniziale, Hodges si lasciò condurre fuori.
«Dobbiamo parlare, Harold», disse lui quando furono nel corridoio. «È una questione seria.»
«Ne sono sicuro», rispose Traynor, cercando di avere un tono sincero. Sapeva che avrebbe dovuto ascoltare le lamentele di Hodges: quell’uomo aveva assunto l’incarico di amministratore dell’ospedale quando lui faceva ancora le elementari, quando cioè la maggior parte dei medici rifuggiva da quella responsabilità. In quei trent’anni d’incarico, aveva trasformato un piccolo ospedale di campagna in un policlinico attrezzatissimo. Era questo che aveva passato a Traynor quando, tre anni prima, si era dimesso.
«Senti», continuò Traynor, «qualunque cosa tu abbia in mente, può di sicuro aspettare fino a domani, ne parleremo a colazione. Farò in modo che si uniscano a noi anche Barton Sherwood e il dottor Delbert Cantor. Se ciò di cui vuoi parlare riguarda le scelte amministrative, è meglio avere con noi il vicepresidente e il capo del personale medico. Sei d’accordo?»
«Penso di sì», ammise Hodges, riluttante.
«Allora è deciso», disse Traynor con tono suadente, desideroso di ritornare dentro a salvare il salvabile della sua riunione. «Li contatterò stasera stessa.»
«Anche se non sono più amministratore», aggiunse ancora Hodges, «mi ritengo ancora responsabile di quello che succede qua. Dopotutto, se non fosse stato per me, tu non saresti entrato nel consiglio di amministrazione, né tantomeno eletto presidente.»
«Certo», concordò Traynor, che tentò una battuta. «Non so se ringraziarti o maledirti per questo dubbio onore.»
«Mi preoccupa vedere che il potere ti ha dato alla testa», ribatté Hodges.
«Oh, via! Che cosa intendi per ‘potere’? Questo incarico non è che un grattacapo dopo l’altro.»
«Stai gestendo qualcosa che vale cento milioni di dollari, si tratta dell’incarico più prestigioso di questa parte dello Stato. Questo è potere.»
Traynor rise nervosamente. «Già, ed è una spina nel fianco. Siamo fortunati a essere ancora in ballo. Non c’è bisogno di ricordarti che i nostri due concorrenti non esistono più: il Valley Hospital ha chiuso e il Mary Sackler è stato trasformato in casa di riposo.»
«Possiamo anche essere rimasti aperti, ma temo che i tuoi uomini d’affari stiano dimenticando la missione che ha l’ospedale.»
«Merda!» sbottò Traynor. «I vecchi medici devono adeguarsi alla nuova realtà. Non è facile gestire un ospedale, nella situazione attuale di tagli ai costi, di gestione manageriale dell’assistenza e di interventi governativi. I tempi sono cambiati e richiedono nuove strategie di adattamento per sopravvivere. È Washington a pretenderlo.»
Hodges rise in modo canzonatorio. «Washington non pretende certamente quello che in questo momento state facendo tu e i tuoi seguaci.»
«Al diavolo, se non lo fanno», reagì Traynor. «Si chiama competizione, Dennis. Sopravvivenza del più forte. Niente più giochi di prestigio per gonfiare i costi, come eravate abituati a fare voi.»
Traynor si fermò, rendendosi conto che stava perdendo il controllo. Si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte e respirò a fondo. «Ascolta, Dennis, ora devo ritornare in sala riunioni. Tu va’ a casa, calmati, rilassati e cerca di dormire. Ci rivediamo domani e, qualsiasi cosa tu abbia in mente, la prenderemo in considerazione, va bene?»
«Sono un po’ stanco», ammise Hodges.
«Certo che lo sei.»
«Domani a colazione? Promesso? Niente scuse?»
«Assolutamente», lo rassicurò Traynor, dandogli una pacca sulla spalla. «In trattoria a mezzogiorno in punto.»
Traynor guardò sollevato il proprio vecchio maestro trascinarsi verso l’atrio con la sua caratteristica andatura sgraziata, poi tornò nella sala riunioni.
«Scusate l’interruzione», disse. «Purtroppo, il vecchio dottor Hodges ha la capacità di comparire nei momenti meno opportuni.»
«Ha l’abitudine d’irrompere nel mio ufficio per lamentarsi che qualcuno dei suoi ex pazienti non riceve un trattamento da vip», intervenne Helen Beaton. «Si comporta come se fosse lui a gestire questo posto.»
«Il cibo non è mai di suo gradimento», si sfogò Geraldine Polcari.
«E neppure la pulizia delle stanze», aggiunse Gloria Suarez.
«Viene nel mio ufficio almeno una volta alla settimana», disse Nancy Widner. «Sempre la stessa lamentela: le infermiere non rispondono abbastanza in fretta alle richieste dei suoi ex pazienti.»
«Si è autoproclamato loro difensore ufficiale», fu il parere di Helen Beaton.
«Sono le uniche persone che lo sopportano», disse Nancy. «Tutti gli altri lo ritengono un vecchio babbeo irascibile.»
«Pensate che conosca davvero l’identità dello stupratore?» chiese Patrick Swegler.
«Ma no, figurarsi!» fu il parere di Nancy. «È soltanto uno sbruffone.»
«Lei che cosa ne pensa, signor Traynor?» insistette Patrick Swegler.
Traynor alzò le spalle. «Dubito che sappia qualcosa, ma domani glielo chiederò di certo, ci vediamo a colazione.»
«Non la invidio», commentò Helen Beaton.
«Non ci vado volentieri, infatti», ammise Traynor. «Sono sempre stato convinto che meriti un po’ di rispetto ma, per essere sincero, la mia scorta si sta esaurendo. Ma adesso ritorniamo alla questione di cui stavamo discutendo.» Traynor riprese subito le redini della riunione, ma ormai la serata era rovinata.
Hodges arrancò lungo Main Street, camminando in mezzo alla strada. Per il momento non circolavano veicoli: lo spartineve non era ancora passato e uno strato di neve spesso circa cinque centimetri ricopriva la città; intanto, continuavano a cadere altri fiocchi di neve.
Mentre si dirigeva a casa, Hodges sentì rimontare dentro di sé la collera. Si fermò un attimo per scrutare in lontananza la sagoma dell’ospedale che si stagliava oltre il parco coperto di neve. Fu percorso da un brivido e colto da una specie di presentimento. Aveva dedicato la sua vita all’ospedale perché servisse la gente di quella città, ma ora temeva che venisse meno alla sua missione.