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«Per la riunione e per il dopo riunione», le rispose lui con un sorriso voglioso.

«Non sono sicura del dopo. Dobbiamo parlare.»

«Parlare di che cosa?» Non era certo questo che Traynor voleva sentirsi dire.

«Ora non è il momento più opportuno», replicò lei. Patrick Swegler e Wayne Robertson si stavano avvicinando.

Traynor si appoggiò alla staccionata, si sentiva un po’ debole. L’unica cosa su cui faceva affidamento era l’affetto di Helen. Si chiese se lo tradisse, magari con un imbecille come Charles Kelley. Sospirò; c’era sempre qualcosa che andava storto.

Patrick Swegler gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi. Traynor lo considerava un duro.

«Non c’era molto che potessimo fare», esordì Swegler, rifiutandosi di sentirsi intimorito a causa dell’incidente. «L’infermiera aveva fatto un doppio turno e non ha chiamato la squadra della sicurezza prima di uscire, come abbiamo ripetutamente consigliato di fare di notte. Per peggiorare le cose, aveva la macchina nel parcheggio superiore, essendo arrivata di giorno. Come sa, lì non c’è illuminazione.»

«Gesù Cristo! Ma perché non ha chiamato la squadra di sicurezza?»

«Non mi è stato detto.»

«Se avessimo il garage, il problema sarebbe risolto», ripeté Helen Beaton.

«Dov’è Werner Van Slyke dell’ufficio tecnico?» domandò Traynor. «Fatelo venire qua.»

«Dovrebbe sapere che il signor Van Slyke non partecipa a nessuna iniziativa mondana dell’ospedale», gli ricordò Helen.

«Accidenti, è vero! Ma voglio che gli dica da parte mia che il parcheggio superiore dev’essere illuminato come l’altro. Dev’essere illuminato come uno stadio!»

Poi Traynor si rivolse a Robertson. «E come mai voi non siete ancora riusciti a scoprire chi è questo maledetto stupratore? Considerando le dimensioni della città e il numero di stupri, compiuti tutti presumibilmente dalla stessa persona, dovreste per lo meno avere un sospetto.»

«Ci stiamo lavorando.»

«Non vuoi venire alla tenda?» propose Helen a Traynor, quando Robertson si fu allontanato.

«Sì», rispose lui, furente. «Per lo meno, ci ricaverò qualche fratto di mare.» La prese per un braccio e si diresse verso il cibo.

Stava per tornare sull’argomento che avevano abbandonato, quando Caldwell e Cantor li scorsero e si avvicinarono. Caldwell era di un umore particolarmente allegro.

«Immagino che lei sia già al corrente del buon funzionamento del sistema degli incentivi», disse a Traynor. «Le cifre di agosto sono incoraggianti.»

«No, non lo sapevo», rispose lui, voltandosi verso Helen.

«È vero», confermò lei. «Presenterò le statistiche stasera. Il bilancio va bene, i ricoveri CMV del mese di agosto sono del quattro per cento inferiori all’anno scorso. Non è molto, ma va nella direzione giusta.»

«È incoraggiante ascoltare una buona notizia, una volta tanto», commentò Traynor, «ma non ci possiamo rilassare. Parlavo con Arnsworth, venerdì scorso, e mi ha avvisato che le perdite ricompariranno quando sarà finita la stagione turistica. Nei mesi di luglio e agosto l’ospedale ospita molti pazienti paganti, che non sono iscritti al CMV. Adesso i turisti torneranno a casa.»

«Credo che dovremmo riattivare le nostre drastiche misure di controllo dell’utilizzo delle risorse, almeno fino alla fine di questo contratto con il CMV», disse Helen.

«Certo, non abbiamo altra scelta», confermò Traynor. «Il controllo dovrà essere drastico. A proposito, vi informo ufficialmente che abbiamo cambiato la sigla, d’ora in poi sarà MICDUR.»

Tutti ridacchiarono e Cantor fece finta di essere dispiaciuto. «Oh, oh, come inventore del progetto, mi ero affezionato a quella vecchia!» Nonostante il sole estivo, non aveva perso il suo pallore e le gambe gli spuntavano bianchissime dai bermuda.

«Ho da sottoporle una questione di politica sanitaria», disse Caldwell a Traynor. «In regime di MICDUR, come si considera una malattia cronica come la fibrosi cistica?»

«Non lo chieda a me, non sono un medico. Che cosa diavolo è la fibrosi cistica?»

«È una malattia cronica ereditaria», spiegò Cantor. «Provoca moltissimi problemi respiratori e gastrointestinali.»

«È mortale?»

«Di solito, ma con una terapia respiratoria intensiva alcuni pazienti possono vivere svolgendo attività normali fino ai cinquant’anni circa.»

«A quanto ammonta il costo annuo?»

«Una volta che i problemi respiratori si sono radicati, può arrivare a ventimila dollari l’anno.»

«Buon Dio!» esclamò Traynor. «Con costi simili, va inclusa nel programma drastico di controllo. È una malattia comune?»

«Una ogni duemila nascite.»

«Oh, al diavolo!» esclamò Traynor. «È troppo rara per preoccuparcene.» Poi salutò Caldwell e Cantor che se ne andarono per i fatti loro e propose a Helen: «Andiamo a mangiare».

Tutti coloro che Traynor incontrava avvicinandosi alla tenda lo salutavano a gran voce o gli facevano un cenno. Sua moglie aveva ragione: adorava quel genere di riunioni mondane, lo facevano sentire un re. Quel giorno era vestito in modo sportivo ma distinto: pantaloni ampi e comodi, camicia a maniche corte aperta sul collo, mocassini senza calze. Evitava i bermuda in occasioni simili e poco prima si era stupito nel vedere che Cantor li indossava.

La sua felicità fu raffreddata dall’ avvicinarsi di Jacqueline, che gli chiese con tono sarcastico: «Ti diverti, caro? Sembra proprio di sì».

«Che cosa dovrei fare?» ribatté lui. «Andare avanti e indietro aggrottando la fronte?»

«Non vedo perché no, è quello che fai quasi sempre quando sei a casa.»

«Forse farei meglio ad andarmene», disse Helen, accennando ad allontanarsi, ma Traynor la prese per il braccio.

«No», le disse, «vorrei saperne di più sulle statistiche di agosto, per la riunione di stasera.»

«In questo caso, me ne vado io», decise Jacqueline. «Credo che andrò a casa, Harold caro. Ho mangiato un boccone e ho parlato con le uniche due persone di cui m’importi qualcosa. Sono sicura che uno dei tuoi colleghi sarà più che felice di darti un passaggio.»

Traynor e Helen la guardarono trotterellare via nell’erba alta sulle sue scarpette da sera.

«All’improvviso mi è passata la fame», affermò Traynor. «Andiamo ancora un po’ in giro.»

Scesero fino al lago e rimasero un po’ a guardare la partita di pallavolo, poi si diressero verso il campo di softball.

«Di che cosa mi volevi parlare?» domandò Traynor, chiamando a raccolta tutto il suo coraggio.

«Di noi, della nostra relazione, di me. Il lavoro che svolgo è interessante, stimolante, mi diverto, ma quando mi hai assunta era sottinteso che la nostra relazione avrebbe avuto degli sviluppi. Avevi detto che stavi per ottenere il divorzio, ma non è successo e io non voglio passare il resto della mia vita a nascondermi. I nostri incontri non mi bastano, voglio di più.»

Traynor sentì un sudore freddo imperlargli la fronte. Con tutto quello che stava accadendo all’ospedale, non ce la faceva a gestire anche quella faccenda. Non voleva porre fine al rapporto con Helen, ma non c’era modo di riuscire ad affrontare Jacqueline.

«Tu pensaci», aggiunse lei, «ma fino a quando non cambierà qualcosa, i nostri appuntamenti nel mio ufficio dovranno finire.»

Traynor annuì, per il momento, era la cosa migliore che potesse sperare. Raggiunsero il campo di softball, dove stava per cominciare una partita.

«C’è il dottor Wadley», disse Helen che agitò il braccio per salutarlo. Gli era accanto una donna giovane e attraente dai capelli scuri, in pantaloni corti. Aveva in testa un berretto da baseball, girato da un lato in modo sbarazzino.

«Chi è la donna che è con lui?» domandò Traynor, desideroso di cambiare argomento.

«La nostra nuova patologa, Angela Wilson. La vuoi conoscere?»