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«Voglio andare a casa», si lamentò, quando li vide alzarsi.

«Lo credo bene e anche noi ti vorremmo a casa», replicò Angela, «ma dobbiamo seguire gli ordini del dottor Pilsner. Parleremo con lui domattina.»

Nikki salutò i genitori asciugando una lacrima e afferrando il telecomando con l’altra mano. Pur essendo abituata ai ricoveri in ospedale, soffriva restare lontana da casa. L’unica nota positiva era che poteva guardare la televisione quanto voleva e scegliere i programmi desiderati, cosa che normalmente non le era permesso.

Per tutta la strada fino a casa, David e Angela non parlarono. L’unico rumore fu quello del tergicristallo. Ognuno dei due pensava che l’altro fosse giù di corda per Nikki, per il weekend deludente e per la pioggia.

Quando imboccarono il vialetto di casa, Angela informò David che un esame preliminare alla coltura dello sputo di Nikki faceva pensare allo pseudomonas aeruginosa. «Non è un buon segno», aggiunse. «Quando quel tipo di batterio colpisce chi è affetto da fibrosi cistica, può provocare anche la morte.»

«Non c’è bisogno che me lo dici», replicò David.

Senza Nikki, la cena fu malinconica. Mangiarono in cucina, ascoltando la pioggia che batteva insistente contro le finestre. Quando ebbero finito, Angela trovò le parole per raccontare al marito ciò che era accaduto fra lei e il suo capo.

David l’ascoltò a bocca aperta e, quando lei ebbe finito, esclamò sbalordito: «Che bastardo!» Batté la mano a palmo aperto contro la tavola e scosse la testa. «Un paio di volte mi è passato per la testa che forse si comportava in modo un po’ troppo sdolcinato, come quel giorno al picnic, ma poi mi convincevo che si trattava di ridicola gelosia da parte mia e invece le mie intuizioni erano giuste.»

«Non lo so, non ne sono sicura. È per questo che esitavo a parlartene, non voglio che saltiamo subito alle conclusioni. Ma è una cosa che mi mette estremamente a disagio. Non è giusto che noi donne dobbiamo affrontare questo genere di situazioni.»

«Sì, è un vecchio problema. Le molestie sessuali ci sono sempre state, soprattutto da quando voi donne siete entrate nel campo del lavoro. Anche nel settore della medicina: ai vecchi tempi tutti i medici erano maschi e tutte le infermiere femmine.»

«E anche adesso che il numero di medici donna è aumentato, non è cambiato molto», aggiunse Angela. «Ti ricorderai qualcuna delle situazioni che ho dovuto sopportare alla facoltà di medicina.»

David annuì. «Mi spiace per quello che è accaduto», disse. «So quanto ti trovavi bene con il dottor Wadley. Se vuoi, salto immediatamente in macchina, vado a casa sua e gli do un pugno sul naso.»

Angela sorrise. «Grazie per il sostegno.»

«Pensavo che stasera tu fossi silenziosa perché eri preoccupata per Nikki o arrabbiata per il weekend.»

«Il weekend è acqua passata e Nikki sta migliorando.»

«Anch’io ho avuto una brutta giornata», si decise a rivelare David. Prese una birra dal frigo, ne bevve una lunga sorsata, poi raccontò alla moglie dell’incontro con Kelley e con il burocrate di Burlington.

«Ma è scandaloso!» esclamò lei. «Che coraggio, parlarti in quel modo! Specialmente con la valutazione positiva che hai avuto da parte dei tuoi pazienti.»

«Pare che questo non conti poi molto.»

«Ma stai scherzando? Lo sanno tutti che il rapporto medico-paziente è il pilastro per una buona assistenza sanitaria.»

«Già, ma forse non è più di moda», commentò amaramente David. «La realtà attuale è governata da persone come Charles Kelley. Fa parte del nuovo esercito di burocrati creati dall’intervento del governo. All’improvviso, l’economia e la politica hanno invaso il campo della medicina. Temo che la preoccupazione maggiore sia il bilancio, non l’assistenza ai pazienti.»

Angela scosse la testa.

«Il problema è Washington», continuò David. «Ogni volta che il governo cerca di fare seriamente qualcosa per l’assistenza sanitaria, sembra che faccia solo confusione. Prendi per esempio l’assistenza sanitaria statale per gli anziani e quella per gli indigenti: sono tutte e due un gran casino e hanno effetti disastrosi sulla medicina in generale.»

«Che cosa hai intenzione di fare?» domandò Angela.

«Non lo so. Cercherò di arrivare a qualche compromesso, andrò avanti di giorno in giorno e starò a vedere che cosa succede. E tu?»

«Anch’io non lo so. Spero di essermi sbagliata.»

«Forse è così. Dopotutto, è la prima volta che ti sei sentita infastidita e lui è sempre stato un tipo espansivo. Dato che tu non hai mai detto niente fino a questo momento, forse lui pensa che non ti dia fastidio essere toccata.»

«Che cosa vorresti insinuare?» sbottò Angela, inviperita.

«Niente, davvero», si affrettò a calmarla David, «stavo solo rispondendo a quello che tu hai detto.»

«Vorresti dire che sono stata io a cercarmela?»

David allungò la mano sulla tavola e le strinse il braccio. «Ehi, calma! Io sono dalla tua parte. Non pensare nemmeno per un secondo che sto dando la colpa a te.»

La collera di Angela svanì all’improvviso. Si accorse di avere reagito in modo sproporzionato, evidenziando tutte le sue incertezze. Forse, inconsapevolmente, aveva davvero incoraggiato Wadley. Dopotutto, era stata desiderosa di piacergli, come ogni studente che si sente in debito verso chi dedica tempo ed energie a insegnare.

«Scusa», mormorò. «Sono solo stressata.»

«Anch’io», ammise David. «Andiamocene a letto.»

12

Martedì 19 ottobre

Con grande disappunto di David e Angela, la mattina dopo pioveva ancora, ma per fortuna Nikki stava molto meglio. Non aveva più febbre e il mal di gola era sparito con la somministrazione di antibiotici.

«Voglio andare a casa», ripeté appena rivide i genitori.

«Non abbiamo ancora parlato con il dottor Pilsner», le ricordò David, «ma lo faremo al più presto, abbi pazienza.»

Poi Angela si recò al laboratorio, mentre David passò dalla stanza delle infermiere per controllare la cartella clinica di Marjorie. Pensava di dimetterla quel giorno stesso, ma cambiò idea appena entrò in camera sua.

«Marjorie, che cosa succede?» le domandò, nel vederla in uno stato letargico. Le toccò la fronte e le braccia con il dorso della mano: scottava.

Alle sue domande insistenti, lei rispose con un borbottio appena intellegibile. Aveva l’aspetto di una persona drogata, anche se apparentemente non provava alcun dolore.

Notando che respirava a fatica, David la auscultò attentamente e rilevò i sintomi di una congestione. Poi controllò la gamba afflitta da flebite e osservò che il problema era risolto. Dopo una visita generale, che non rivelò niente di particolare, corse dalle infermiere e prescrisse tutta una serie di analisi.

Il primo risultato ad arrivare dal laboratorio fu quello del conteggio dei globuli nel sangue, che servì solo ad aumentare le sue perplessità. Il livello dei globuli bianchi, sceso regolarmente con la guarigione dalla flebite, anche dopo aveva continuato a scendere e si trovava ora al di sotto della normalità.

David si grattò la testa. Una quantità così bassa di globuli bianchi contrastava con il quadro clinico della paziente, che faceva pensare a una polmonite. David tornò ad auscultare Marjorie, per assicurarsi che la congestione polmonare ci fosse veramente, poi tornò nella stanza delle infermiere, dove intanto erano arrivati i risultati delle altre analisi: tutti normali.

Pensò a qualche esame più specifico, ma dopo la lavata di capo di Kelley era riluttante a farlo, perché avrebbe dovuto richiederli esternamente al CMV.

Si mise allora a sfogliare il prontuario dei farmaci, alla ricerca di un antibiotico specifico contro un’infezione da batteri gram-negativi, che era la cosa che temeva di più in quel momento. Quando lo trovò, sentì rinascere in sé la fiducia. Scrisse le prescrizioni necessarie, oltre a un ordine esplicito di essere chiamato immediatamente nel caso di un mutamento delle condizioni di Marjorie, quindi si diresse verso il suo ambulatorio.