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Si afferrò al bordo, riuscendo a rimanere in piedi. Il sangue usciva dalla ferita alla testa in piccoli zampilli, andando a imbrattare i fogli appoggiati sul tavolo. Hodges si voltò in tempo per scorgere la mano guantata che stringeva una sbarra simile a un piede di porco corto e piatto.

Mentre l’arma si abbassava per vibrare un secondo colpo, Hodges riuscì ad afferrare il braccio dell’assalitore. Il metallo lo colpì ancora soltanto di striscio, facendo sgorgare altro sangue dalla testa, proprio all’attaccatura dei capelli.

Hodges affondò disperatamente le unghie nel braccio. Sapeva per istinto che non poteva lasciarlo: doveva impedirgli di colpirlo ancora.

Per qualche momento i due lottarono avvinghiati, piroettando per la cucina, sbattendo contro le pareti, rovesciando sedie e rompendo piatti e il sangue continuava a sgorgare.

L’assalitore urlò di dolore e riuscì a liberarsi; ancora una volta la sbarra d’acciaio si sollevò, prima di calare sul braccio sollevato di Hodges. All’impatto le ossa si spezzarono come rametti.

Di nuovo la sbarra di metallo venne sollevata sullo sventurato Hodges e calata con forza. Questa volta disegnò nell’aria un arco completo e andò a finire in pieno sulla sua testa, facendo sì che un frammento appuntito del cranio si staccasse e affondasse fino al cervello.

Hodges cadde a terra, privo di conoscenza.

1

Sabato 24 aprile

«Fra poco arriveremo a un fiume», disse David Wilson a sua figlia Nikki, seduta in macchina accanto a lui. «Lo sai come si chiama?»

Lei lo guardò con i profondi occhi scuri, nei quali la luce del sole accendeva pagliuzze dorate, simili ai riflessi che le luccicavano fra i capelli.

«Gli unici fiumi che conosco sono il Mississippi, il Nilo e il Rio delle Amazzoni», rispose la bambina. «Dato che nessuno di questi si trova nel New England, allora non lo so.»

David e sua moglie Angela non riuscirono a reprimere una risatina.

«Che cosa c’è da ridere?» chiese Nikki, indignata.

Attraverso lo specchietto retrovisore, David scambiò uno sguardo d’intesa con Angela. Entrambi stavano pensando la stessa cosa. Ne avevano già parlato spesso: Nikki appariva più matura degli otto anni che aveva e mostrava un’intelligenza superiore. Nello stesso tempo, si rendevano conto che cresceva più in fretta di quanto avrebbe dovuto, a causa dei suoi problemi di salute.

«Perché avete riso?» insistette.

«Chiedilo alla mamma», cercò di cavarsela David.

«No, credo che sia tuo padre a dovertelo spiegare.»

«E dai, ragazzi!» protestò Nikki. «Non è giusto. Comunque non m’importa se ridete, perché il nome del fiume me lo posso trovare anche da sola.» Prese una cartina stradale dal vano del cruscotto.

«Siamo sull’autostrada 89», le suggerì David.

«Lo so!» protestò Nikki, infastidita. «Non voglio nessun aiuto.»

«Scusami», disse David con un sorriso.

«Eccolo!» esclamò la bimba, trionfante, girando la cartina per poter leggere meglio. «È il Connecticut. Si chiama come lo Stato!»

«Esatto. E segna il confine fra che cosa?»

Nikki lanciò un’altra occhiata alla cartina stradale. «Separa il Vermont dal New Hampshire.»

«Esatto un’altra volta.» David fece un cenno, indicando davanti a sé. «Ed eccolo là.»

Rimasero tutti e tre in silenzio, mentre la loro Volvo famigliare azzurra, vecchia di undici anni, passava sul ponte.

«Credo che la neve stia ancora sciogliendosi, sulle montagne», osservò David che aveva notato l’acqua scorrere torbida verso sud.

«Le andremo a vedere, le montagne?» chiese Nikki.

«Certo. Le Green Mountains.»

Oltrepassato il ponte l’autostrada prese a curvare gradualmente verso nordovest. Angela domandò: «Adesso siamo nel Vermont?»

«Sì, mamma!» esclamò Nikki con impazienza.

«E quanto manca per arrivare a Bartlet?»

«Non ne sono sicuro», rispose David. «Forse un’ora.»

Un’ora e un quarto dopo, passavano accanto al cartello su cui era scritto: BENVENUTI A BARTLET, SEDE DEL BARTLET COLLEGE e David rallentò imboccando un largo viale chiamato opportunamente Main Street Era fiancheggiato da grandi querce, dietro le quali si intravedevano case bianche in legno dove lo stile coloniale si mescolava a quello vittoriano.

«Sembra uscita da un libro di fiabe», commentò Angela.

«Alcune cittadine del New England sembrano uscite da un film della Disney», osservò David.

Angela rise. «Certe volte mi sembra che le copie ti piacciano più degli originali.»

Proseguendo, notarono che alle case in legno succedevano edifici in mattoni con decorazioni vittoriane. Quelli del centro raggiungevano l’altezza di tre o quattro piani e su ciascuno di essi c’era una targa su cui era riportato l’anno di costruzione. Quasi tutte indicavano la fine del diciannovesimo secolo o l’inizio del ventesimo.

«Guardate, c’è un cinema!» esclamò Nikki, indicando un cartellone malandato che pubblicizzava un film. Accanto al cinema c’era l’ufficio postale, su cui sventolava una bandiera americana piuttosto lacera.

«E quello che cos’è?» domandò Nikki. «Sembra un tram senza ruote.»

David rise. «Quello è un diner, un ristorante a forma di vagone. Erano popolari negli anni Cinquanta.»

La bambina divorava tutto con lo sguardo, eccitatissima; quando furono nel cuore della città e scorse gli imponenti edifici in pietra grigia, fu colpita particolarmente da quello che ospitava la Green Mountain National Bank, con tanto di torre dell’orologio e merli.

«Sembra davvero uscita da Disneyland», osservò.

«Tale padre, tale figlia», commentò Angela.

Poi arrivarono al parco, dove l’erba aveva già assunto un aspetto lussureggiante, quasi estivo, e tulipani, giacinti e numerosi altri fiori costellavano tutto il terreno intorno al grande gazebo. David fermò la macchina e commentò: «In confronto alla zona di Boston intorno al Boston City Hospital, questo sembra il paradiso».

All’estremità settentrionale del parco, si ergeva una chiesa bianca, da cui si innalzava un’alta guglia in stile neogotico; sul davanti si protendeva un porticato ad archi acuti.

«Mancano parecchie ore ai nostri appuntamenti. Che cosa pensate che dovremmo fare?» chiese David.

«Perché non giriamo ancora un po’ in macchina e poi ci fermiamo a fare colazione?» propose Angela.

«Mi pare una buona idea.» David rimise in moto e proseguì lungo Main Street, dove passarono davanti alla biblioteca, anch’essa in granito grigio, ma più simile a una villa italiana che a un castello.

Subito dietro c’era la scuola elementare, un grazioso edificio in mattoni a tre piani di inizio secolo al quale era stata aggiunta un’ala più moderna.

«Che cosa ne pensi?» domandò David a Nikki, fermandosi per darle modo di osservarla bene.

«Sarà lì che andrò a scuola, se decidiamo di venire a vivere qua?»

«Probabilmente», rispose David. «Non credo che abbiano più di una scuola.»

«Carlna», commentò la bimba, senza sbilanciarsi troppo.

Passarono attraverso la zona commerciale, per ritrovarsi infine nel campus del Bartlet College. Stessi edifici di granito, alcuni ricoperti di edera.

«Molto diverso dalla Brown University», osservò Angela, «ma attraente.»

«Mi chiedo spesso che cosa sarei diventato, se avessi frequentato un piccolo college come questo», disse David.