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«Non avresti incontrato la mamma», gli rispose Nikki, «e così io non esisterei.»

David rise. «Hai ragione, e sono proprio contento di essere andato alla Brown.»

Tornarono verso il centro attraversando il fiume Roaring, lungo il quale scorsero due vecchi mulini che diedero l’occasione a David di spiegare alla figlia come veniva utilizzata in passato l’energia idrica. Adesso uno era diventato la sede di una ditta di software, mentre l’altro apparteneva alla New England Coat Hanger Company.

Parcheggiata l’auto vicino al parco, scesero e si sgranchirono le gambe lungo Main Street.

«È sorprendente, vero? Niente cartacce per terra, niente scritte sui muri, niente barboni», osservò Angela. «È come essere in un altro mondo.»

«Che cosa te ne pare della gente?» chiese David. Avevano già incrociato qualche passante.

«Riservata, ma non ostile.»

David si fermò davanti a un negozio di ferramenta. «Entro e chiedo un consiglio su dove andare a mangiare.»

Angela annuì e si mise a guardare con Nikki la vetrina del negozio di scarpe lì accanto. David ritornò in un baleno.

«Il diner è l’ideale per un pasto veloce, mentre il cibo migliore lo servono all’Iron Horse Inn. Io voto per il diner.»

«Anch’io», si associò Nikki.

«Allora è deciso», disse Angela.

Mangiarono tutti e tre hamburger con cipolle e ketchup, poi tornarono verso la macchina e incontrarono una donna che teneva al guinzaglio un cucciolo dal pelo fulvo.

«Oh, che carino!» esclamò Nikki.

La donna si fermò per permetterle di accarezzarlo.

«Quanto tempo ha?» chiese Angela.

«Dodici settimane», rispose la donna.

«Ci potrebbe indicare il Bartlet Community Hospital?» le domandò David.

«Certo. Passate il parco e prendete la strada sulla destra. Vi porterà direttamente all’ingresso principale.»

Ringraziarono la donna e si avviarono, mentre Nikki camminava girata all’indietro per continuare a guardare il cucciolo. «Se veniamo a vivere qui, posso tenere un cane?»

David e Angela si guardarono, commossi. Dopo tutti i problemi di salute che aveva avuto la loro figlia, quella richiesta così modesta li inteneriva.

«Certo che lo puoi tenere», rispose Angela.

«Lo potrai scegliere tu stessa», aggiunse David.

«Bene, allora voglio venire a vivere qua», dichiarò Nikki con molta convinzione. «Possiamo?»

Angela guardò David, nella speranza che trovasse una risposta, ma lui lasciò a lei l’incombenza di rispondere. Alla fine Angela disse: «È una decisione difficile quella di venire a vivere qui. Bisogna considerare un sacco di cose».

«Che cosa?»

«Per esempio, se ci vogliono tutti e due, me e tuo padre.»

Il Bartlet Community Hospital era più grande e imponente di quanto Angela e David si aspettassero. Nonostante un cartello dicesse PARCHEGGIO SUL RETRO, David fermò la macchina davanti all’ingresso principale, lasciando però il motore acceso.

«È davvero bello», osservò. «Non avrei mai pensato che si potesse dire questo di un ospedale.»

«Che vista!» commentò Angela.

Il complesso ospedaliero si trovava su una collina a nord di Bartlet e la facciata, rivolta a sud, era illuminata dal sole. Appena sotto di loro, ai piedi della collina, si scorgeva l’intera città, da cui si innalzava stentorea la guglia della chiesa metodista. Sullo sfondo si stagliava il profilo dentellato delle Green Mountains.

Angela toccò il braccio del marito. «Meglio entrare, il mio colloquio è fra dieci minuti.»

David portò l’auto sul retro, dove i due parcheggi si allargavano in due distinti spazi separati da alberi, e lasciò l’auto in quello inferiore.

Grazie a cartelli molto chiari, fu facile trovare il reparto amministrativo e una gentile segretaria li indirizzò all’ufficio di Michael Caldwell, il direttore medico dell’ospedale.

Angela bussò leggermente allo stipite della porta aperta e Michael Caldwell sollevò lo sguardo dalla scrivania, alzandosi per andarle incontro. Fisicamente era piuttosto simile a David: sui trent’anni, pelle olivastra, corporatura atletica, ma aveva lineamenti più marcati dei suoi e il naso aquilino.

«Entrate!» esclamò Caldwell con entusiasmo. «Prego, entrate tutti!»

David guardò la moglie e lei alzò le spalle. Se Caldwell aveva intenzione di parlare con l’intera famiglia, a lei andava bene.

Dopo brevi presentazioni, Caldwell si sedette nuovamente alla scrivania, tenendo davanti a sé la cartellina che conteneva la domanda di assunzione di Angela. «Ho dato un’occhiata al suo curriculum e devo dirle che ne sono stato davvero colpito», esordì.

«Grazie», rispose lei.

«Francamente, non mi aspettavo un patologo donna», disse Caldwell, «ma poi ho scoperto che è un campo che attira un numero sempre maggiore di donne.»

«Gli orari sono più prevedibili», spiegò Angela, «e questo rende maggiormente compatibili la professione e la famiglia.» Mentre parlava, studiava l’uomo che aveva di fronte. Il suo commento l’aveva un po’ seccata, ma decise di non dare un giudizio affrettato.

«Dalle sue referenze, mi sembra che il reparto di patologia del Boston City Hospital la ritiene una degli interni più brillanti.»

Lei sorrise. «Ho cercato di fare del mio meglio.»

«E il suo libretto alla facoltà di Medicina della Columbia University è egualmente impressionante, quindi, noi saremmo felici di averla al Bartlet Community Hospital. Tutto qua. Ma forse lei ha qualche domanda da farmi.»

«Anche mio marito David ha fatto domanda per avere un posto a Bartlet», spiegò Angela. «Presso un ente mutualistico, il maggiore di questa zona: il Comprehensive Medical Vermont.»

«Noi lo chiamiamo CMV», disse Caldwell, «ed è l’unico ente di questo tipo nella zona.»

«Nella mia lettera ho scritto che la mia disponibilità dipende dall’assunzione di mio marito, e viceversa.»

«Lo so e mi sono preso la libertà di contattare il CMV e parlare della domanda di assunzione di David con il direttore regionale, Charles Kelley. L’ufficio della sede regionale si trova qua, all’interno del complesso ospedaliero. Naturalmente, non posso parlare in via ufficiale per conto loro, ma credo che non ci saranno problemi.»

«Devo incontrare il signor Kelley non appena avremo finito con lei», disse David.

«Perfetto. Allora, dottoressa Wilson, l’ospedale sarebbe felice di offrirle un posto come assistente patologo. Si unirà ad altri due colleghi che prestano servizio a tempo pieno. Il compenso per il primo anno sarà di ottantaduemila dollari.»

Quando Caldwell chinò di nuovo la testa sulla cartellina, Angela guardò David. Ottantaduemila dollari le sembravano una fortuna, dopo così tanti anni di debiti gravosi e scarsi proventi. David le restituì un’occhiata complice: era evidente che stava pensando la stessa cosa.

«Ho anche alcune informazioni da darle in risposta alle domande che lei mi ha posto nella sua lettera», aggiunse Caldwell, che esitò un attimo e poi proseguì: «Ma forse di questo dovremmo parlare privatamente».

«Non è necessario», disse Angela. «Credo che lei si riferisca alla fibrosi cistica di nostra figlia. Nikki partecipa attivamente alla propria terapia, così non ci sono segreti.»

«Molto bene.» Caldwell sorrise alla bimba. «Ho scoperto che qui a Bartlet c’è una paziente nelle stesse condizioni. Si chiama Caroline Helmsford e ha nove anni. Ho fatto in maniera che possiate incontrarvi con il suo medico curante, il dottor Bertrand Pilsner. È uno dei pediatri del CMV.»

«La ringraziamo molto per la sua gentilezza», affermò Angela.

«Di niente. Naturalmente, desideriamo che voi veniate a stare nella nostra deliziosa città, però devo confessare che non ho studiato a fondo il problema. Forse c’è qualcosa che dovrei sapere, per potervi essere di maggiore aiuto.»