«Con tutto quello che sta succedendo, trovo davvero sorprendente che tu sia ancora fissata su Hodges. Dai priorità alle cose sbagliate. Mentre tu te ne andavi a Burlington a giocare al detective, io ero qui a portare gli antibiotici a nostra figlia, mentre la sua migliore amica sta morendo in ospedale.»
«Non riesco a credere a quello che stai dicendo!»
«E, come se tutto questo non bastasse, mi vieni a dire che Wadley minaccia di licenziarti. Tutto perché per te è così importante andare a Burlington. Ti posso dire questo: se ti licenziano, per noi sarà il disastro economico e questo è niente rispetto al pericolo in cui ci metti continuando queste indagini.»
«Pensi di essere tanto razionale», gridò Angela. «Ma ti stai solo prendendo in giro. Pensi che i problemi si risolvano negando la loro esistenza. Sei tu che dai priorità alle cose sbagliate, non aiutandomi quando ho bisogno del tuo sostegno. Per quanto riguarda Nikki, forse non si sarebbe ammalata se tu non le avessi permesso di fare visita a Caroline prima di sapere che cosa aveva quella povera bambina.»
«Questo non è giusto!» urlò a sua volta David, poi si trattenne. Si riteneva razionale ed era fiero di non perdere mai le staffe.
Il problema fu che più lui si tratteneva, più Angela dava sfogo alle emozioni e più lei faceva così, più David si chiudeva in se stesso. Il risultato fu che alle undici erano tutti e due esausti e decisero che David avrebbe dormito nella stanza degli ospiti.
21
Giovedì 28 ottobre
Quando si svegliò, David non capì subito dove si trovava, ma poi si ricordò e gli tornò in mente la sgradevole serata precedente. Prese l’orologio dal comodino e guardò l’ora: le cinque meno un quarto. Si riappoggiò al cuscino e sentì un’ondata di nausea, seguita immediatamente da crampi addominali e da un attacco di diarrea.
Sentendosi molto male, barcollò dal bagno degli ospiti a quello della camera da letto principale, in cerca di un farmaco contro la diarrea, e ne prese una dose massiccia. Poi cercò il termometro e se lo ficcò in bocca.
Mentre aspettava di poter leggere la temperatura, cercò anche l’aspirina e si accorse di avere un’eccessiva salivazione che lo costringeva a deglutire in continuazione, com’era accaduto ad alcuni dei suoi pazienti che erano morti.
«E se mi sono preso la malattia misteriosa che ha ucciso i miei pazienti?» si chiese ad alta voce. Con mani tremanti, tirò fuori il termometro: trentotto gradi. Si esaminò la lingua allo specchio e vide che era bianca, come il suo viso.
«Calmati!» si disse. Prese due aspirine e le buttò giù con un bicchier d’acqua. Quasi immediatamente sentì un altro spasmo fortissimo.
Si costrinse a rimanere calmo ed esaminò i sintomi. Assomigliavano a quelli dell’influenza, come per le cinque infermiere che aveva visitato. Non c’era motivo di saltare a conclusioni drammatiche. Bastava seguire gli stessi consigli che aveva dato a loro e mettersi a letto.
Quando suonò la sveglia, si sentiva già meglio. Lui e Angela si guardarono, dapprima diffidenti, ma poi si gettarono uno nelle braccia dell’altra e si tennero stretti a lungo.
«Tregua?» chiese David.
Angela annuì. «Siamo tutti e due stressati.»
«Per di più, mi sto beccando qualcosa», l’avvisò lui, descrivendole i sintomi che aveva. «L’unica cosa che mi preoccupa è la salivazione eccessiva.»
«Che cosa intendi?»
«Devo deglutire in continuazione, quasi come quando si sta per vomitare. Adesso comunque sto un po’ meglio.»
«Hai visto Nikki?»
«Non ancora.»
Dopo essersi lavati, andarono tutti e due in camera sua. Rusty li salutò con entusiasmo, mentre lei era più mogia. La congestione era peggiorata, allora David chiamò il dottor Pilsner e lo mise al corrente delle sue condizioni.
«Penso che la dovrei visitare», disse lui. «Vediamoci al pronto soccorso fra mezz’ora.»
«Ci saremo, grazie. Apprezzo molto la sua disponibilità.» David stava per riattaccare, quando gli venne in mente di chiedere notizie su Caroline.
«È morta alle tre di stamane. La pressione era troppo bassa per poterla tenere costantemente a un livello normale. Almeno non ha sofferto, anche se non è una grande consolazione.»
Pur aspettandosi la notizia, David ne fu scioccato. Rimase un po’ accanto al telefono, poi andò in cucina e la comunicò ad Angela. Lei sembrò sul punto di scoppiare in lacrime, ma poi sbottò: «Non riesco a credere che tu abbia permesso a Nikki di andarla a trovare».
Sbigottito, David non trovò di meglio che ribattere: «Io, almeno, ieri sono venuto a casa a portarle gli antibiotici». In realtà, si sentiva in colpa per averla lasciata andare da Caroline. Lui e Angela si fissarono irritati, oppressi dai timori per Nikki, ma poi lei mormorò: «Scusa. Ho rotto la nostra tregua, è che sono così preoccupata!»
«Il dottor Pilsner vuole che portiamo subito Nikki al pronto soccorso», le disse David. «Credo che faremmo meglio ad andare.»
Dopo avere visitato la bimba, Pilsner dichiarò di volerla ricoverare immediatamente.
«Pensa che abbia la polmonite?» gli domandò David.
«Non ne sono sicuro, ma è possibile. Non voglio correre rischi, dopo quello che è successo…»
«Rimarrò io con lei», propose Angela al marito. «Tu va’ pure a fare le visite in corsia.»
«Chiamami, per qualsiasi problema», disse lui e si chinò a baciare la figlia, promettendole di tornare spesso a trovarla durante il giorno. Lei annuì, ormai abituata a quella routine.
David si fece dare qualche aspirina da un’infermiera del pronto soccorso e salì al secondo piano, dove, come prima cosa, controllò la cartella clinica di Sandra Hascher. Non c’erano state impennate nella temperatura, che si era mantenuta di poco superiore ai trentotto gradi. Gli appunti delle infermiere dicevano che tutte le volte che una di loro era entrata in camera sua l’aveva trovata addormentata. Questo lo rassicurò e gli permise di visitare i pazienti un po’ più disteso. Stavano tutti bene, tranne Sandra.
Quando entrò nella sua camera la trovò addormentata. Le guardò il gonfiore alla guancia, che appariva uguale al giorno prima, poi le toccò la spalla, chiamandola per nome. Visto che non reagiva, la scosse più forte e la chiamò ad alta voce.
Finalmente Sandra si mosse, portando una mano tremante al viso e aprì a malapena gli occhi. David la scosse ancora, allora lei aprì gli occhi un po’ di più e cercò di parlare, ma tutto quello che le uscì fu un borbottio sconnesso. Era chiaramente disorientata.
David cercò di rimanere calmo. Le prelevò del sangue e lo mandò in laboratorio, poi sottopose Sandra a una visita accurata, cercando di controllare in particolar modo le condizioni dei polmoni e del sistema nervoso.
Quando furono pronti i risultati delle analisi del sangue, vide che tutti i valori erano normali. I globuli bianchi, che erano arrivati a livelli molto alti a causa dell’ascesso, erano diminuiti con gli antibiotici ed erano rimasti bassi, facendo escludere che fosse un’infezione la causa dello stato clinico attuale. Il rumore che proveniva dai polmoni, però, suggeriva una polmonite incipiente e David si domandò ancora una volta se non fosse in presenza di un deficit del sistema immunitario.
Era chiaro che era comparso il solito trio di sintomi che riguardavano il sistema nervoso centrale, l’apparato gastrointestinale e il sangue o il sistema immunitario. Il problema era che non riusciva a scorgere il fattore che era alla base di tutto ciò.
David era angosciato: la vita di una donna di trentaquattro anni era nelle sue mani, ma lui non sapeva che cosa fare. Era restio a richiedere un consulto, un po’ per Kelley e un po’ perché i consulti non erano serviti a niente nei casi precedenti. Anche altre analisi di laboratorio gli sembravano inutili.