Angela guidò piano, per non allontanarsi troppo da David, che la seguiva con la bicicletta, e arrivarono a casa insieme. Si misero tutti e due davanti al televisore, come se volessero guardare il telegiornale, e David si schiarì la gola.
«Purtroppo ho una brutta notizia da darti», cominciò. «Mi sento molto in imbarazzo, ma ti devo dire che oggi pomeriggio sono stato licenziato.» Notando come Angela fosse rimasta scioccata, distolse lo sguardo da lei. «Mi spiace, so che ora sarà dura per noi, non so che cosa dire. Forse non sono tagliato per fare il medico.»
«David», mormorò lei, prendendogli una mano, «anch’io sono stata licenziata.»
Lui la guardò. «Anche tu?»
Angela annuì.
David tese le braccia verso di lei e si abbracciarono stretti, poi si staccarono per guardarsi di nuovo, senza sapere se ridere o piangere.
«Che casino», borbottò David.
«Che coincidenza», aggiunse Angela.
Si raccontarono i dettagli delle loro disavventure lavorative, poi Angela mise al corrente David della recente scoperta del medico legale.
«Il tatuaggio aiuterà a scoprire l’assassino», gli disse.
«Bene.» David continuava a non condividere l’entusiasmo della moglie per il caso Hodges, soprattutto adesso che aveva ben altri problemi a cui pensare.
«Anche Calhoun ha delle novità», aggiunse lei, spiegando la teoria che assassino e stupratore fossero la stessa persona.
«Interessante.» Ma i pensieri di David erano altrove, preso com’era dalla preoccupazione di come avrebbero fatto a mantenersi lui e Angela nell’immediato futuro.
«E ti ricordi quei fogli di accettazione che sono stati ritrovati insieme al cadavere?» continuò Angela. «Phil Calhoun ha scoperto che cosa avevano in comune. I pazienti sono tutti morti e sembra che Hodges sia rimasto sorpreso della loro morte.»
«Che cosa significa sorpreso?» domandò David, mostrando un improvviso interesse.
«Non si aspettava che morissero. Li aveva curati prima che fossero seguiti dal CMV e lui riteneva quest’ultimo e l’ospedale responsabili della loro morte.»
«Hai qualche altro documento, su questi pazienti?»
«Solo le diagnosi di accettazione.»
«Avere pazienti che muoiono inaspettatamente è qualcosa che conosco bene», mormorò David con amarezza.
Ci fu qualche momento di silenzio e i pensieri di tutti e due ritornarono ai loro problemi più immediati.
«Che cosa faremo?» domandò Angela.
«Non lo so. Dovremo andarcene, ma che cosa succederà con i mutui? Mi domando se dovremo dichiarare bancarotta. Dovremo parlare con un avvocato e poi c’è da decidere se denunciare o no i nostri datori di lavoro.»
«Io ho già deciso. Sporgerò denuncia per molestie sessuali e magari anche per licenziamento senza giusta causa. Non gliela farò passare liscia a quel viscido di un Wadley.»
«Non lo so se imbarcarci in una denuncia sia nel nostro stile. Forse dovremmo solo continuare la nostra vita e lasciare perdere. Non mi va di ritrovarmi invischiato negli intrighi legali.»
«Non decidiamo adesso», consigliò Angela.
Quando telefonarono all’unità di terapia intensiva, ricevettero notizie rassicuranti: Nikki continuava a stare bene e non aveva febbre.
«Possiamo anche aver perso il nostro lavoro», affermò David, «ma finché Nikki sta bene ce la faremo.»
22
Venerdì 29 ottobre
Ancora una volta, David e Angela dormirono male. Lui si svegliò prima dell’alba, com’era ormai sua abitudine, si alzò senza disturbare la moglie e scese al piano di sotto.
Si sedette nel salottino a meditare sulla loro situazione finanziaria e cominciò a scrivere un elenco di cose da fare e di persone a cui telefonare. Era convinto che la situazione attuale richiedesse calma e razionalità.
Poco dopo comparve sulla porta Angela, in vestaglia, un fazzoletto di carta in mano. Era evidente che aveva pianto. «Che cosa faremo?» disse, e nuove lacrime le sgorgarono dagli occhi. «Abbiamo mandato tutto a farsi benedire!»
David cercò di consolarla, mostrandole la lista che stava compilando, ma lei la gettò via, accusandolo di non voler dare retta alle proprie emozioni.
«I tuoi stupidi elenchi non risolveranno niente!» gli disse.
«E invece le tue lacrime isteriche sì, vero?» reagì lui.
Per fortuna non si spinsero oltre, comprendendo che erano entrambi troppo agitati. Ormai sapevano che ognuno dei due aveva un modo diverso di affrontare una crisi.
«Che cosa faremo?» chiese di nuovo Angela, in tono più sommesso.
«Prima di tutto, andiamo in ospedale a vedere come sta Nikki.»
«D’accordo, così avrò anche l’occasione di parlare con Helen Beaton.»
«Sarà inutile», l’avvertì David. «Sei sicura di voler subire una nuova ondata di emozioni?»
«Voglio essere sicura che lei sappia delle mie proteste per molestie sessuali.»
Fecero colazione in fretta e poi uscirono. A tutti e due sembrava strano recarsi all’ospedale non per ragioni di lavoro.
Trovarono Nikki in forma e desiderosa di cambiare reparto; all’unità di terapia intensiva c’era sempre molto movimento anche di notte e aveva dormito poco.
Quando arrivò il dottor Pilsner, confermò che poteva essere trasferita in una stanza normale.
«Quando pensa che potrà ritornare a casa?» gli domandò Angela.
«Se continua a stare così bene, fra pochi giorni. Voglio essere sicuro che non abbia una ricaduta.»
Angela andò da Helen Beaton, mentre David rimase accanto alla figlia.
«Potresti chiamare Caroline e dirle di farmi avere i miei libri di scuola?» gli chiese Nikki.
«Appena potrò ci penserò», le rispose, volutamente evasivo. Ancora non se la sentiva di annunciare alla figlia la morte dell’amica.
Da dove si trovava, non poté fare a meno di notare che nel letto occupato il giorno prima da Sandra c’era adesso un uomo anziano. Gli ci volle almeno mezz’ora per decidersi a chiedere notizie sulla sua paziente.
«È morta questa mattina alle tre», gli rispose l’impiegato, come se parlasse del tempo.
David, invece, rimase sconvolto. Pensò a Sandra, alla sua famiglia, ai figli rimasti orfani. Aveva perduto sei pazienti in due settimane. Si domandò se fosse un record al Bartlet Community Hospital. Forse il CMV aveva fatto bene a licenziarlo.
Dopo avere promesso a Nikki che lui e la madre sarebbero passati a trovarla nella nuova stanza, David si diresse verso l’ala degli uffici amministrativi per aspettare Angela e arrivò proprio mentre lei usciva come una furia dall’ufficio della presidente. Era livida, con le labbra serrate, e gli occhi scuri le brillavano come saette. Gli passò accanto senza rallentare e lui dovette mettersi a correre per raggiungerla.
«Suppongo che sia inutile chiederti com’è andata», le disse mentre uscivano verso il parcheggio.
«È stato terribile, Helen Beaton è d’accordo con la decisione di Wadley. Quando le ho spiegato che alla base di tutto c’è una storia di molestie sessuali, lo ha negato.»
«Come può negarlo, se ne hai parlato al dottor Cantor?»
«Ha detto di averlo chiesto a Wadley e lui le ha detto che non c’è stata nessuna molestia sessuale. Anzi, le ha detto che le cose sono andate esattamente all’opposto: sono stata io a tentare di sedurlo!»
«Già, la solita linea di difesa: dare la colpa alla vittima.» David scosse la testa. «Che porco!»
«La Beaton dice che crede a lui. Dice che è un uomo irreprensibile. Mi ha accusato di avere inventato la storia per vendicarmi di lui, perché ha rifiutato le mie avance.»
Quando arrivarono a casa, si accasciarono sulle poltrone del salottino. Non sapevano che cosa fare, erano depressi e confusi.