Il silenzio fu rotto da un rumore di ruote sulla ghiaia del vialetto: era il furgoncino di Calhoun. Angela andò ad aprire la porta posteriore e il detective entrò con un pacchetto in mano.
«Le ho portato alcune frittelle fresche per festeggiare il primo giorno di vacanza», le annunciò, passando in cucina, dove posò il pacchetto sul tavolo. «Con un po’ di caffè, saremo a posto.»
Sulla soglia comparve David.
«Oh, oh!» Calhoun guardò da David ad Angela.
«Non c’è problema, sono in vacanza anch’io», affermò David con sarcasmo.
«Accidenti! Meno male che ne ho portati una dozzina.»
La presenza di Calhoun fu come un toccasana e anche il caffè fece la sua parte. Angela e David si ritrovarono persino a ridere di alcune sue storie di quando era poliziotto. Poi, fregandosi le mani eccitato, Calhoun propose di mettersi al lavoro.
«Il problema adesso è circoscritto: basta trovare qualcuno con un tatuaggio rovinato e che notoriamente odiasse il dottor Hodges. Non dovrebbe essere difficile riuscirci, in una città piccola come questa.»
«C’è un ostacolo», intervenne David. «Dato che siamo disoccupati, non possiamo permetterci di pagarla.»
«Non me lo dica! Proprio ora che la faccenda sta diventando interessante!»
«Mi spiace. Non solo siamo al verde, ma dovremo lasciare Bartlet. Così, fra l’altro, ci lasceremo alle spalle questa dannata faccenda di Hodges.»
«Aspetti, non prendiamo decisioni affrettate. Ho un’idea: potrei lavorare gratis. Che cosa ne dite? È una questione di onore e reputazione; inoltre, già che ci siamo, potremmo acciuffare uno stupratore.»
«È davvero molto generoso da parte sua…» cominciò a dire David, ma l’altro lo interruppe.
«Ho già dato inizio alla seconda fase dell’inchiesta. Parlando con Carleton, il barista, ho scoperto che in città parecchi poliziotti hanno dei tatuaggi, compreso Robertson. Così sono andato a scambiare due chiacchiere con lui ed è stato più che felice di mostrarmi il suo, di cui va proprio fiero. Ce l’ha sul petto: è un’aquila dalla testa bianca che regge uno stendardo su cui è scritto NOI CREDIAMO IN DIO. Purtroppo, o per fortuna, dipende dai punti di vista, il tatuaggio era in buono stato. Comunque, ho sfruttato l’occasione per chiedergli dell’ultima giornata di Hodges. Lui mi ha confermato che Madeline Gannon gli aveva chiesto un appuntamento per lui, in seguito cancellato. Io credo che siamo sulla pista buona e forse Clara Hodges potrebbe esserne la chiave. Erano praticamente separati, all’epoca della morte di Hodges, ma si parlavano di frequente. Ho la sensazione che il fatto di stare lontani abbia migliorato il loro rapporto. Comunque, stamattina l’ho chiamata e ci aspetta.» Calhoun guardò Angela.
«Credevo che si fosse trasferita a Boston», osservò David.
«Infatti. Pensavo che Angela e io… be’, adesso tutti e tre, potremmo andare a farle una visita.»
«Continuo a pensare che dovremmo lasciare perdere questa faccenda, considerando quello che ci è capitato. Se lei vuole continuare, è affar suo.»
«Non dovremmo essere così precipitosi», obiettò Angela. «E se Clara Hodges gettasse luce su quei pazienti che sono morti inaspettatamente? Ieri sera t’interessava quella storia.»
«Be’, sì…» ammise David. Era curioso di scoprire quanti punti in comune ci fossero fra i pazienti di Hodges e quelli suoi. Però non aveva voglia di andare da Clara Hodges, non dopo essere stato licenziato.
«Dai, andiamoci», insistette Angela. «Mi sento come se questa città avesse cospirato contro di noi, dobbiamo ribellarci.»
«Angela, mi sembra che tu stia perdendo il controllo.»
Lei depose la tazza del caffè e afferrò David per il braccio. «Ci scusi» disse a Calhoun, e poi spinse il marito nel salottino.
«Non sto affatto perdendo il controllo», ribatté. «Solo che mi piace avere l’idea di fare qualcosa di positivo, di agire. Questa città ci ha messo da parte nello stesso modo in cui ha spazzato sotto il tappeto l’omicidio di Hodges. Voglio sapere che cosa c’è dietro. Poi ce ne potremo anche andare a testa alta.»
«È il tuo lato isterico che parla.»
«Chiamalo come vuoi, a me piace. Facciamo un ultimo tentativo. Questa visita a Clara Hodges potrebbe essere decisiva.»
David esitò. Il suo lato razionale si rivoltava, ma era difficile resistere alle suppliche di sua moglie e poi, nonostante apparentemente sembrasse calmo e ragionevole, era furioso, proprio come lei.
«Va bene. Andiamo, ma prima passiamo a trovare Nikki.»
Angela sollevò una mano, con il palmo rivolto verso di lui, e David vi batté contro sonoramente il suo, poi invertirono i ruoli e Angela batté con una forza sorprendente.
David scoprì che avrebbero dovuto usare il furgone, in modo che Calhoun potesse fumare. L’investigatore li accompagnò proprio davanti all’ingresso dell’ospedale e rimase ad aspettarli.
Nikki appariva molto più contenta, adesso che non si trovava più all’unità di terapia intensiva. L’unica lagnanza era che le avevano assegnato un letto i cui comandi non funzionavano. Si sollevavano solo i piedi, ma non la testa.
«Hai avvisato le infermiere?» le chiese il padre.
«Sì, ma non mi hanno detto quando verrà riparato. Non posso guardare la televisione, se non tengo su la testa.»
«Succede spesso?» chiese Angela a David.
«Purtroppo», rispose lui e le raccontò che cosa gli aveva detto Van Slyke sul fatto che l’ospedale aveva comprato i letti sbagliati. «Forse hanno risparmiato qualche dollaro comprando quelli più economici e adesso buttano via i soldi per le spese di manutenzione. È proprio vero il vecchio adagio: ‘Chi più spende, meno spende’.» Poi andò a cercare Janet Colburn e le domandò se Van Slyke era stato avvisato del guasto.
«Sì, ma lo sa com’è, Van Slyke», rispose lei.
David tornò da Nikki e le assicurò che, se entro quella sera il letto non fosse stato riparato, ci avrebbe pensato lui stesso. Angela l’aveva già avvertita che sarebbero andati a Boston, promettendole che sarebbero passati a trovarla nel pomeriggio, appena tornati.
Il viaggio sul furgoncino non fu il massimo della comodità, per David, e non soltanto a causa delle sospensioni malridotte. Nonostante il finestrino aperto, arrivò a Boston con gli occhi che gli bruciavano per il fumo.
Clara Hodges era una donna imponente, con gli occhi penetranti e un severo cipiglio. Li invitò a entrare nel soggiorno arredato con austeri mobili vittoriani, dove attraverso le pesanti tende di velluto penetrava pochissima luce. Nonostante fossero le ore più luminose della giornata, tutte le luci della stanza erano accese.
Angela presentò se stessa e David come gli acquirenti della sua casa di Bartlet.
«Spero che vi piaccia più di quanto piaceva a me», commentò lei. «Era troppo grande e piena di correnti d’aria.»
Offrì loro il tè, ma non nascose che quella visita non le faceva piacere.
«Sono sconvolta per questa orribile storia. Mi ero appena rassegnata alla scomparsa di Dennis, quando è saltato fuori che l’avevano assassinato.»
«Sono certa che anche a lei interessi assicurare il colpevole alla giustizia», osservò Calhoun.
«A questo punto non servirebbe a molto. Avrei preferito che le cose rimanessero com’erano e non sapere niente.»
«Ha qualche sospetto su chi possa averlo ucciso?»
«Temo che l’elenco dei possibili colpevoli sia piuttosto lungo. Deve sapere due cose, su Dennis. Primo, era molto cocciuto e questo rendeva difficile stargli vicino. Non che non avesse anche dei lati buoni, comunque. Secondo, aveva una vera e propria ossessione per l’ospedale. Era costantemente in contrasto con il consiglio di amministrazione e con quella donna che hanno fatto venire da Boston. Però non riesco a immaginare che possa essere stato qualcuno di loro. Troppo sangue, troppa violenza per quei dottori e burocrati, non pensa?»