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«Ma tutta questa attrezzatura e gli interventi di miglioria devono essere costati una fortuna», osservò David.

«Altroché! Non è facile di questi tempi gestire un ospedale, specialmente in questa fase di competizione voluta dal governo. Gli introiti sono bassi, i costi salgono, è difficile anche solo non essere tagliati fuori.» Caldwell porse a David una grossa busta. «Ecco un po’ d’informazioni sull’ospedale. Forse la convinceranno a venire da noi e ad accettare la nostra offerta di lavoro.»

«E per l’alloggio?» chiese Angela.

«Sono contento che me l’abbia chiesto. Avrei dovuto suggerirvi di recarvi alla Green Mountain National Bank per parlare con Barton Sherwood. È il vicepresidente del consiglio di amministrazione dell’ospedale, nonché presidente della banca. Vi darà un’idea di come la città sostenga l’ospedale.»

Dopo avere recuperato Nikki alla nursery, dove si stava divertendo un mondo, i Wilson ritornarono in macchina fino al parco, quindi proseguirono a piedi per la banca. Barton Sherwood li ricevette immediatamente.

«Le vostre domande sono state prese favorevolmente in considerazione durante l’ultimo consiglio», annunciò mentre si appoggiava allo schienale della poltroncina. Era un uomo magrolino, sui sessant’anni, con i capelli che si stavano diradando e baffetti sottili. «Noi speriamo in tutta sincerità che decidiate di unirvi alla nostra grande famiglia, qui a Bartlet. Per incoraggiarvi, voglio subito dirvi che la mia banca è disposta a offrivi un mutuo agevolato per acquistare una casa.»

David e Angela rimasero a bocca aperta, mentre Barton Sherwood si addentrava nei dettagli. Mai, nemmeno nei loro sogni più ottimistici, avevano immaginato di potersi comprare una casa nel primo anno del loro trasferimento. Avevano pochissimo denaro in contante e una montagna di debiti per ripagare le spese che avevano sostenuto nel periodo della specializzazione: più di centocinquantamila dollari.

Soltanto quando furono tornati in macchina osarono parlare.

«Non posso crederci», disse David.

«È troppo bello per essere vero», convenne Angela.

«Vuol dire che verremo a stare a Bartlet?» chiese Nikki.

«Vedremo», fu la risposta laconica di Angela.

Poiché all’andata aveva guidato David, Angela si offrì di farlo per il viaggio di ritorno e lui ne approfittò per dare un’occhiata ai documenti che Caldwell gli aveva fornito.

«Interessante», commentò. «C’è un articolo del giornale locale riguardante la conclusione del contratto fra il Bartlet Community Hospital e il CMV. Dice che l’accordo è stato raggiunto quando il consiglio di amministrazione dell’ospedale, sotto la guida di Harold Traynor, ha finalmente accolto la richiesta del CMV di fornire l’ospedalizzazione per una tariffa mensile pro capite, un metodo di controllo dei costi incoraggiato dal governo e favorito dagli enti mutualistici.»

«Questo è il classico esempio di come le strutture che hanno la funzione di fornire ai cittadini servizi come gli ospedali e i medici, siano costrette a fare concessioni», commentò Angela.

«Già. Accettando un pagamento pro capite l’ospedale è costretto ad agire come una compagnia di assicurazioni. Si assume parte dei rischi dei contraenti del CMV.»

«Che cosa vuol dire ‘pagamento pro capite’?» domandò Nikki.

«Vuol dire che a un’organizzazione viene pagata una certa somma per ogni persona», le spiegò David. «Per l’assistenza sanitaria di solito la somma è mensile.»

La bimba pareva ancora perplessa e David aggiunse: «Diciamo che il CMV paga al Bartlet Hospital mille dollari al mese per ogni persona iscritta. Se qualcuno deve andare in ospedale durante quel mese, per qualsiasi motivo, il CMV non deve pagare più niente. Così, se in quel mese nessuno si ammala, l’ospedale la fa franca come un bandito. Ma che cosa succede, secondo te, se tutti si ammalano e devono andare in ospedale?»

«È troppo astratto per lei», intervenne Angela.

«Ho capito», disse la figlia. «Se tutti si ammalano, l’ospedale va in rovina.»

David sorrise soddisfatto e diede una scherzosa gomitata nel fianco alla moglie, commentando trionfante: «L’hai sentita? È mia figlia».

Qualche ora dopo erano di ritorno a casa. Salirono al quarto piano e Angela, che fu la prima a raggiungere il loro appartamento, si lasciò sfuggire un «Oh!» di sgomento, indicando la porta.

«Che cosa succede?» chiese David.

Si vedeva il segno lasciato da un piede di porco e, quando David la spinse, si accorse che tutte e tre le serrature erano saltate. Quando accese la luce, apparve uno spettacolo desolante: l’appartamento era stato saccheggiato, i mobili rovesciati e il contenuto sparso per terra.

«Oh, no!» gridò Angela disperata, mentre le salivano le lacrime agli occhi.

«Calma, quello che è successo è successo, non diventiamo isterici», cercò di tranquillizzarla David.

«Che cosa vuol dire, ‘non diventiamo isterici’? La nostra casa è rovinata, il televisore è sparito.»

«Possiamo comprarne un altro», disse David.

Nikki, tornando dalla sua camera, riferì che nulla era stato toccato.

«Grazie a Dio, almeno questo», disse David con calma.

Angela sparì in camera da letto, mentre lui controllava la cucina. A parte una vaschetta di gelato squagliato, appoggiata sul tavolo, era tutto in ordine.

David sollevò il ricevitore e chiamò la polizia, poi si voltò verso Angela, che era ritornata dalla camera da letto con in mano un portagioie, vuoto. Si vedeva che stava lottando per mantenere il controllo.

«Non dirmi qualcosa di super razionale», riuscì a mormorare attraverso le lacrime. «Non dirmi che possiamo comprare altri gioielli.»

«Va bene, va bene», si arrese lui.

Angela si asciugò il viso con la manica.

«Ritornare a casa in questo modo fa sembrare Bartlet ancora più desiderabile», mormorò. «A questo punto sono più che pronta a lasciarmi alle spalle i mali della città.»

«Non ho nulla contro di lui personalmente», disse il dottor Randall Portland alla moglie Arlene mentre si alzavano da tavola. Lei fece cenno ai figli Mark e Alien di aiutare a sparecchiare. «Solo che non voglio dividere il mio ambulatorio con un internista.»

«E perché?» chiese lei, mentre si faceva dare i piatti dai figli e buttava gli avanzi nella pattumiera.

«Perché non voglio che i miei pazienti, convalescenti da un’operazione, dividano la sala d’attesa con un mucchio di malati», sbottò Randy. Rimise il tappo a una bottiglia di vino bianco e la ficcò in frigo. «Di’ pure che sono superstizioso, non m’importa, ho già abbastanza gatte da pelare con i miei pazienti e questo mi deprime.»

«Possiamo guardare la televisione?» chiese Mark. Alien, con i suoi occhioni angelici, gli stava alle spalle. Avevano sette e sei anni.

«Eravamo già d’accordo che…» cominciò Arlene, ma poi si fermò. Era difficile resistere allo sguardo implorante del figlio. E poi, voleva rimanere un po’ sola con il marito. «Solo mezz’ora.»

«Uau!» esclamò Mark e Alien gli fece eco, mentre schizzavano ad accendere il televisore.

Arlene prese Randy per il braccio e lo portò in soggiorno, lo fece sedere sul divano e lei si sistemò nella poltrona di fronte. «Non mi piace il tuo tono. Sei ancora sconvolto per Sam Hemming?»

«Certo che lo sono», rispose Randy, irritato. «Non ho mai perduto un paziente in tutta la mia carriera e adesso ne ho persi tre.»

«Ci sono cose che non dipendono da te.»

«Nessuno di loro avrebbe dovuto morire», insistette lui, «specialmente sotto le mie cure. Sono solo un medico delle ossa che si gingilla con le loro estremità.»

«Pensavo che avessi superato la depressione.»