Fu costretta a ritrarsi precipitosamente, quando sua madre e l’uomo-rettile riapparvero sulla porta del salottino. Sentì i loro passi calpestare i vetri, poi fermarsi. Le loro voci le giungevano molto attutite.
Si costrinse a sporgersi di nuovo e li vide ricomparire dal soggiorno, per poi sparire lungo il corridoio centrale, verso la cucina.
Si sporse ancora di più e cercò con lo sguardo il fucile, che era ancora al suo posto. Cominciò a scendere le scale, ma, per quanto lentamente si muovesse, ogni gradino scricchiolava sotto il suo peso.
Era giunta a metà delle scale, quando udì i passi riavvicinarsi lungo il corridoio; presa dal panico, ritornò su di corsa e si allontanò dalla ringhiera. Pensava di scendere di nuovo nell’ingresso quando non ci fosse stato più nessuno ma si accorse con raccapriccio che sua madre e l’uomo avevano cominciato a salire.
Allora corse nella camera da letto principale ed entrò nello stanzino che fungeva da guardaroba. Sulla parete di fondo si apriva una porta che conduceva a un breve corridoio, da cui si arrivava alla rimessa e in fondo al quale una stretta scala a chiocciola scendeva alla stanza utilizzata come ingresso posteriore.
Nikki vi arrivò di corsa e da lì passò in cucina, poi in corridoio e nell’ingresso principale, dove afferrò il fucile. Controllò se era carico, proprio come le aveva insegnato sua madre. Lo era. Tolse la sicura.
L’eccitazione della bimba si trasformò ben presto in confusione. Adesso che aveva in mano il fucile, non sapeva che cosa fare. Sua madre le aveva spiegato che sparava una rosa di pallini e che quindi non era importante prendere bene la mira. Il problema era la mamma non voleva colpirla.
Nikki ebbe poco tempo per riflettere sul suo dilemma. Quasi subito sentì che l’uomo faceva avanzare Angela lungo il corridoio superiore e poi giù per la scala principale. Dovette ritornare verso la cucina e non sapeva se fosse meglio nascondersi o correre fuori dai vicini.
Prima di poter decidere, nell’ingresso apparve sua madre, che stava barcollando giù per gli ultimi scalini, come se avesse ricevuto una spinta. Proprio alle sue spalle c’era l’uomo-rettile che, sotto gli occhi di Nikki, le diede un’altra violenta spinta, mandandola a finire nel soggiorno. Nella mano destra stringeva una pistola.
L’uomo fece per seguire Angela, passando a circa cinque metri da Nikki, che impugnava il fucile tenendolo all’altezza della vita. Aveva la mano sinistra sulla canna e la destra intorno al calcio, con l’indice sul grilletto.
L’uomo si voltò e la vide. Per un attimo sembrò sconcertato, poi sollevò la pistola, puntandogliela contro. Lei chiuse gli occhi e premette il grilletto.
Il suono dello sparo risuonò come una deflagrazione immane, nello stretto corridoio. Nikki venne spinta all’indietro dal rinculo, finendo a terra, ma non abbandonò la presa sul fucile. Riacquistando l’equilibrio, si tirò su a sedere e, con tutte le sue forze alzò il cane del fucile per espellere la cartuccia usata e far mettere in posizione un nuovo proiettile. Le orecchie le rintronavano talmente che non udì nemmeno lo scatto.
Dal fumo che aleggiava nel corridoio emerse Angela, proveniente dalla cucina. Subito dopo lo sparo era corsa dal soggiorno in cucina, aggirando l’ingresso. Prese il fucile di mano a Nikki, che fu sin troppo contenta di liberarsene.
Dal salottino udirono il rumore di una porta che sbatteva, poi più nulla.
«Stai bene?» sussurrò Angela.
«Penso di sì.»
Angela aiutò la bimba a rialzarsi in piedi, poi le fece cenno di seguirla. Avanzarono lentamente verso l’ingresso, superarono l’arco che introduceva in soggiorno e videro il danno causato dallo sparo: una parte di pallini si era conficcata nel montante dell’arco e il resto aveva mandato in frantumi altri quattro vetri della finestra a bovindo, la stessa danneggiata dal mattone.
Girarono intorno alla base delle scale, cercando di evitare i frammenti di vetro e, quando si avvicinarono all’arco che portava nel salottino, sentirono una corrente di aria gelida. Angela tenne il fucile puntato davanti a sé. Avanzando lentamente, madre e figlia individuarono la causa della corrente: una delle portefinestre che davano sulla terrazza era spalancata e andava lentamente avanti e indietro alla brezza serale.
Si avvicinarono e scrutarono la linea di alberi che delimitava la loro proprietà. Rimasero per qualche istante assolutamente immobili, cercando di sentire eventuali rumori. Tutto ciò che udirono fu l’abbaiare lontano di un cane, seguito dalla risposta di Rusty, dalla rimessa. Non si scorgeva nessuno. Rientrarono. Angela chiuse la porta a chiave e, sempre stringendo il fucile con una mano, si chinò ad abbracciare Nikki.
«Sei un’eroina», le mormorò. «Aspetta che lo racconti a tuo padre.»
«Non sapevo che cosa fare», disse lei. «Non avevo intenzione di colpire la finestra.»
«La finestra non è importante», la tranquillizzò Angela. «Ti sei comportata splendidamente.» Angela andò al telefono e si sorprese di non udire alcun suono.
«Non funziona nemmeno quello in camera tua», le annunciò Nikki.
Angela rabbrividì. L’aggressore si era preoccupato di tagliare i fili del telefono. Se non fosse stato per Nikki, non sapeva che cosa sarebbe potuto accadere.
«Dobbiamo assicurarci che quell’uomo non sia più qui», mormorò. «Vieni, guardiamo dappertutto.»
Insieme attraversarono la sala da pranzo e arrivarono in cucina. Controllarono l’ingresso posteriore e i due stanzini usati come dispense, poi tornarono in cucina e da lì nel corridoio centrale e poi nell’ingresso.
Mentre Angela si stava chiedendo se fosse il caso di controllare anche al piano superiore, il campanello suonò. Lei e Nikki sobbalzarono. Guardando attraverso il vetro laterale della porta, videro un gruppo di ragazzini vestiti da streghe e da fantasmi.
David imboccò il vialetto, sorpreso nel vedere che tutte le luci di casa erano spente. Poi scorse un gruppo di ragazzini balzare giù dalla veranda, correre attraverso il prato e sparire oltre gli alberi che delimitavano la proprietà.
Fermò la macchina e vide che la porta d’ingresso era stata imbrattata con le uova, le finestre insaponate e la zucca fracassata. Ebbe una mezza idea di mettersi a inseguire quei teppistelli, ma pensò che le probabilità di trovarli al buio sarebbero state ridottissime. «Dannati ragazzi!» esclamò ad alta voce, poi si accorse che la finestra del soggiorno era stata rotta ancora di più.
«Accidenti, qui si esagera!» Scese dall’auto e si avvicinò alla porta d’ingresso, notando che la parte anteriore della casa era stata presa di mira con uova e pomodori.
Quando, entrando, scoprì i vetri e i cioccolatini sparsi per terra, cominciò a preoccuparsi davvero. Si sentì attanagliare dalla paura al pensiero che fosse accaduto qualcosa alla sua famiglia e gridò, chiamando Angela e Nikki.
Quasi subito tutte e due comparvero in cima alle scale. Angela teneva in mano il fucile!
Nikki si mise a piangere e corse giù, buttandosi fra le braccia del padre. «Aveva una pistola», riuscì a dire fra i singhiozzi.
«Chi aveva una pistola?» domandò David, sempre più inquieto. «Che cosa è successo?»
Angela scese fin quasi in fondo alle scale, dove si sedette. «Abbiamo avuto una visita», annunciò.
«Chi?»
«Non lo so. Indossava una maschera di Halloween e aveva una pistola.»
«Mio Dio!» esclamò David, sconvolto. «Non avrei mai dovuto lasciarvi sole. Mi dispiace.»
«Non è colpa tua, ma hai fatto più tardi del previsto.»
«Ci è voluto più di quanto pensassi a fare le copie di quei dossier. Ho cercato di chiamarvi mentre ero per strada, ma il telefono era sempre occupato. Quando ho chiamato l’operatore, mi ha detto che era guasto.»
«Penso che quell’uomo abbia tagliato i fili.»
«Hai chiamato la polizia?» domandò David.