«Come facevo a chiamarla, se il telefono non funzionava?» sbottò Angela.
«Scusa, non ci avevo pensato.»
«Tutto quello che abbiamo fatto da quando quell’uomo se n’è andato è stato rimanere rannicchiate di sopra. Avevamo il terrore che ritornasse.»
«Dov’è Rusty?»
«L’ho chiuso nella rimessa perché si agitava troppo quando arrivavano i bambini a chiedere i dolci.»
«Adesso prendo dalla macchina il mio telefono portatile e intanto libero Rusty», affermò David. Una volta fuori, vide il gruppo di ragazzi di prima sparpagliarsi nel vederlo uscire.
«Toglietevi dai piedi», gridò loro nella notte.
Quando rientrò in casa con Rusty e il telefono, Angela e Nikki lo stavano aspettando in cucina.
«C’è un branco di ragazzini là fuori», disse loro. «Hanno conciato la veranda per le feste.»
«Sarà perché non abbiamo aperto e sono rimasti a mani vuote. Ci toccherà la nostra parte di dispetti, ma non sarà niente, al confronto di quello che abbiamo passato prima.»
«Non proprio: hanno rotto altri vetri della finestra.»
«È stata Nikki a romperli», gli spiegò Angela, abbracciando la figlia. «È la nostra eroina.» Poi raccontò esattamente come si erano svolte le cose.
David riusciva a malapena a credere al pericolo che aveva corso la sua famiglia. Se pensava a ciò che sarebbe potuto accadere… Non riusciva a sopportarne nemmeno il pensiero. Quando un’altra scarica di uova si abbatté contro la facciata, la sua collera divenne incontenibile. Corse all’ingresso e aprì la porta, deciso ad acchiappare qualcuno dei ragazzini, ma Angela lo trattenne, mentre Nikki teneva a bada il cane.
«Non è importante!» esclamò Angela piangendo.
Vedendo la moglie prossima a un crollo nervoso, David richiuse la porta e la consolò come meglio poté. In fondo, sapeva che correre dietro a quei bambini non sarebbe servito a niente, se non a sfogarsi per cercare di lenire i sensi di colpa.
Strinse a sé anche Nikki e si sedette con tutte e due sul divano del salottino. Quando vide che Angela si era un po’ calmata, usò il telefonino per chiamare la polizia.
Visto che David non la smetteva d’imprecare per avere lasciato sole lei e Nikki, Angela cercò di convincerlo che anche lei aveva una parte di colpa.
«Avrei dovuto aspettarmelo», gli disse e gli rivelò i propri sospetti che il tentativo di stupro fosse stato invece un tentativo di omicidio. «Anche Calhoun è d’accordo.»
«Perché non me l’hai detto?» chiese David.
«Avrei dovuto farlo. Mi dispiace.»
«Se non altro, stiamo imparando che non dovrebbero esserci segreti fra di noi. E Calhoun? Lo hai sentito?»
«No, gli ho anche lasciato un messaggio, come avevi consigliato tu. Che cosa facciamo adesso?»
«Non lo so.» David si alzò. «Intanto diamo un’occhiata alla finestra.»
La polizia non aveva nessuna fretta. Ci mise quasi tre quarti d’ora ad arrivare e, con grande disappunto di Angela e David, c’era Robertson in persona, con tanto di uniforme. Angela fu tentata di domandargli se quello fosse il suo costume di Halloween. Lo accompagnava un assistente, Carl Hobson.
Arrivato alla porta d’ingresso, Robertson notò la sporcizia sulla veranda e la finestra rotta.
«Avete qualche problemino?» domandò.
«Non tanto ‘ino’», replicò Angela e descrisse ciò che era accaduto dal momento in cui era comparso l’uomo fino all’arrivo di David.
Apparve subito evidente che Robertson non dava molta importanza alla storia. Si muoveva di qua e di là, alzando con impazienza gli occhi al cielo rivolto al suo assistente.
«Sentiamo, è sicura che fosse una pistola vera?» domandò quando Angela ebbe finito di raccontare.
«Certo che era vera», rispose lei, esasperata.
«Magari era solo un giocattolo, parte di un costume», insistette lui. «È sicura che quel tipo non fosse solo in cerca di dolcini?» e strizzò un occhio a Hobson.
«Aspetti un minuto», intervenne David. «Non mi piace proprio per niente quello che sto sentendo. Ho la netta impressione che lei non stia affatto prendendo sul serio ciò che è accaduto. Quell’uomo aveva una pistola e c’è stata della violenza, qua dentro. Diavolo, persino parte della finestra è saltata via.»
«Non gridi, quando parla con me», lo redarguì il capo della polizia. «La sua deliziosa mogliettina ha già ammesso che è stata la vostra cara figliola a fare saltare i vetri, non il presunto assalitore, e lasci che le dica un’altra cosa: c’è un’ordinanza che proibisce di sparare con un fucile a pallini entro i limiti cittadini.»
«Se ne vada da casa mia!» gli intimò David, furibondo.
«Ben volentieri.» Robertson fece cenno a Hobson di precederlo e, arrivato sulla porta, si fermò. «Lasciate che vi dia un consiglio. Non siete una famiglia molto popolare in questa città e potrebbe diventare ancora peggio, se sparate a qualche bambino innocente che viene a chiedere un dolcetto. Il Signore vi aiuti, se avete davvero colpito un ragazzino.»
David corse alla porta e gliela sbatté dietro.
«Bastardo!» esclamò. «Be’, adesso non abbiamo più illusioni sulla polizia locale. Non possiamo più aspettarci nessun aiuto da parte loro.»
Angela si strinse le ginocchia e dovette lottare contro un nuovo accesso di lacrime. «Che casino!» mormorò, scuotendo la testa.
David le si avvicinò e cercò di consolarla. Dovette calmare anche Nikki, che si era impressionata per la discussione fra suo padre e il capo della polizia.
«Pensi che dovremmo rimanere qui stanotte?» domandò Angela.
«E dove potremmo andare a quest’ora? Basta assicurarci di non avere altri visitatori.»
«Suppongo che tu abbia ragione», ammise lei con un sospiro. «Lo so che non ragiono, ma non sono mai stata così sconvolta.»
«Hai fame?»
«No, ma avevo cominciato a preparare la cena, prima che succedesse tutto questo.»
«Bene, io sto morendo di fame, ho saltato il pranzo.»
«Nikki e io metteremo insieme qualcosa.»
Poi David chiamò la società dei telefoni per avvisare che c’era un guasto e, quando disse che era un medico, si mostrarono disposti a mandare un tecnico il più presto possibile. Poi andò nella rimessa e trovò altre lampadine per l’esterno della casa, così riuscì a illuminare quasi a giorno lo spazio tutt’attorno alla casa.
Il tecnico arrivò mentre stavano cenando e scoprì subito che il guasto era all’ esterno: la linea era stata tagliata nel punto in cui entrava in casa. Eseguì la riparazione e ripartì, accompagnato dai ringraziamenti di David per essersi scomodato la domenica sera.
Dopo cena, David rafforzò le misure di sicurezza. Coprì con un’asse la parte di finestra rotta, poi controllò che tutte le porte e le finestre fossero chiuse dall’interno.
Anche se la visita della polizia era stata esasperante, aveva avuto un effetto positivo: i pestiferi ragazzini si erano dileguati. Fu dunque nella calma più completa che, verso le nove, i Wilson si ritrovarono nella camera di Nikki per la terapia respiratoria.
Dopo avere messo a letto la figlia, David e Angela scesero nel salottino per esaminare il materiale che lui aveva portato da Boston. Avevano convinto Rusty ad abbandonare la camera della padroncina per stare con loro, confidando nel suo udito molto fine. Il fucile era vicino a loro, a portata di mano.
«Sai che cosa penso?» disse Angela, mentre David apriva la busta con i referti medici. «Credo proprio che l’uomo che è stato qui stasera sia la stessa persona che è dietro l’eutanasia, nonché l’assassino di Hodges. Ne sono convinta. È l’unica spiegazione possibile.»
«Sono d’accordo con te e credo che il nostro candidato numero uno sia Clyde Devonshire. Leggi qua.»
Angela scorse il suo referto e, arrivata alla fine, esclamò: «Oh, è sieropositivo!»
David annuì. «Vuol dire che è lui stesso un potenziale malato terminale e a questo unisci le altre cose, come il fatto di essere stato arrestato davanti alla casa del dottor Kevorkian. È evidente che gl’interessano molto i suicidi assistiti. Chi lo sa? Questo interesse potrebbe estendersi all’eutanasia. È un infermiere e quindi ha basilari conoscenze mediche. Lavora in ospedale e quindi ha accesso ai pazienti. E, come se ciò non bastasse, ha alle spalle quella storia dello stupro. Potrebbe essere lui lo stupratore con gli occhiali da sci.»