Angela annuì, ma era perplessa. «L’unico problema è che è tutto basato su semplici indizi.» Rimase a pensare qualche istante, poi chiese al marito: «Senti, ma se tu vedessi Clyde Devonshire, lo riconosceresti?»
«No.»
«Mi chiedo se sarei capace di identificarlo dall’altezza o dal suono della voce, ne dubito. Non ne sarei mai assolutamente sicura.»
«Be’, proseguiamo», disse David. «Il secondo sospetto è Werner Van Slyke. Dai un’occhiata alla sua storia.» David porse ad Angela il dossier su di lui, decisamente più voluminoso dell’altro.
«Buon Dio», esclamò lei, quando lo ebbe letto. «Che cosa non si scopre sulle persone!»
«Che ne pensi di lui, come sospetto?»
«È un’interessante storia psichiatrica, ma non credo che sia lui. Essere affetti da un disordine schizo-affettivo con accessi di mania e paranoia non è la stessa cosa che essere degli psicotici antisociali.»
«Ma non occorre affatto essere antisociali per farsi venire idee sbagliate sull’eutanasia», obiettò David.
«È vero, ma solo perché una persona ha disturbi mentali non vuol dire che sia un criminale. Se Van Slyke avesse una storia di comportamenti violenti o decisamente criminali, allora sarebbe diverso. Ma non è così e non credo che sia molto probabile come sospetto. Inoltre, può conoscere i sottomarini a propulsione nucleare, ma non ha una conoscenza abbastanza sofisticata della medicina. Come potrebbe avere ammazzato tutti quei pazienti usando un metodo che nemmeno tu sai scoprire?»
«Sono d’accordo, ma guarda questo materiale che mi ha dato Robert.» David porse alla moglie l’elenco dei vari conti correnti che Van Slyke aveva in diverse banche di Albany e di Boston.
«Dove diavolo si è procurato tutti quei soldi?» chiese Angela. «Credi che abbia a che fare con il caso Hodges e le morti inaspettate?»
«È un’ottima domanda», replicò David. «Robert pensa di no, suppone che Werner Van Slyke traffichi in droga. Sappiamo che in città circola la marijuana, per cui è possibile.»
Angela annuì.
«Se non fosse una questione di droga, però, potrebbe essere ancora più pericoloso», aggiunse David, pensieroso.
«Perché?»
«Supponiamo che sia stato Van Slyke a uccidere tutte quelle persone. Se non vende droga, potrebbe essere stato pagato per ogni singolo omicidio.»
«Che idea spaventosa!» Angela rabbrividì. «Ma, se fosse così, saremmo daccapo. Continueremmo a non sapere chi c’è dietro. Chi lo pagherebbe e perché?»
«Continuo a credere che sia un assassino con uno strano concetto della misericordia. Tutte le vittime avevano malattie potenzialmente mortali.»
«Secondo me, stiamo diventando troppo teorici», obiettò Angela. «Abbiamo ricevuto troppe informazioni e ci sforziamo di farle collimare tutte nella stessa teoria. Per la maggior parte, forse, non sono collegate.»
«Probabilmente hai ragione», ammise David, «ma mi è appena venuta un’idea. Se dovessimo determinare che il colpevole è Van Slyke, allora i suoi problemi psichiatrici potrebbero lavorare a nostro favore.»
«Che cosa intendi?»
«Nel periodo in cui prestava servizio su un sottomarino nucleare, Van Slyke ha avuto un episodio psicotico in un momento di stress. Non la trovo una cosa tanto sorprendente, sarebbe potuto capitare anche a me. Comunque, durante quella crisi psicotica, ha avuto sintomi paranoidi e si è rivoltato contro le figure che impersonavano l’autorità, in quel caso i suoi superiori. Una cosa simile gli era già accaduta in precedenza. Se noi lo affrontiamo, potremmo evocare la sua paranoia contro la persona che lo paga. Tutto quello che dovremmo dire sarebbe che questa ‘figura autoritaria’, tanto per citare il suo dossier, ha intenzione di scaricare su di lui la colpa di tutto, se venisse scoperto qualcosa e, dato che noi stiamo parlando con lui, è evidente che qualcosa è stato scoperto.»
Angela fulminò David con lo sguardo. «Talvolta mi stupisci», commentò, «soprattutto perché ti credi tanto razionale. Questa è l’idea più ridicola e arzigogolata che abbia mai sentito. La storia di Van Slyke documenta episodi maniacali accompagnati da aggressività. Stai suggerendo che potresti evocare la paranoia schizofrenica in un individuo simile? È assurdo. Esploderebbe in violenza e potrebbe essere diretta verso chiunque, in particolare verso di te.»
«Era solo un’idea», si giustificò David.
«Be’, io non ho nessuna intenzione di svilupparla. È troppo teorica.»
«Va bene», disse David, accomodante. «Il prossimo sospetto è Peter Ullhof. Ha conoscenze mediche, ovviamente, e il fatto che sia stato arrestato per reati connessi a questioni di aborto suggerisce che nutra sentimenti ben radicati sull’etica medica. Ma, a parte questo, non c’è altro su di lui.»
«E Joe Forbs?»
«L’unica cosa che può renderlo sospetto è la sua incapacità di gestire le proprie finanze.»
«E l’ultima persona, Claudette Maurice?»
«Lei è a posto», rispose David. «L’unica curiosità che ho su di lei è in quale parte del corpo ha il suo tatuaggio.»
«Sono esausta», si lamentò Angela. Gettò i fogli che aveva in mano sul tavolino. «Forse, dopo una notte di sonno profondo, ci verrà in mente qualcosa.»
25
Lunedì 1° novembre
Nikki si svegliò in piena notte con un altro incubo e andò a dormire nel lettone dei genitori, anche loro incapaci di un sonno tranquillo. Persino Rusty non dormì profondamente e, di tanto in tanto, abbaiava e ringhiava. Ogni volta, David si alzava e afferrava il fucile, ma erano sempre falsi allarmi.
L’unico elemento positivo, la mattina dopo, fu la salute di Nikki: i polmoni erano completamente puliti. In ogni caso, non le fu ancora permesso di andare a scuola.
Angela e David telefonarono di nuovo a Calhoun, ma trovarono la segreteria telefonica, con il solito messaggio. Erano indecisi se chiamare la polizia oppure no. Non conoscevano Calhoun molto bene e sapevano che aveva un comportamento un po’ eccentrico. Inoltre, erano riluttanti a chiamare la polizia, considerando le esperienze precedenti, soprattutto quelle della sera prima.
«L’unica cosa che so per certo», dichiarò Angela, «e che non voglio passare un’altra notte in questa casa. Forse dovremmo fare i bagagli e lasciare questa città ai suoi intrighi e ai suoi segreti.»
«Se lo facciamo, allora sarà meglio chiamare Sherwood», osservò David.
«Fallo. Parlo sul serio, quando dico che non voglio passare un’altra notte qui dentro David telefonò alla banca per chiedere un appuntamento con il presidente e lo ottenne per le tre del pomeriggio.
«Dovremmo parlare con un avvocato», suggerì Angela.
«Hai ragione. Chiamiamo Joe Cox.»
Joe era un loro caro amico, oltre a essere uno degli avvocati più abili di Boston. Quando Angela gli telefonò allo studio, le dissero che era in tribunale e ci sarebbe stato per tutta la giornata. Non le restò che lasciare un messaggio, dicendo che avrebbe richiamato.
«Dove potremmo passare la notte?» chiese poi al marito, mentre riagganciava.
«Gli amici più stretti che abbiamo qui in città sono gli Yansen», rispose lui. «Il che è tutto dire. Non ho più avuto rapporti con Kevin da quella ridicola partita a tennis e non ho intenzione di rivolgermi a lui.» Dopo un sospiro, propose: «Potrei chiamare i miei genitori».