«Avevi detto che sai un sacco di cose su di me.»
«Sì, ma non so chi ti dice di uccidere la gente e nemmeno perché lo fai. Penso che siano le voci a dirtelo. È così?»
«Chiudi il becco e scava», replicò Van Slyke, puntando la rivoltella leggermente a sinistra rispetto a David e premendo il grilletto. La pallottola si conficcò nella porta dello stanzino, che gemette sui cardini.
David riprese a scavare, spaventato, ma dopo qualche palata decise di correre di nuovo il rischio di parlare. Voleva riguadagnare credibilità, impressionando l’altro con la quantità di informazioni che aveva su di lui.
«Lo so che ti pagano per quello che fai», gli disse, «e so anche che metti i soldi nelle banche di Albany e di Boston, ma non so chi ti paga. Chi è, Werner?»
Van Slyke rispose con un gemito. David sollevò la testa e lo vide reggersi la testa fra le mani, coprendosi le orecchie come per difenderle da rumori molesti.
«Le voci stanno diventando più forti?» gli domandò quasi urlando, per farsi sentire ugualmente.
Van Slyke annuì e cominciò a guardarsi intorno frenetico, come per cercare una via di fuga. David approfittò della sua momentanea distrazione per afferrare il badile e valutare la distanza che li separava, chiedendosi se sarebbe riuscito a colpirlo e se questo sarebbe stato sufficiente a neutralizzare la minaccia della pistola.
Ma quel momento passò e Van Slyke tornò a tenerlo sotto controllo.
«Chi è, chi ti sta parlando?» gli domandò allora David, per non allentare la pressione.
«Sono i computer e le radiazioni, proprio come in marina», gridò l’altro.
«Ma non sei più in marina, non sei su un sottomarino nel Pacifico. Sei a Bartlet, nel Vermont, nella tua cantina. Qui non ci sono computer e radiazioni.»
«Come fai a sapere così tante cose?» Stava riaffiorando la collera.
«Ti voglio aiutare, lo so che sei sconvolto e che stai soffrendo. Devi sentirti in colpa. Lo so che hai ucciso tu il dottor Hodges.»
Van Slyke rimase a bocca aperta e David si domandò se si era spinto troppo oltre. Intuiva di avere evocato in lui una forte paranoia e sperava di non attirare la sua rabbia su di sé, come temeva Angela. Sapeva di dover riportare la conversazione sull’argomento di chi pagava Van Slyke, ma non sapeva come fare.
«Ti hanno pagato per uccidere il dottor Hodges?»
L’altro rise con disprezzo. «Questo dimostra che sai ben poco. Loro non c’entrano con Hodges. L’ho fatto perché lui si era rivoltato contro di me, dicendo che assalivo le donne nel parcheggio dell’ospedale. Ma non ero io. Minacciava di dirlo a tutti, a meno che io me ne andassi dall’ospedale. Ma gliel’ho fatta vedere io!»
Ora il suo viso era di nuovo privo di espressione. Scosse la testa e, come risvegliandosi da un sonno profondo, si strofinò gli occhi e fissò David. Sembrava stupito di vederselo davanti, con una pala in mano, ma la confusione si trasformò rapidamente in collera. Sollevò la rivoltella, mirando alla testa.
«Ti ho detto di scavare!» ringhiò.
David si affrettò a obbedire, continuando a temere che l’altro sparasse ugualmente. Quando vide che non lo faceva, si chiese di nuovo come procedere. Era evidente che il suo approccio non funzionava. Era riuscito a mettere Van Slyke sotto pressione, ma non abbastanza o non nel modo giusto.
«Ho già parlato con la persona che ti paga», tentò, dopo qualche minuto in cui aveva scavato in silenzio. «È uno dei motivi per cui so così tanto. Mi ha raccontato tutto, quindi non importa se tu mi dici le cose o no.»
«No!» gridò Van Slyke.
«Oh, sì. Mi anche detto qualcosa che dovresti sapere. Mi ha detto che, se Phil Calhoun comincia ad avere dei sospetti, ti prenderai tu la colpa di tutto.»
«Come fai a sapere di Phil Calhoun?» Van Slyke aveva ricominciato a tremare.
«Ti ho detto che so che cosa sta succedendo. Tutta la faccenda sta per finire. Appena chi ti paga scopre quello che è successo a Phil Calhoun, sarà tutto finito. A lui non importa niente di te, pensa che tu sia una nullità. Ma a me importa, io lo so che soffri. Fatti aiutare da me, non permettere che quella persona ti usi come una marionetta. Tu non conti nulla per lui, vuole che sia tu a rimetterci. Vogliono farti soffrire.»
«Zitto!» gridò Van Slyke.
«La persona che ti usa ha parlato di te a un sacco di gente, non solo a me. E tutti si sono fatti una bella risata sul fatto che sarà Van Slyke ad accollarsi la colpa di tutto.»
«Zitto!» gridò ancora Van Slyke. Balzò verso David e gli premette la canna della pistola sulla fronte.
Immobilizzato dal terrore, lui lasciò cadere a terra la pala.
«Ritorna là dentro», urlò il suo carceriere, continuando a premergli contro la canna della pistola.
David era terrorizzato all’idea che da un momento all’altro potesse partire un colpo, data l’agitazione di Van Slyke, che ormai stava diventando panico.
Retrocesse fin dentro lo stanzino e soltanto allora l’altro abbassò la pistola, per poi richiudere la porta e applicarvi nuovamente il lucchetto.
David lo sentì correre per la cantina, sbattendo contro gli oggetti che vi erano accatastati, poi salire le scale e quindi chiudere con un colpo la porta che conduceva in cucina. Poi la luce si spense.
David rimase perfettamente immobile, sforzandosi di cogliere qualche rumore. Attutito dalla distanza, udì un motore che veniva messo in moto, poi il rombo si affievolì. Dopo, ci fu soltanto il silenzio e il battito del suo cuore.
Mentre rimaneva immobile al buio, David pensò a ciò che aveva scatenato. Van Slyke se n’era andato in uno stato acuto di psicosi maniacale. Non poteva sapere che cosa avesse in mente, ma qualunque cosa fosse, non poteva essere buona.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Era riuscito a smuovere in quell’uomo la paranoia psicotica, ma il risultato non era stato quello sperato. Avrebbe voluto farlo parlare dei suoi problemi e intanto riuscire a liberarsi e invece lui era ancora lì, imprigionato, e aveva lasciato andare un pazzo in giro per la città. L’unica consolazione che gli restava era che Angela e Nikki erano al sicuro ad Amherst.
Lottando per tenere a bada le emozioni, cercò di pensare razionalmente, chiedendosi se ci fosse una via d’uscita, ma la sola idea delle spesse mura di pietra che lo circondavano gli faceva venire la claustrofobia. Si lasciò andare ai singhiozzi e si gettò contro la pesante porta di pietra, gridando in cerca d’aiuto.
Dopo un po’ riuscì a riprendere il controllo di sé, almeno quel tanto che gli permise di smetterla di martellare in modo autodistruttivo contro la porta. Smise anche di piangere. Pensò che la Volvo azzurra e il furgoncino di Calhoun erano la sua unica speranza. Poi, abbandonandosi alla rassegnazione, si lasciò scivolare per terra, in attesa del ritorno di Werner Van Slyke.
26
Lunedì 1° novembre, pomeriggio
Angela dormì molto più a lungo di quanto avesse pensato. Quando si svegliò, alle quattro e mezzo, si stupì nello scoprire che David non era rientrato e non aveva nemmeno telefonato. Sentì una punta di preoccupazione, ma la scacciò via. Mentre le lancette si avvicinavano inesorabilmente alle cinque, la preoccupazione cresceva di minuto in minuto.
Alla fine si decise a chiamare la Green Mountain National Bank, ma trovò solo una registrazione che informava sull’orario di apertura: dalle nove alle quattro e mezzo. Si chiese come mai David non l’avesse chiamata con il suo telefonino portatile. Non era da lui e inoltre sapeva che lei si sarebbe preoccupata, vedendolo tardare.
Chiamò il Bartlet Community Hospital e cercò il banco centrale delle informazioni, chiedendo di David. Le risposero che il dottor Wilson non si era visto per tutto il giorno. Alla fine, Angela provò a telefonare alla loro casa di Bartlet, ma dopo dieci squilli riattaccò, chiedendosi se David non avesse deciso di giocare all’investigatore. L’idea la fece preoccupare ancora di più, allora andò in cucina e chiese alla suocera se le poteva prestare la macchina.