Выбрать главу

«Ma certo», rispose Jeannie. «Dove vai?»

«A Bartlet. Ho dimenticato a casa alcune cose che mi servono.»

«Vengo anch’io», disse Nikki.

«Credo che sia meglio che tu rimanga qua», cercò di convincerla Angela.

«No, vengo anch’io!»

Lei si costrinse a sorridere a Jeannie, poi prese Nikki per un braccio e la portò fuori dalla cucina.

«Nikki, voglio che tu rimanga qui», le ripeté.

«Ho paura a stare qua da sola», gemette lei, mettendosi a piangere.

Angela fu presa in contropiede. Preferiva che sua figlia rimanesse lì con la nonna, ma non aveva tempo di mettersi a discutere con lei e nemmeno voleva spiegare a Jeannie perché era meglio così. Alla fine si arrese.

Erano quasi le sei, quando arrivarono a Bartlet. C’era ancora un po’ di luce, ma ben presto sarebbe calata la notte. Alcune auto avevano già i fari accesi.

Angela non aveva un piano preciso, pensava più che altro di mettersi a cercare la Volvo. Dapprima passò dalla banca e, nell’avvicinarsi, vide Barton Sherwood e Harold Traynor che camminavano verso i giardini. Accostò al marciapiede e saltò giù, dicendo a Nikki di aspettarla in macchina.

«Scusatemi», disse quando raggiunse i due uomini.

Loro si voltarono.

«Mi spiace disturbarvi. Sto cercando mio marito.»

«Non ho idea di dove sia», le rispose irritato Sherwood. «Non si è presentato all’appuntamento che avevamo questo pomeriggio e non ha nemmeno telefonato.»

«Mi dispiace», mormorò Angela.

Sherwood si toccò la falda del cappello e proseguì il suo cammino, insieme a Traynor.

Angela ritornò di corsa alla macchina. Adesso era proprio sicura che era successo qualcosa di brutto.

«Dov’è papà?» le domandò Nikki.

«Vorrei saperlo anch’io», le rispose eseguendo un’inversione a U nel mezzo di Main Street, facendo stridere ì pneumatici. Nikki puntò le mani contro il cruscotto. Aveva già intuito che sua madre era scombussolata, ora ne era sicura.

«Andrà tutto bene», le disse Angela. La tappa successiva fu la loro casa. Sperava che nel frattempo David fosse arrivato lì, ma le bastò imboccare il vialetto per rimanere delusa: niente Volvo.

Si fermò accanto alla casa e uno sguardo sommario le rivelò che tutto era come loro l’avevano lasciato, ma volle esserne sicura.

«Resta in auto», disse a Nikki. «Faccio in un attimo.»

Entrò e chiamò David, ma non ottenne risposta. Salì al piano di sopra, per vedere se il letto nella loro stanza fosse stato usato, ma era intatto. Ritornando al pianterreno vide il fucile e lo prese, controllando il caricatore. C’erano quattro proiettili.

Con il fucile in mano, andò nel salottino e prese la guida del telefono, quindi cercò gli indirizzi di Devonshire, Forbs, Maurice, Van Slyke e Ullhof e li copiò su un foglietto. Poi ritornò alla macchina.

«Mamma, guidi come una pazza», si lamentò Nikki quando sua madre lasciò una strisciata di gomma sull’asfalto.

Angela rallentò un poco e disse a Nikki di rilassarsi. Non voleva farle capire quanto fosse in ansia.

Il primo indirizzo era una drogheria. Angela vi si fermò davanti e Nikki le chiese che cosa ci facevano lì.

«Non lo so, di sicuro», le rispose lei. «Diamo un’occhiata qui intorno e vediamo se c’è la Volvo.»

«Non c’è.»

«Me ne sono accorta.»

L’indirizzo seguente era quello di Forbs. Angela rallentò nell’avvicinarsi alla casa. Le luci erano accese, ma non c’era traccia della sua auto.

Delusa, premette sull’acceleratore e ripartì a gran velocità.

«Stai di nuovo guidando da pazzi», le fece notare Nikki.

«Scusa.» Angela rallentò e si accorse di stringere il volante talmente forte da avere le mani che le facevano male. La casa seguente era quella di Claudette Maurice. Rallentò, ma si accorse subito che era tutta chiusa e non c’erano segni di vita, quindi ripartì.

Dopo pochi minuti, mentre imboccava la stradina in cui viveva Van Slyke, scorse immediatamente la Volvo. Anche Nikki la vide. Era un raggio di speranza. Angela le parcheggiò proprio dietro, spense il motore e saltò giù.

Avvicinandosi all’automobile, vide il furgoncino di Phil Calhoun. Guardò dentro tutti e due i veicoli e nel furgone notò un bicchiere di carta sporco di caffè che aveva l’aria di essere lì da diversi giorni.

Gettò un’occhiata dall’altra parte della strada, verso la casa di Van Slyke. Non c’erano luci accese e l’ansia di Angela aumentò.

Corse di nuovo alla macchina e prese il fucile. Nikki fece per scendere, ma lei le urlò di rimanere dove si trovava e il suo tono fece capire a Nikki che non c’era da discutere.

Angela attraversò la strada, tenendo in mano il fucile. Mentre saliva i pochi gradini della veranda, si chiese se dovesse andare direttamente alla polizia. Non aveva dubbi che ci fosse qualcosa che non andava, ma quale aiuto poteva aspettarsi da Robertson? E poi temeva che il fattore tempo fosse vitale.

Provò a suonare il campanello, ma non funzionava, allora bussò alla porta e, non ottenendo risposta, provò ad aprirla. Non era chiusa a chiave. La spinse ed entrò, guardinga.

Poi chiamò David, più forte che poté.

David udì il grido di Angela e si raddrizzò. Era appoggiato a un bidone colmo di mele essiccate. Il suono gli era arrivato come da una grande distanza ed era talmente fioco che si chiese se fosse vero. Forse aveva delle allucinazioni, ma poi lo udì un’altra volta.

Adesso era sicuro che era vero e sapeva che si trattava di Angela. Balzò in piedi nell’oscurità e gridò il suo nome, ma il suono si spense nello spazio limitato, assorbito dai muri di pietra e dal pavimento di terra. Si mosse alla cieca, fino ad arrivare alla porta. Urlò ancora, ma si rese conto che era inutile, a meno che Angela non scendesse in cantina.

Tastando al buio gli scaffali, prese uno dei vasetti di conserva e con quello tempestò la porta di colpi, ma il rumore non era forte come lui aveva sperato.

Poi sentì dei passi sopra di sé. Dovevano essere di Angela. Allora cambiò tattica: lanciò il vasetto contro il soffitto, si coprì la testa con le mani e chiuse gli occhi mentre il vetro andava in frantumi.

Si aggrappò agli scaffali e vi si arrampicò sopra, per picchiare i pugni direttamente contro le assi del soffitto. Aveva dato un unico colpo, quando lo scaffale su cui si trovava cedette e cadde rovinosamente a terra con tutti i vasetti, travolgendo anche David nella caduta.

Angela era scoraggiata. Aveva fatto il giro di tutto il pianterreno, accendendo parecchie luci, ma non aveva trovato prove che David e Calhoun si trovassero lì, tranne un mozzicone di sigaro in cucina che poteva essere stato dell’investigatore.

Stava per salire al piano di sopra, quando pensò a Nikki. Preoccupata, tornò fuori e arrivò alla macchina per dirle che avrebbe dovuto aspettarla ancora un po’. La bambina le raccomandò di fare presto, perché aveva paura a rimanere lì da sola.

Angela rientrò in casa e cominciò a salire le scale, tenendo il fucile con entrambe le nani. Quando raggiunse il piano superiore, si fermò perché le era sembrato di udire qualcosa. Rimase per qualche istante in ascolto e poi, non sentendo più nulla, proseguì la sua esplorazione.

Lassù lo sporco era ancora maggiore che al piano di sotto e regnava un pungente odore di muffa, come se fossero anni che nessuno saliva là sopra. Dal soffitto pendevano gigantesche ragnatele.

Angela gridò più volte il nome di David, ma nessuno le rispose. Si voltò per scendere, quando notò su un tavolino accanto alla ringhiera delle scale una maschera di gomma di quelle che si usano ad Halloween. Imitava la testa di un rettile. Era la maschera indossata dall’uomo che si era introdotto in casa sua!