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«Guidi male come la mamma», Nikki lo rimproverò.

«Perché all’ospedale?» chiese ancora Angela.

«All’improvviso tutto comincia ad avere un senso», spiegò David, «e adesso ho una terribile premonizione.»

«Di che cosa stai parlando?» Angela era perplessa.

«Credo di sapere di che cosa parlava Van Slyke, quando si è riferito alla ‘sorgente’.»

«Io pensavo che fosse solo una farneticazione schizofrenica. Stava facendo delle semplici associazioni sonore. Diceva sorgente, sergente eccetera. Erano soltanto parole senza senso.»

«Forse stava facendo associazioni sonore», convenne lui, «ma non credo che la parola ‘sorgente’ fosse senza significato, perché ha detto di averla messa sul tavolo delle riunioni accanto al plastico di un garage. È troppo specifico.»

«E allora a che cosa pensi che si riferisse?»

«Credo che abbia a che fare con le radiazioni. Forse era proprio di quello che parlava, quando ha detto che si è bruciato le mani.»

«Oh, via! Mi sembri pazzo come lui. Ricordati che la sua paranoia, quando era a bordo del sottomarino nucleare, aveva a che fare con le radiazioni, quindi le cose che ha detto molto probabilmente sono dovute a un ritorno della sua schizofrenia.»

«Spero proprio che tu abbia ragione», affermò David, «ma sono molto preoccupato. L’addestramento che ha ricevuto in marina comprendeva la propulsione atomica, il che vuol dire guidare una nave con un reattore nucleare e i reattori nucleari emettono radiazioni. Ha ricevuto un addestramento come tecnico nucleare, quindi è un esperto di materiali nucleari e sa quello che sono in grado di fare.»

«Be’, adesso quello che dici ha senso», ammise Angela, «ma parlare di una sorgente di energia nucleare e possederla sono due cose ben diverse. La gente non può uscire di casa e procurarsi del materiale radioattivo. Si tratta di cose rigidamente controllate dal governo. Ecco perché c’è la commissione di controllo nucleare.»

«C’è una vecchia macchina per la cobaltoterapia, nella cantina dell’ospedale. Traynor spera di venderla a qualche Paese dell’America Latina.»

«Questo non mi piace», ammise Angela.

«Nemmeno a me. Pensa ai sintomi che hanno avuto i miei pazienti. Potrebbero essere stati causati da radiazioni, specialmente se sono rimasti esposti a dosi massicce. È una possibilità orrenda, ma corrisponderebbe ai fatti. Allora alle radiazioni non avevo certo pensato.»

«Anch’io non ho pensato alle radiazioni, quando ho fatto l’autopsia a Mary Ann Schiller», ammise lei, «ma ora che ci penso, poteva essere così. Non si pensa alle radiazioni, se non esistono particolari circostanze di esposizione. I cambiamenti patologici che si osservano non sono specifici.»

«È esattamente quello che penso anch’io. Anche le infermiere con i sintomi tipo influenza potrebbero avere sofferto di un basso livello di radiazioni. E anche…»

«Oh, no!» esclamò Angela, afferrando immediatamente l’idea del marito. «Anche Nikki!»

«Anche Nikki che cosa?» domandò la bambina dal sedile posteriore. Non aveva seguito la conversazione dei genitori, fino a che non aveva udito il proprio nome.

Angela si voltò. «Stava soltanto dicendo che hai avuto dei sintomi influenzali, proprio come le infermiere», le spiegò.

«E come papà!»

«Sì, anche come me», confermò David.

Intanto erano arrivati all’ospedale e si fermarono nel parcheggio.

«Che piano hai in mente?» domandò Angela.

«Ci serve un contatore geiger. Dovrebbe essercene uno, nel centro di radioterapia. Cercherò qualcuno delle pulizie che ci faccia entrare. Perché tu e Nikki non andate nell’atrio?»

David trovò Ronnie, uno degli addetti alle pulizie che conosceva di vista e che fu molto contento di aiutarlo, dato che così aveva l’occasione di abbandonare il lavoro che stava facendo: pulire i pavimenti. Naturalmente, lui si guardò bene dal dirgli che era stato licenziato dal CMV e che non aveva più il diritto di utilizzare le attrezzature dell’ospedale.

Con Ronnie al seguito, David tornò nell’atrio, dove Nikki aveva scoperto un televisore e ci si era piazzata davanti. I suoi genitori le raccomandarono di non muoversi di lì e si diressero al centro di radioterapia, dove nel giro di un quarto d’ora trovarono un contatore geiger.

Tornati nell’edificio principale scesero in cantina insieme a Ronnie, che si era procurato la chiave. «La gente non scende spesso, qui sotto», spiegò loro, nell’aprire la porta.

Si aggirarono fra i locali, fino a trovare quello che cercavano: la vecchia apparecchiatura per la cobaltoterapia. Sembrava una macchina a raggi X a cui era attaccato un tavolo su cui doveva sdraiarsi il paziente.

David appoggiò il contatore sul tavolo e l’accese. L’ago ebbe solo un minuscolo fremito.

«Dov’è la sorgente, in questo aggeggio?» chiese Angela.

«Credo che si trovi dove si incrociano questa colonna di sostegno e il braccio mobile», rispose lui.

David sollevò il contatore geiger posizionandolo nel luogo in cui pensava vi fosse la sorgente, senza rilevare nessun segnale.

«Il fatto che non dia segnali non vuol dire niente», osservò Angela. «Sono sicura che quella cosa è ben protetta.»

David annuì. Andò sul retro della macchina e riprovò ancora a rilevare la presenza di radiazioni, ma senza risultato.

«Ehi, vieni qui e guarda!» lo chiamò Angela.

Lui la raggiunse e lei gl’indicò un pannello di accesso vicino al braccio mobile: le quattro viti che dovevano tenerlo fermo erano allentate.

David prese una sedia da una delle altre stanze e la mise sotto il braccio, poi ci salì sopra, svitò completamente le viti e tolse il pannello, passando il tutto a Ronnie. Dietro il pannello c’era una placca di metallo circolare fissata con otto bulloni. Si fece passare da Angela il contatore geiger e cercò di nuovo le radiazioni, ma non rilevò nulla. Allora allungò una mano fino alla placca e si accorse che anche i bulloni erano allentati, tutti e otto. Li tolse uno per uno, passandoli ad Angela.

«Sei sicuro che sia bene farlo?» gli chiese lei, preoccupata per le radiazioni, oltre che per la scarsa abilità di suo marito nei lavori manuali.

«Dobbiamo essere sicuri», le rispose, togliendo l’ultimo bullone. Poi sollevò il pesante coperchio di metallo e lo porse a Ronnie. Guardò dentro la cavità cilindrica, che aveva un diametro di circa dieci centimetri, che faceva pensare alla canna di un grosso fucile. Senza una pila, poteva vedere solo l’inizio.

«Non credo che in condizioni normali si possa vedere dentro», disse. «Ci dovrebbe essere un fermo che blocca la sorgente, quando viene messa in posizione per la terapia.»

Per essere sicuro al cento per cento, appoggiò il contatore Geiger contro l’apertura. L’ago non si mosse.

David scese dalla sedia e dichiarò con sicurezza: «La sorgente non c’è. È stata rimossa».

«Che cosa facciamo, allora?» chiese Angela.

«Che ore sono?»

«Le sette e un quarto», rispose Ronnie.

«Andiamo a prendere dei grembiuli di piombo in radiologia», suggerì David, «poi vediamo che cosa possiamo fare.»

Risalirono al pianterreno e si diressero verso l’Imaging Center, che era aperto anche a quell’ora per i casi di emergenza. Ronnie non capiva che cosa stesse succedendo, ma sentiva che era qualcosa di serio e desiderava essere d’aiuto.

Il tecnico di turno s’insospettì alla richiesta di David di farsi prestare dei grembiuli di piombo, ma gli fu assicurato che non sarebbero usciti dall’ospedale e poi non gli piaceva contraddire i medici. Così gli fornì nove grembiuli, oltre a un paio di guanti di piombo usati per la fluoroscopia.

Appesantiti da quel carico, a cui si aggiungeva anche il contatore geiger, David, Angela e Ronnie percorsero diversi corridoi e ricevettero occhiate curiose da parte dei pazienti e del personale che incontravano. Nessuno, però, cercò di fermarli.