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«Bene», disse infine David, con il fiatone, quando arrivarono davanti alla porta della sala delle riunioni. «Mettiamo tutto qui.» Lasciò cadere a terra i grembiuli e gli altri due fecero altrettanto.

Poi riaccese il contatore Geiger e immediatamente l’ago si spostò verso destra. «Gesù Cristo!» esclamò David. «Non potremmo avere una prova più eloquente di questa!» Ringraziò Ronnie e lo lasciò libero di ritornare al suo lavoro, poi spiegò ad Angela quello che aveva in mente. S’infilò i guanti di piombo e raccolse da terra tre grembiuli. Uno lo tenne in mano, gli altri due se li gettò sulle spalle. Angela ne prese quattro.

David aprì la porta ed entrò, subito seguito dalla moglie. Traynor, interrotto nel bel mezzo di una frase, gli rivolse uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo. Tutti gli altri (Sherwood, Helen Beaton, Caldwell, Cantor, Arnsworth e Robeson) si voltarono per vedere a che cosa fosse dovuta l’interruzione. Mentre i vari membri del consiglio cominciavano a mormorare, Traynor batté il martelletto, richiamandoli all’ordine.

David osservò il tavolo e individuò subito la sorgente. Era un cilindro lungo circa trenta centimetri, il cui diametro corrispondeva a quello della cavità vista poco prima nella macchina per la cobaltoterapia. Nella sua circonferenza erano incastrati diversi anelli di teflon e sulla sommità c’era una chiusura. Il cilindro era appoggiato vicino al plastico di un garage, proprio come aveva indicato Van Slyke.

David si avvicinò, tenendo un grembiule di piombo con entrambe le mani.

«Fermo!» tuonò Traynor.

Prima che David potesse avanzare oltre, Caldwell balzò in piedi e lo afferrò, circondandolo con le braccia.

«Che cosa diavolo crede di fare?» gli chiese.

«Sto cercando di salvarvi la vita, se non è troppo tardi.»

«Lasciatelo fare!» urlò Angela.

«Di che cosa sta parlando?» volle sapere Traynor.

David fece un cenno con la testa verso il cilindro. «Temo che abbiate tenuto la vostra riunione intorno a una sorgente di cobalto-60.»

Cantor balzò in piedi, rovesciando la sedia. «L’avevo vista, quella cosa sul tavolo!» urlò. «Mi chiedevo che cosa fosse.» Senza aggiungere altro, si voltò e fuggì dalla stanza.

Caldwell, sbalordito, allentò la presa e David si gettò verso il tavolo, prese il cilindro di ottone con le mani guantate e lo avvolse in uno dei grembiuli di piombo, poi in un altro e in un altro ancora. Proseguì l’operazione usando i grembiuli che aveva portato Angela, mentre lei usciva a recuperare gli altri che avevano lasciato fuori della porta. L’importante era ricoprire il cilindro del maggior numero di strati di piombo possibile.

Mentre David avvolgeva l’ultimo grembiule intorno al fagotto divenuto ormai piuttosto ingombrante, Angela andò a prendere il contatore geiger.

«Non le credo», sbottò Traynor, rompendo il silenzio che si era impadronito della sala, ma la sua voce denotava poca convinzione. La precipitosa fuga di Cantor l’aveva innervosito.

«Non è il momento di starsene qui a discutere», obiettò David. «È meglio che usciamo. Tutti voi siete stati esposti a una notevole quantità di radiazioni. Vi consiglio di rivolgervi ai vostri medici.»

Traynor e tutti gli altri si scambiarono sguardi nervosi e ben presto il panico si impadronì di loro, mentre tutti i membri del consiglio di amministrazione fuggivano uno dopo l’altro dalla stanza.

David finì di avvolgere l’ultimo grembiule e poi accese il contatore geiger, verificando con disappunto che, nonostante i suoi sforzi, la lancetta registrava una quantità significativa di radiazioni.

«Andiamocene», disse alla moglie. «Tutto quello che potevamo fare lo abbiamo fatto.»

Lasciarono sul tavolo il cilindro avvolto nei grembiuli di piombo e uscirono, chiudendosi la porta alle spalle. David azionò ancora il contatore geiger e vide che i segnali erano molto più deboli. «Finché nessuno entra nella stanza, nessun altro rimarrà danneggiato», concluse.

Poco dopo si stava dirigendo insieme ad Angela a riprendere la figlia, quando si fermò di botto.

«Pensi che a Nikki non dispiacerà rimanere sola qualche altro minuto?» le chiese.

«Davanti a un televisore starebbe bene anche per una settimana», gli rispose Angela. «Perché?»

«Penso di avere capito come sono stati irradiati i pazienti», le rivelò lui, conducendola verso la zona dove si trovavano le camere dei ricoverati.

Mezz’ora dopo, passarono a riprendere Nikki, risalirono sulla Cherokee e si diressero a casa di Van Slyke, in modo che David potesse recuperare la Volvo.

«Pensi che ci sia qualche probabilità che faccia del male a qualcuno, stanotte?» chiese David alla moglie, indicando la casa di Van Slyke.

«No.»

«Anch’io non credo e l’ultima cosa che desidero è ritornare là dentro. Andiamo dai miei, sono esausto.» David scese dalla Cherokee e disse ad Angela: «Va’ avanti tu, io ti seguo».

«Forse dovresti telefonare a tua madre», gli consigliò lei. «Sono sicura che è fuori di sé dalla preoccupazione.»

Lui salì sulla Volvo e mise in moto. Poi, guardando il furgoncino di Calhoun, davanti a lui, scosse la testa.

Quando arrivarono sulla strada principale, prese il telefono cellulare e, prima di chiamare sua madre, telefonò alla polizia di Stato, spiegando che voleva segnalare un caso molto grave che riguardava diversi omicidi e una faccenda di radiazioni mortali al Bartlet Community Hospital…

Epilogo

Quattro mesi dopo

David sapeva di essere in ritardo, mentre fermava l’auto davanti a una casa modesta sulla Glenwood Avenue, a Leonia, nel New Jersey. Scese e fece di corsa i gradini dell’ingresso.

«Ma lo sai che ore sono?» lo rimproverò Angela, che poi lo seguì in camera da letto. «Dovevi essere a casa per l’una e sono già le due. Se io sono riuscita ad arrivare in tempo, avresti dovuto farcela anche tu.»

«Mi dispiace», borbottò lui in risposta, cambiandosi rapidamente. «Avevo un paziente che ha richiesto molto tempo.» Sospirò. «Per lo meno adesso so di avere la libertà di passare tanto tempo con i pazienti, se lo ritengo necessario.»

«Questo è tutto bello e tutto giusto», lo rimbeccò la moglie, «ma abbiamo un appuntamento e hai persino avuto la possibilità di scegliere tu l’ora.»

«Dov’è Nikki?» domandò lui.

«È fuori sulla veranda. È lì da più di un’ora a guardare i preparativi dello staff di 60 Minutes.»

David s’infilò una camicia bianca fresca di bucato e l’abbottonò.

«Scusa», disse Angela. «Penso di essere nervosa per questa faccenda della televisione. Pensi che dobbiamo farlo?»

«Anch’io sono nervoso», le rispose lui, scegliendo una cravatta. «Comunque, se vuoi annullare, per me va bene.»

«Be’, abbiamo già chiarito tutto prima con i nostri rispettivi capi.»

«E tutti ci hanno assicurato che non ne ricaveremo alcun danno e poi tutti e due sentiamo che il pubblico deve sapere la verità.»

Angela si fermò a riflettere. «D’accordo», disse alla fine. «Facciamolo.»

David si fece il nodo alla cravatta, si pettinò e si mise una giacca, mentre lei si diede un’ultima occhiata allo specchio. Quando tutti e due sentirono di essere pronti, scesero le scale e uscirono sulla veranda, strizzando gli occhi alla luce dei riflettori.

Anche se erano entrambi nervosi, Ed Bradley, il conduttore, li mise subito a loro agio. Cominciò l’intervista in modo informale, facendoli rilassare, tanto sapeva che avrebbe lavorato molto con il montaggio, come al solito. Cominciò a chiedere loro che cosa stessero facendo attualmente.

«Io mi sto specializzando in medicina legale», rispose Angela.

«Io, invece, lavoro al Columbia Presbyterian Medical Center», disse David. «Abbiamo contratti con numerosi enti mutualistici.»