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Il Mago chinò la testa, perdendo completamente l’intensa espressione da rettile. Posò le carte sul tavolo, trattenendo a fatica una risata. — Come giocatore di poker fai paura, Sidney.

— Cosa c’è che non va? — chiese Sidney. — Cos’ho combinato? Mi hai letto nel pensiero.

Il Mago sembrò sorpreso. — Ti tradisci senza accorgertene. Ogni volta che hai carte pessime ti passi le dita sul naso e bevi birra. Quando hai carte buone, resti immobile, e ti concentri in modo quasi palpabile. Mi dà tanto fastidio che diventa difficile prendere i tuoi soldi.

Sidney rimase zitto. Scoprì le sue carte con un sospiro. Il Mago le guardò e rise.

— Così — disse Sidney bonariamente — non sei spietato quanto vuoi far credere.

— Pare proprio di sì. — Raccolse le carte. Poi girò la testa verso il palco alle sue spalle, e Aaron disse: — Non sono ancora arrivati.

— Un’altra mano?

— Cercherò di concentrarmi in modo meno evidente. — Sidney si appoggiò allo schienale per dire qualcosa ad Aaron; il suo ricevitore da polso emise un segnale acustico prima che cominciasse. Poggiò la testa sul pugno e rimase in ascolto. Aaron passò in rassegna la folla, scoprì che c’era un problema a un ingresso poco distante.

Un uomo che indossava gli abiti sbrindellati dell’immensa e lugubre zona desolata del Settore Discarica era capitato nel club. Sembrava stupito di trovarsi lì. La luce argentea che aveva negli occhi rivelava che aveva bisogno di droga. Aaron mandò un segnale alla pattuglia stradale; qualche istante dopo delle uniformi grigie comparvero ai margini della chiazza luminosa oltre la porta, mentre i buttafuori di Sidney convincevano il vagabondo a tornarsene in strada. Sidney si allungò sulla sedia.

— Grazie, Aaron.

— Strano che sia arrivato da queste parti. Quelli come lui pensano che il mondo fuori della Discarica sia pericoloso.

Il Mago, che stava per dare le carte, alzò lo sguardo con aria incredula. — Tu hai parlato con loro?

— Sono stato in quella zona due o tre volte. È un luogo bizzarro. Hanno le loro piste, i loro territori, i loro rifugi per nascondersi da gente come me, gente dell’esterno. Si possono seguire i loro sentieri attorno a montagne e vallate di porcherie, e rifiuti di un altro secolo… Ho visto relitti d’aeroplani, persino vecchie spaziomobili arenate su un fianco. Raramente si vede qualcuno; si scorge un movimento, un’ombra, forse un ragazzino che non ha ancora imparato a nascondersi in fretta. C’è sempre silenzio, un silenzio di morte, e ci si sente osservati…

— Come sei riuscito a parlare con loro?

— Non tutti hanno paura. Alcuni sono solo dei vecchi eccentrici che vivono nella discarica perché è più tranquilla della città. Non gliene frega niente se non hanno notizie del resto del mondo.

— Come hai fatto — chiese semplicemente Sidney — a trovare il coraggio di andarci?

— Cercavo qualcuno.

— L’hai trovato?

— Trovata. — Resistette all’impulso di sottrarsi allo sguardo curioso del Mago. — No.

— I reietti di questo secolo nel cimitero del precedente — disse pensosamente Sidney. — Chissà che musica suonano… — Si accorse del sorriso del Mago. — No, parlo sul serio. Prova a immaginare quali strumenti possono aver inventato, quale musica possono aver prodotto nel loro stato d’isolamento… Parlando di isolamento, mi viene in mente una cosa: ti piacerebbe un viaggio gratuito su Averno?

Il sorriso del Mago svanì. Il viso perse completamente espressione; sembrava, pensò Aaron, essersi tramutato nel proprio ritratto. Poi fu di nuovo in mezzo a loro, ma la sua voce era secca, lievemente turbata.

— C’è anche il biglietto di ritorno?

— Mi sono espresso così male? — chiese Sidney.

— Be’, no, ma perché mi vuoi mandare su Averno? Credevo che la mia musica ti piacesse.

— Certo. È questo il punto. Lassù qualche anima creativa ha capito che il silenzio quasi assoluto di Averno potrebbe avere effetti negativi sui detenuti che a fine pena dovranno reinserirsi nella società terrestre. Dovranno vivere in mezzo a noi: è questo lo scopo del programma di riabilitazione. Entro certi limiti possiamo determinare come saranno, quando torneranno a vivere con noi. — Sparpagliò con le dita il mazzo di carte come per ricavarne suggerimenti. — Stanno lassù in quella ciambella ritorta e girano nel vuoto. Sulla Terra un detenuto può udire il vento. La pioggia. Un grillo. Lo scorrere dell’acqua. Il superamento della barriera del suono. Il traffico aereo. Nel carcere di Corcrow sentono il mare e i generatori delle fabbriche. Tutti i piccoli rumori della vita quotidiana di una società da cui sono esclusi e in cui ritorneranno, per viverci nella continuità del tempo terrestre, con tutt’e due i piedi per terra.

Il Mago emise un brontolio d’assenso. — Su questo non discuto — disse gentilmente. — Ma perché…

— Perché proprio tu? Il direttore del programma di riabilitazione vuole che io vada su ad ascoltare il loro silenzio. Vuole anche che suggerisca un programma sperimentale di musica, fra le altre cose. Ho pensato subito ai Nova. Siete pittoreschi, siete troppo disciplinati per cacciarvi nei guai su Averno, e sapete cosa penso io della vostra musica. È ora che abbiate un po’ di pubblicità. Farete solo un concerto su Averno, e se siete tutti d’accordo girerò l’intera faccenda all’agenzia della Costadoro, che penserà a organizzarvi una tournée spaziale.

Il viso del Mago si era imporporato, sotto le sbavature rosso magenta. Ancora una volta era rimasto senza parole. Aaron sogghignò.

— Hai detto che avevi bisogno di un cambiamento, Magico Capo.

— Sei d’accordo?

— Una tournée spaziale? Con il tuo sostegno? Sidney, è la cosa… è la cosa…

— Ci sarà poco tempo per i preparativi, meno di un mese. Ma lassù avrai un pubblico avvinto, e non solo su Averno. — Ridacchiò con indulgenza al gioco di parole. — Pensaci. Parlane con gli altri.

— Accetteranno. Mi toccherà rimettere a posto il Pianto volante.

— L’agenzia potrebbe mettere a disposizione una spaziolancia.

— No. Preferisco adoperare le cose mie. Sono cinque anni che non faccio alzare da terra il Pianto volante. Sidney, è una cosa… Grazie.

— Sei diventato troppo bravo per un locale come questo — disse Sidney — e te lo meriti. — Rimise a posto il mazzo di carte. — Su, facciamo ancora una mano. Qualcosa di facile.

— Un poker pazzo. È rapido e facile. Si danno sette carte, due delle quali fanno da jolly, e le carte cambiate restano scoperte. Come puoi aspettarti che riesca a mantenere una faccia da poker dopo un’offerta del genere?

— È la mia tecnica — disse Sidney con serietà. Un orologio interiore tarato sugli inquieti movimenti ondeggianti della notte spinse Aaron a scostarsi dalla parete con un’alzata di spalle. Però non si allontanò, e rimase a guardare Sidney che raccoglieva le carte.

L’istante successivo si ricordò di respirare. Si appoggiò di nuovo alla parete e inviò a Sidney un messaggio mentale: “Non battere le palpebre, non cambiare tono di voce; fai finta di non avere gioco…”

Sidney spinse un gettone a centro tavola. Il Mago ne aggiunse altri cinque.

Sidney coprì il rilancio. Il Mago alzò gli occhi. — Allora un po’ di gioco ce l’hai… o stai imparando a bluffare?

In piedi alle spalle del Mago c’era qualcuno: una confusa macchia rossastra, una maschera. Sidney diede al Mago una carta, scoperta: asso di picche. Il Mago la guardò e aggiunse altri gettoni. Sidney coprì la puntata e scoprì l’ultima carta.

A quel punto gli occhi di Aaron furono attirati, quasi controvoglia, dal viso alle spalle del Mago. Lunghi capelli rosso-rosa, punteggiati di forcine nere a forma di cuore. Un viso aggraziato, dipinto d’oro. Spalle ampie e dritte. Occhi grigi che fissavano quelli di Aaron, seri, opachi, riservati. Poi Sidney diede un’occhiata alla ragazza, e lei sorrise.