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La donna indossava un’argentea tuta sgualcita. La sacca rigonfia che portava a spalla traboccava di cose bizzarre: merletto nero, seta rossa, un tacco coperto di strass, un paio di bacchette per cubi dipinte di rosa. Il suo viso ammiccò nella luce, il luccichio dei capelli rispecchiò la lucente maschera di vernice d’oro così liscia e ricca che Aaron provò un desiderio improvviso di toccarla per vedere se era calda come sembrava. I suoi capelli, lunghi, scompigliati, scarlatti come il colore d’una carta da gioco, gli solleticarono la memoria. E allora lei lo vide; i suoi passi rapidi persero il ritmo, attardandosi. La sua testa si girò verso di lui; i suoi occhi, ben distanziati, profondi, grigio opaco, gli restituirono lo sguardo. “Conosco quegli occhi”, pensò lui, nuovamente all’erta, mentre il ricordo si sforzava di emergere. “Li conosco”. Passarono secondi, o forse intere ore fra un passo e l’altro, mentre lui estraeva il ricordo da se stesso, da lei. Gli occhi della donna cambiarono, oscurati come da un improvviso mutare della luce, e Aaron finalmente capì ciò che credeva di riconoscere in lei: lo stesso tormentato mondo interiore in cui anche lui viveva.

Poi lei lo chiuse fuori, lo lasciò a fissare la maschera. Il suo passo divenne di nuovo veloce; girò la testa verso il Mago, cominciando a sorridere mentre lui cercava a tentoni un altro tasto. Il sorriso divenne una risata, forte, esuberante, e il Mago si scostò dal piano girando di scatto la testa verso di lei.

— Signora dei Cuori!

Eccola qui, pensò Aaron, ricordando la mano di poker di Sidney. Scala matta.

Lei rise ancora mentre il Mago balzava giù dal palco, e gli gettò le braccia al collo. Degli oggetti caddero per terra: una bacchetta per i cubi, e dai capelli una forcina a forma di cuore. Era una donna dello spazio, si rese conto Aaron. Muscoli snelli e ossa lunghe, il tipo di corpo fatto per librarsi nell’assenza di peso.

— Magico Capo, sei ancora qui! Dopo tutti questi anni! Non riesci a strapparti dai pianoforti di Sidney?

— Continua a trovarmene di nuovi. — La tenne scostata, per guardarla meglio. — Dove vai girando, alle quattro del mattino? L’ultima volta che ho sentito parlare di te, eri in tournée con i Ramjet.

— Non ho potuto venire prima — disse lei vagamente. — I Ramjet… Oh, li ho lasciati un mese fa.

— Perché?

Lei alzò le spalle; un’altra forcina a forma di cuore cadde per terra. — Mi ero stufata.

— Nel bel mezzo di una tournée completa del Settore?

— Be’ sì, ma sono rimasta fino alla fine del giro. Magico Capo, sembri… sembri… — Gettò le braccia in aria, rise di nuovo, gli toccò le spalle. — Sei uno spettacolo per i miei occhi, come tornare a casa o roba del genere. Ho sentito la mancanza delle tue esecuzioni di Bach. Nessun altro suona il piano. Oh, qualche complesso lo fa, ma non così. Non come te. Comunque. Ti ho visto. Ma non avuto tempo di… Suono qualche isolato più avanti. Lo so che non ascolto la tua musica da un pezzo, ma ho suonato di tutto. Persino… — Guardò Aaron, continuando a sorridere. — Il Profondo rosso mentale. Non Ultimo rosso, non è morto nessuno, ma è stato uno spettacolo lo stesso. Un frastuono incredibile, però. Non sono durata a lungo. Mi sono stufata di strumenti rotti. Non gli avrei lasciato toccare i miei cubi, comunque, e siccome ero io, non mi hanno fatto…

— Hai suonato il PRM? — chiese incredulo il Mago. Aaron, affascinato dal delicato turbinio di parole, si chiese se la ragazza avesse sniffato qualcosa. No, si disse poi. Pareva che il Mago ci fosse abituato.

— Be’, volevo suonare ogni tipo di musica.

— Il PRM non è…

— Magico Capo, possiamo discuterne più tardi, davanti a un barile di birra. Oppure bevi ancora scotch? Comunque, se vuoi, puoi venire a sentirmi suonare prima di dire sì o no, e non mi offenderò se… dopo tutto, quanti anni sono? Cinque anni, da quando suonavo con te? E poi…

— Sì o no a che cosa? — chiese il Mago, completamente sbalordito.

— A me. Ho incontrato il Giocatore l’altra sera allo Starshot, dove ho suonato quest’ultima settimana. Si era attaccato al bar come se fosse sua madre, e sembrava uno spaventapasseri terrorizzato. Lo sai che aspetto ha. Non sopporta l’alcool, deve avere qualcosa a che fare con il suo senso dell’equilibrio. Comunque, mi ha detto della tua tournée su Averno, e allora gli ho detto che se prendeva il mio posto allo Starshot avrei partecipato io. Alla tournée spaziale. — Si toccò una forcina a cuore. — Su Averno.

Per un istante il Mago rimase talmente immobile che Aaron si chiese se non gli fosse venuto un colpo. Poi l’aria tutt’intorno si tinse improvvisamente di rosso, come se il cuore del Mago l’avesse spruzzata di sangue. Il corpo di Aaron si tese, mentre una parola gli nasceva e gli moriva in gola. Prima che potesse muoversi, l’aura era sparita. La ragazza, anche lei di colpo senza parole, tastò l’aria dietro il Mago.

— Magico Capo, non hai staccato i neurocavi?

Il Mago, dimentico, alzò le mani e la abbracciò, sollevandola con delicatezza, come se lei potesse tramutarsi in fumo all’improvviso. — Tu? Vieni tu?

Lei rimase in silenzio. Un lieve sorriso affettuoso le cambiò ancora gli occhi. — Se mi vuoi, Magico Capo. Mi piacerebbe suonare di nuovo con te. La tua musica mi manca.

— Se voglio. Dio santo — disse reverentemente — ho minacciato di morte il Giocatore, se non avesse trovato un sostituto. Non avrei mai pensato che trovasse te. — Le diede un rapido bacio sulla guancia. — Grazie. — Si accorse di Aaron, che sorrideva dietro la ragazza. La posò a terra, la guidò sulla rampa, e Aaron scese con un salto dal palco.

— Ti presento Aaron Fisher, un mio caro amico. Aaron, questa è la migliore cubista del 14° Settore: la Regina di Cuori.

Lei tese una mano sottile, dalle dita lunghe; aveva la stretta robusta del cubista. I suoi occhi, rivolti al viso di Aaron, sorridevano, nuovamente opachi. — Non ho orecchio per la musica — disse Aaron. — Riconosco appena gli accordi dell’ascensore. Ma ho già sentito il vostro nome.

— Be’, sono stata in tanti di quei complessi, in tanti di quei posti… ma mai — aggiunse in tono serio — in ascensore. No. Sono sicura. Il Mago vi offriva un concerto? È per questo che ve ne stavate sulla rampa?

Aaron sorrise. — Sono solo entrato a vedere chi aveva lasciato la porta aperta. — Il trucco del viso, anche visto da vicino, era senza pecche; resistette ancora al desiderio di toccarla. Si scoprì a dire oziosamente: — È un complimento eccezionale, Magico Capo, quello che ti fa la miglior cubista del 14° Settore: lasciar perdere tutto per venire a suonare con te.

Lei scosse la testa; forcine a cuore scivolarono e si impigliarono; un colletto di crinolina nera cadde dalla sacca. Lei lo raccolse distrattamente e se lo infilò al braccio come una giarrettiera. — Ho suonato dappertutto, certo, sugli asteroidi, negli alberghi galleggianti, in club così minuscoli che era difficile muovere le bacchette dei cubi senza far cadere i faretti dal palco. Ho compiuto tre giri completi del Settore, ognuno con un complesso diverso. Forse crederete che nessuno vuole più avere a che fare con me, perché finisco sempre con l’andarmene. Però li lascio migliori di come erano, e la gente dice che mi porto dietro la fortuna. La Regina di Cuori, la Signora Fortuna. — Rise piano, senza traccia d’amarezza. — Non so se sia vero. Però sono stata dappertutto, ho suonato ogni cosa. E niente mi è mai rimasto in mente come la musica del Mago. Così sono ritornata. — Si interruppe; gli altri due attesero, in un silenzio incantato. — Qui. — Inaspettatamente i suoi occhi cambiarono, si spalancarono, brillando lievemente. Si chinò rapidamente a raccogliere la bacchetta per i cubi. — Qui.

Una scarpa le cadde dalla sacca. Aaron si chinò a raccoglierla; quando si rialzò, lei si era nuovamente barricata dietro quel suo sorriso. Rigirò mollemente la scarpa fra indice e pollice; le pagliuzze di strass mandarono lampi di luce.