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Jase emise un brontolio. — Non ho mai sentito silenzio, qui attorno. Cosa devo fare, secondo te? Mandar giù un po’ di detenuti al suo night club?

—  Per piacere! — disse Jeri in tono freddo. — Cercate solo di essere cortese con lui. Chiedetegli se può perdere qualche minuto a parlare con me.

— D’accordo — disse Jase. — D’accordo, d’accordo. Sidney Halleck. — Nonostante tutto era incuriosito. — Sembra quasi che la faccenda abbia un senso. Conosci qualche esperto di aria?

— Aria?

— Presenza o assenza di odori familiari, naturali? — Sullo schermo arrivò la chiamata. Un faccione bonario si girò a osservare Jase con sguardo indagatore, e subito ne avvertì l’occhiata severa, professionale. Sidney Halleck portava scritta in faccia la storia della sua vita, una cosa fuori moda sulla Terra, e a Jase. sembrò che rispecchiasse intelligenza, buonumore e cordialità.

— Signor Halleck.

— Direttore Klyos? — disse Sidney. La voce calma e profonda suonò perplessa ma cortese. — Cosa posso fare per voi?

— Non so niente di musica, ma mi dicono che è un onore conoscervi.

— Da bambino avrete certamente canticchiato qualche filastrocca. Quindi di musica un pochino ne sapete.

— No.

— Oh.

— Signor Halleck — disse Jase con cura, cercando di ricordare lo sproloquio di Jeri. — Ci siete stato raccomandato dall’ufficio artistico del GLM e dall’Ente governativo per… ah… le istituzioni sociali. Vorrei che parlaste per qualche minuto con il nostro direttore di riabilitazione, il dottor Jeri Halpren. Sta sperimentando un nuovo programma per reclusi in attesa di reinserimento nella società terrestre. Posso passarvelo?

— Prego — disse Sidney Halleck, stupito. — Ma non so proprio come potrei essergli d’aiuto. Non conosco niente, sulle prigioni, però…

— Vi spiegherà lui. — Jase lanciò un’occhiata a Jeri, che lo fissava con incredulità e stupore. Si sforzò di mantenere un tono cortese. — Vi ringrazio molto, signor Halleck. È stato un piacere… Oh! — Si interruppe, sorpreso. — Mi venga un colpo!

— Prego?

— Mi è appena tornata in mente una poesiola.

Sidney sorrise cordialmente. — Il cervello è un meraviglioso deposito di cianfrusaglie.

— Davvero.

— Che canzoncina era?

— Ah… parlava di crostate. La Regina di Cuori preparò le crostate in un giorno d’estate… Però, signor Halleck, è una filastrocca senza musica.

— A rigor di termini, è vero — disse Sidney in tono di scusa. — Avete ragione. Ma ha un certo ritmo, e se definiamo la musica come una successione o uno schema di intervalli sonori disposti secondo un ritmo prevedibile o variato, ci siamo quasi con La Regina di Cuori, giusto? Mentre una poesiola come Giro giro matto.

— Oh, già… la scimmia caccia il ratto…

— Ha in realtà una melodia propria. Ricordate?

— Come diavolo era il verso seguente? — Rimasero tutt’e due in silenzio, a pensarci. Poi Jase si accorse che accanto a lui Jeri cominciava ad agitarsi. Gli lanciò un’occhiata. — Ah — disse. — Il direttore della riabilitazione diventa irrequieto. Signor Halleck…

— Sidney, vi prego.

— Sidney, se decidete di visitare Averno, spero di poter chiacchierare ancora con voi.

— Mi auguro di poter essere d’aiuto. Buon giorno, direttore Klyos.

Jase passò la linea a Jeri e si alzò per allontanarsi dalla sua irritante voce nasale. Qual era il verso? La scimmia caccia il ratto… E chi era la Regina di Cuori? Continuò a ripetersi la domanda con lo sguardo fisso nel vuoto, finché fu colpito dalla totale assurdità del proprio comportamento: restarsene lì impalato nel Mozzo di Averno a cercare di scoprire l’identità del personaggio di una poesiola infantile.

Però, si disse intestardendosi, sottintendevano sempre qualcosa, tutte quelle filastrocche. Non era così? Politica, calamità, incendio, vita e morte… Soffocò l’impulso di interrompere la conversazione di Jeri, ma alla fine cedette, proprio nel momento in cui l’altro interrompeva il contatto e diceva: Verrà qui. — Il suo sorriso si allargò di fronte all’intensa irritazione di Jeri e si smorzò. — Ho fatto qualcosa di male?

— Volevo chiedergli una cosa. Volevo chiedergli… — Mosse la mano. — Non farci caso. È ridicolo. — Ma la filastrocca gli stuzzicò di nuovo il cervello, mentre riprendeva il lavoro. La scimmia caccia il ratto… Solo che lui dava la caccia anche alla Regina di Cuori. E… Pop!

Spariti.

Aggrottò severamente le ciglia, scacciando l’immagine bizzarra, e si concentrò sul monotono, cruciale tran-tran di Averno.

3

Il Mago era steso sulla schiena sotto il pannello dei comandi del Pianto volante quando Aaron Fisher salì la rampa e bussò al portello aperto. Non ricevendo risposta dal corpo steso sotto il pannello, Aaron entrò nella spaziolancia. Mentre varcava la soglia risuonò un sommesso e antico miscuglio di corni e trombe. Il Mago depose il saldatore laser e rotolò fuori troppo bruscamente, battendo la testa.

— Ahi, accidenti ai guasti… Ciao, Aaron. — Si alzò e sorrise, tendendo la mano e strofinandosi la testa.

— Tutto a posto?

— Sopravvivrò. — Ruotò il sedile del capitano, lanciando un’occhiata all’uniforme sgualcita di Aaron. — Siediti. O sei in servizio?

Aaron scosse la testa, con aria stanca. — Sto tornando a casa.

— Caffè?

— Sì. Anzi, no. Hai una birra gelata?

— Te la prendo subito. — Si trattenne un momento, massaggiandosi sempre la testa con aria assente e un’espressione bizzarra. — Spero che ti sia piaciuto il concerto dell’altra notte.

Aaron sorrise brevemente al ricordo, con aria meravigliata. — Fino a che ora hai continuato?

— Fino alle sei del mattino. Sidney era ancora lì.

— Cosa combinavi? Semplice curiosità professionale.

— Niente. Alla fine ho deciso che uno dei neurocavi deve avermi fatto scattare qualcosa nel cervello, perché la musica non voleva saperne di smettere. Ma qui ho fatto delle prove, e non mi è successo niente.

Il sorriso di Aaron si spense. — Fai attenzione — disse, e gli occhi del Mago cambiarono, concentrandosi con inconscia curiosità sul poliziotto. Il viso di Aaron si spostò di una frazione di centimetro verso la calda luce del mattino che entrava dal portello aperto e colpiva il suo sedile. Il raggio di luce era piacevole, non ancora troppo caldo. L’aria attorno allo scalo, che più tardi avrebbe puzzato di asfalto, gas di scarico, prodotti chimici, adesso portava con sé un fresco sentore di mare. Il poliziotto, sentendo ancora su di sé lo sguardo curioso e interrogativo, si girò per affrontarlo. Ma il Mago era sparito; Aaron udì provenire dalla minuscola cucina il fruscio della ghiacciaia aperta. Si sistemò meglio sul sedile, senza guardare niente in particolare.

Era un uomo alto, snello e robusto, con un viso amabile e aggressivo insieme. Portava un bel paio di baffi scuri all’antica, e non si preoccupava di far scomparire le rughe profonde dell’età. I suoi occhi riflettevano il colore dell’ambiente. In quel momento, circondati dal grigio e argento del Pianto volante, erano scuri.

— Hai cambiato campanello — disse, quando il Mago tornò con la birra.

— Mormorto d’acqua di Händel. - Ruotò il sedile del navigatore e si sedette. Aaron accennò al saldatore.