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Dobbiamo stare molto attenti a colmare certi vuoti, a dar loro certe opere d’arte, per quanto belle e commoventi siano.

I Thalassani non sono mai stati avvelenati dai guasti delle religioni morte, e in settecento anni non è sorto tra loro un solo profeta che predicasse una nuova religione. Perfino la parola «Dio» è pressoché scomparsa dalla loro lingua, e ogni volta che capita loro di sentirla dalle nostre labbra si mostrano sorpresi, se non divertiti.

I miei amici scienziati amano dire che su un solo caso si costruiscono pessime statistiche, così che non so per certo se la mancanza totale di una qualsiasi religione in questa società sia davvero significativa. Sappiamo anche che i Thalassani sono stati sottoposti a un’attentissima selezione genetica, così da escludere il maggior numero possibile di caratteristiche socialmente indesiderabili. Sì, sì… lo so che soltanto il quindici per cento del comportamento umano è geneticamente determinato, ma questo quindici per cento è estremamente importante! Di sicuro i Thalassani sembrano privi di certe caratteristiche quali l’invidia, l’intolleranza, la gelosia, l’ira. Ciò è il risultato solo di un condizionamento culturale?

Come vorrei sapere che ne è stato delle navi inseminatrici lanciate dai gruppi religiosi del ventiseiesimo secolo! L’Arca del Patto dei Mormoni, la Spada del Profeta… ce ne sono state una mezza dozzina. Chissà se qualcuna ha portato a termine la sua missione. E chissà, in tal caso, che ruolo ha avuto la religione nel loro successo o fallimento. Forse un giorno, quando si saranno ristabilite le comunicazioni, sapremo cosa ne è stato di quei pionieri.

L’ateismo totale dei Thalassani ha avuto un’altra conseguenza: lo scarsissimo numero di imprecazioni. Quando un Thalassano si lascia cadere qualcosa di pesante sul piede, non sa cosa dire. Anche i consueti riferimenti a certe funzioni corporee non servono a molto, perché esse appaiono del tutto naturali e scontate. Praticamente l’unica imprecazione di impiego generalizzato è «Krakan!», e di essa si fa un uso fin eccessivo.

Essa dimostra quanto sia rimasta impressa l’eruzione del monte Krakan di quattrocento anni fa; spero di potervi fare un’escursione prima della nostra partenza.

Ancora mancano molti mesi, eppure già ne ho paura. Non per i possibili pericoli — dovesse capitare qualcosa alla nave, io non me ne accorgerei neppure. Ma perché la partenza significherà rompere un altro degli anelli che ci legano alla Terra, e che mi legano a te, mia carissima.

13. Task Force

«Al presidente questo non piacerà» disse il sindaco Waldron con una certa soddisfazione. «Lui aveva deciso per l’Isola Settentrionale.»

«Lo so» fece il vicecomandante Malina. «E ci spiace molto doverlo contrariare, perché ci è stato di grande aiuto. Ma l’Isola Settentrionale è tutta roccia, e tutti i tratti di costa adatti sono molto popolati. C’è però una baia deserta con una comoda spiaggia sabbiosa a solo nove chilometri da Tarna… quella andrebbe benissimo.»

«Troppo bello per essere vero. E perché poi è deserta, Brant?»

«Perché è lì che aveva sede il Progetto Mangrovia. Tutti gli alberi sono morti, e ancora non sappiamo come mai. Nessuno se l’è ancora sentita di fare un po’ di pulizia. La vista è brutta, ma il puzzo è ancora peggio.»

«Quindi si tratta di un’area già ecologicamente disastrata. Si accomodi pure, capitano! Tanto la situazione non potrebbe essere peggiore di come è già!»

«Le assicuro che i nostri impianti saranno esteticamente validi e non danneggeranno per niente l’ambiente. E naturalmente li smantelleremo prima della partenza. A meno che non vogliate tenerli voi.»

«La ringrazio, ma non penso che avremo mai bisogno di produrre parecchie tonnellate di ghiaccio al giorno. E, a proposito, possiamo esservi utili in qualche cosa? Vi servono alloggi, vitto, mezzi di trasporto? Saremo lieti di esservi utili. Immagino che scenderete quaggiù in parecchi.»

«Un centinaio di persone circa. Naturalmente apprezziamo molto la vostra ospitalità. Ma purtroppo temo che come ospiti non vi daremo grande soddisfazione: avremo conferenze e riunioni con i nostri compagni rimasti a bordo a ogni ora del giorno e della notte. Quindi dovremo rimanere assieme… e non appena avremo montato il nostro villaggio prefabbricato ci stabiliremo là con tutto il nostro equipaggiamento. Non vorrei che ci giudicaste poco cortesi, ma ogni altra soluzione sarebbe poco pratica.»

«Lei ha ragione, immagino» disse la Waldron con un sospiro. Si era stillata il cervello per trovare il modo, nel rispetto del protocollo, di offrire il cosiddetto appartamento degli ospiti non al vicecomandante Malina, ma allo spettacolare comandante Lorenson. Il problema le era parso insolubile; adesso, ahimè, non si sarebbe posto mai.

Era abbattuta a tal punto che per un attimo fu tentata di richiamare il suo ultimo consorte ufficiale — ora residente sull’Isola Settentrionale — e invitarlo per una breve vacanza assieme. Ma quel maledetto l’avrebbe probabilmente respinta un’altra volta, e questo sarebbe stato insopportabile.

14. Mirissa

Anche da vecchia Mirissa Leonidas avrebbe sempre ricordato la prima volta che vide Loren. Non poteva dire lo stesso di nessun altro, neppure di Brant.

La novità non c’entrava per nulla; aveva già conosciuto parecchi Terrestri prima di Loren, e nessuno di costoro le aveva fatto particolare impressione. Avrebbero potuto quasi tutti passare benissimo per Thalassani dopo aver preso un po’ di sole.

Ma Loren no; Loren non si abbronzava mai, e quei suoi strani capelli si facevano, semmai, ancora più color dell’argento. Fu certamente questo particolare che la colpì; quando lo vide uscire dall’ufficio della Waldron insieme a due dei suoi compagni — e tutti e tre con quell’espressione di impotenza che era la normale conseguenza di un incontro con la letargica e inamovibile burocrazia di Tarna.

Si erano guardati negli occhi, ma solo per un istante. Mirissa era andata per la sua strada, ma dopo qualche passo, assolutamente senza una consapevole decisione da parte sua, si era fermata di scatto e si era voltata a guardare — e aveva visto che anche Loren si era girato e la stava fissando. Ed entrambi avevano subito capito che la loro vita era, da quel momento, cambiata in modo irrevocabile.

Più tardi, quella notte stessa, dopo aver fatto l’amore con Brant, gli chiese: «Hanno detto per quanto tempo si fermeranno?».

«Fai sempre le domande nei momenti sbagliati» borbottò lui assonnato.

«Almeno un anno. Forse due. Buonanotte… per la seconda volta.»

Mirissa si guardò bene dal chiedere dell’altro anche se era perfettamente sveglia. Giacque a lungo con gli occhi spalancati a guardare le ombre gettate dalla luna più vicina muoversi rapide sul pavimento, mentre Brant accanto a lei sprofondava nel sonno.

Mirissa aveva conosciuto altri uomini prima di Brant, ma da quando erano insieme tutti gli altri le erano sempre rimasti indifferenti. Perché allora questo interesse improvviso — ancora fingeva di credere che non si trattasse di nulla di più — per un uomo che aveva solo intravisto e di cui non conosceva nemmeno il nome? (Naturalmente a questo avrebbe provveduto l’indomani per prima cosa.) Mirissa si considerava una persona onesta e lucida; si riteneva superiore alle donne, o agli uomini, che si lasciavano trasportare dalle emozioni.

Parte dell’attrazione che sentiva per lo straniero nasceva — ne era certa — dalla novità che quell’uomo rappresentava, dai nuovi orizzonti vasti e fascinosi aperti dal suo arrivo. Poter parlare con qualcuno che aveva veramente camminato per le strade delle città terrestri, uno che aveva assistito con i propri occhi alla fine del Sistema Solare, e che di lì a qualche tempo sarebbe ripartito per altri soli, era una cosa che andava oltre i suoi sogni più sfrenati. Una volta di più Mirissa si rendeva conto della sua profonda insoddisfazione per il placido ritmo della vita su Thalassa, malgrado la relazione con Brant la rendesse felice.