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«Sai, li capisco benissimo. Mi sento anch’io nello stesso modo nei confronti di Brant.»

Kumar scoppiò a ridere.

«Oh, non ti preoccupare. Adesso ha una ragazza, una dell’Isola Settentrionale.»

«Davvero? E Mirissa lo sa?»

«Certo.»

«E non dice niente?»

«Cosa dovrebbe dire? Brant ama lei, e ogni volta torna da lei.»

Loren digerì questa informazione, sebbene non rapidamente. Gli venne da pensare che forse lui non era che una delle variabili in un’equazione già di per sé complicata. Forse che Mirissa aveva anche altri amanti? E lui, Loren, davvero voleva sapere la risposta a questo interrogativo? Faceva bene a porselo?

«Comunque» proseguì Kumar riempiendo i bicchieri «quello che importa è che il loro schema genetico è stato approvato, e che si sono messi in lista per avere un figlio. Quando avranno un figlio, sarà un’altra cosa. Allora si basteranno a vicenda. Non era lo stesso sulla Terra?»

«Qualche volta» rispose Loren. Così Kumar non sapeva nulla. Solo loro due erano a conoscenza del segreto.

Se non altro vedrò mio figlio, pensò Loren, almeno per qualche mese. E dopo…

Orripilato, si accorse che le lacrime gli rigavano le guance. Quando aveva pianto l’ultima volta? Duecento anni prima, guardando la Terra che bruciava…

«Che ti succede?» chiese Kumar. «Pensi a tua moglie?» Era così sinceramente preoccupato che Loren non riuscì a risentirsi per la sua brutale franchezza e nemmeno per il fatto che aveva tirato in ballo un argomento cui per mutuo consenso solo di rado veniva fatta menzione, perché non aveva nulla a che fare con il momento presente. Duecento anni nel passato, sulla Terra, e trecento anni nel futuro, su Sagan Due: troppo lontano da Thalassa perché ciò potesse dire qualcosa a Kumar, soprattutto con il vino che aveva in corpo.

«No, Kumar, non stavo pensando a… mia moglie.»

«Le dirai mai… di Mirissa?»

«Chissà. Non lo so, davvero. Che sonno… Ma ci siamo scolati tutto quanto il bottiglione? Kumar? Kumar?»

L’infermiera venne durante la notte e, sforzandosi di non ridere, rimboccò loro le coperte così che non cadessero dal letto.

Loren si svegliò per primo. Dopo il primo attimo di sorpresa, comincio a ridere.

«Che c’è di così divertente?» chiese Kumar strofinandosi gli occhi mentre scendeva dal letto.

«Se proprio vuoi saperlo… Chissà se Mirissa è gelosa di suo fratello, mi sono detto.»

Kumar sorrise a labbra strette. «Forse avrò bevuto un po’ troppo» disse «ma sono sicuro che non è successo proprio niente.»

«Be’, anch’io.»

Ma dicendo questo Loren si rese conto che amava Kumar — non perché gli aveva salvato la vita e nemmeno perché era fratello di Mirissa — ma semplicemente perché era Kumar. Il sesso non c’entrava per nulla; la sola idea non li avrebbe neanche imbarazzati ma solo fatti ridere. Meglio così.

Vivere a Tarna era già abbastanza difficile.

«Sai che avevi ragione a proposito del tuo Speciale del Krakan? Sto benissimo. Meravigliosamente bene, anzi. Ti spiacerebbe mandare qualche bottiglia su, alla nave? Meglio ancora… qualche centinaio di litri?»

38. Dibattito

L’interrogativo era semplice, ma la risposta no. Che fine avrebbe fatto la disciplina a bordo della Magellano se fosse stato messo ai voti l’obiettivo stesso della missione?

Naturalmente, l’esito della votazione non sarebbe stato vincolante, e se necessario il capitano avrebbe potuto non tenerne conto. Anzi, sarebbe stato costretto a non tenerne conto nel caso in cui la maggioranza avesse votato per rimanere su Thalassa (non che davvero pensasse per un solo momento che…). Ma un esito del genere avrebbe avuto effetti devastanti sul piano psicologico. L’equipaggio si sarebbe trovato diviso in due fazioni, e ciò poteva portare a degli sbocchi su cui preferiva non soffermarsi nemmeno con l’immaginazione.

Eppure… un capitano doveva mostrarsi fermo, ma non ottuso. La proposta aveva un suo lato ragionevole, e presentava molti lati positivi. In fin dei conti, anche lui aveva molto apprezzato l’ospitalità presidenziale, e aveva tutte le intenzioni di rivedere la campionessa di decathlon femminile. Era un bel mondo; e forse loro, i Terrestri, potevano accelerare il lento processo di formazione dei continenti così che in breve tempo vi sarebbe stato posto per altri milioni di uomini. Sarebbe stato infinitamente più facile che non colonizzare Sagan Due.

In quanto a questo, magari non ci sarebbero neppure arrivati, su Sagan Due. L’affidabilità della nave era sempre valutata intorno al novantotto per cento, ma sussistevano comunque rischi che nessuna previsione poteva quantificare. Solo alcuni tra gli ufficiali più fidati sapevano che una parte dello scudo di ghiaccio era andata perduta chissà quando durante i quarantotto anni luce percorsi. Si era trattato di un meteorite interstellare, o di chissà che altro; comunque, se fosse passato più vicino soltanto di qualche metro…

Qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che fosse stata un’antica sonda spaziale lanciata dalla Terra. Ciò era alquanto improbabile, e naturalmente l’ipotesi — con il suo sottofondo ironico — non si sarebbe potuta mai confermare o smentire.

E ora gli anonimi estensori della petizione si facevano chiamare i Nuovi Thalassani. Significava forse, si chiese il capitano Bey, che erano numerosi, che si stavano organizzando in movimento politico? In tal caso, la cosa migliore era di farli uscire allo scoperto il prima possibile.

Si, era tempo di convocare un’Assemblea Generale.

Moses Kaldor aveva rifiutato immediatamente ma con grande cortesia.

«No, capitano, non intendo prendere parte al dibattito. Né pro né contro.

Se lo facessi, l’equipaggio non mi riterrebbe più al di sopra delle parti. Ma sono disposto a fungere da presidente, o da moderatore, come preferite chiamarlo.»

«D’accordo» fece subito il capitano Bey; questo era in realtà ciò che sperava. «E chi presenterà le mozioni? Non credo che i Nuovi Thalassani siano disposti a uscire allo scoperto per sostenere la loro causa.»

«Io preferirei che si passasse subito ai voti senza dibattito preliminare» aveva detto il secondo ufficiale Malina.

Privatamente, il capitano Bey era d’accordo. Ma quella era una società democratica di uomini istruiti e responsabili, come confermato dal regolamento stesso. I Nuovi Thalassani avevano chiesto di esporre il loro punto di vista in un’Assemblea Generale; se il capitano non l’avesse convocata, avrebbe disobbedito agli ordini ricevuti e sarebbe venuto meno alla fiducia datagli sulla Terra duecento anni prima.

Non era stato facile organizzare l’Assemblea. Giacché nessuno doveva venir escluso dalla votazione, si erano buttati all’aria turni e avvicendamenti. Vi era inoltre un altro problema che in precedenza Sirdar Bey non si era mai posto: metà dell’equipaggio era su Thalassa, e ciò comportava un problema di sicurezza. Qualunque fosse stato l’esito della votazione, i Thalassani ne dovevano rimanere all’oscuro…

Per questo Loren Lorenson, quando iniziò l’Assemblea, era solo nel suo ufficio di Tarna, la porta per la prima volta chiusa a chiave. Portava ancora gli occhiali a visione totale, ma questa volta non vagava in una foresta sottomarina. Era invece a bordo della Magellano, nella familiare sala delle assemblee, osservando i volti familiari dei colleghi e, cambiando l’angolo di ripresa, lo schermo sul quale sarebbero apparsi i loro commenti e il loro verdetto. In quel momento vi era una sola scritta:

MOZIONE: Che l’astronave Magellano porti a termine la sua missione fermandosi su Thalassa, visto che tutti gli obiettivi principali della missione stessa sono conseguibili su questo pianeta.

Allora Moses è a bordo della nave, pensò Loren scorgendo un volto noto tra i presenti; ecco perché non si è più visto da un pezzo. Ha l’aria stanca… Anche il capitano, del resto. Forse la cosa è più seria di quando pensassi…