Il capitano Sirdar Bey aveva l’aria stanca ma soddisfatta quando accolse le quindici persone appena risvegliate e le presentò alla trentina di uomini che al momento formavano l’equipaggio A e B. Secondo il regolamento di bordo l’equipaggio C avrebbe dovuto essere in branda, ma molte figure se ne stavano in fondo alla sala cercando di non farsi notare.
«Benvenuti tra noi» disse il capitano ai nuovi arrivati. «Fa piacere vedere in giro qualche faccia nuova. E dà ancora più soddisfazione vedere un pianeta sotto di noi e sapere che la nave ha svolto per duecento anni la prima fase della sua missione senza nessuna anomalia. Ecco Thalassa, in orario perfetto.»
Tutti si volsero verso il grande schermo che occupava gran parte di una parete. Parte di esso riportava i dati relativi alle condizioni della nave, ma la sezione centrale pareva una finestra aperta sullo spazio. Vi appariva l’immagine, bella da lasciar senza fiato, di un globo bianco e blu quasi completamente illuminato. Probabilmente tutti si erano accorti con un tuffo al cuore che assomigliava moltissimo alla Terra vista da sopra il Pacifico: quasi tutto mare, con poche terre emerse molto distanziate tra loro.
E c’era un arcipelago: tre isole molto vicine, in parte nascoste dalle nubi.
A Loren venne da pensare alle Hawaii, che non aveva mai visto e che non esistevano più. Ma c’era una differenza fondamentale tra i due pianeti.
L’altro emisfero della Terra era composto per lo più da terre emerse, mentre l’altro emisfero di Thalassa era soltanto oceano.
«Ecco qui» disse il capitano con orgoglio. «Proprio come chi ha predisposto la missione aveva previsto. C’è però un particolare inatteso, e di cui dobbiamo necessariamente tener conto.
«Come ricorderete, Thalassa fu inseminata da un modulo Mark 3A da cinquantamila unità partito dalla Terra nel 2751 e giunto a destinazione nel 3109. Tutto andò bene, e le prime trasmissioni continuarono a intermittenza per duecento anni, e quindi s’interruppero di colpo dopo un breve messaggio in cui si riferiva un’eruzione vulcanica di grandi proporzioni. Dopo di che non si sentì più nulla, e se ne concluse che la nostra colonia su Thalassa era stata completamente distrutta… o ricaduta nella barbarie, come sembra sia avvenuto in numerosi altri casi.
«Ora riassumerò, a beneficio di coloro che sono stati appena risvegliati, quanto abbiamo scoperto. Certo appena entrati nel sistema ci siamo posti in ascolto su tutte le frequenze. Non abbiamo sentito nulla, neppure qualche interferenza prodotta da motori elettrici.
«Quando ci fummo ulteriormente avvicinati ci siamo resi conto che ciò non dimostrava nulla. L’atmosfera di Thalassa è molto densa. Ci possono essere tutte le emissioni a onde corte e medie sulla superficie del pianeta senza che fuori dell’atmosfera si senta nulla. Naturalmente le microonde potrebbero agevolmente uscire dalla ionosfera, ma può essere che a loro non servano, o che noi non le abbiamo intercettate.
«Comunque sia, lì sotto c’è una civiltà ben sviluppata. Abbiamo visto le luci delle loro città, o per meglio dire, cittadine. Hanno molti piccoli impianti industriali e un certo traffico marittimo. Solo imbarcazioni piccole, però. Abbiamo anche individuato un paio di aerei che non superavano i cinquecento all’ora: quanto basta per arrivare ovunque nell’arcipelago in un quarto d’ora.
«È evidente che il trasporto aereo non è indispensabile trattandosi di distanze così brevi, e la rete stradale è ottima. Però non siamo ancora riusciti a captare nessuna comunicazione. E non hanno satelliti artificiali.
Neppure i satelliti meteorologici, che potrebbero far loro comodo… ma forse no, visto che molto di rado le loro navi perdono di vista la terra.
Anche perché non c’è altra terra cui approdare, naturalmente.
«Questa è dunque la situazione. Una situazione interessante, e anche sorprendente. Una sorpresa piacevole. Almeno, così spero. Domande? Sì, signor Lorenson?»
«Abbiamo provato a metterci in contatto, signore?»
«Non ancora; abbiamo preferito aspettare di conoscere il livello della loro cultura. Potrebbe essere un notevole shock, per loro.»
«Dunque non sanno che siamo arrivati?»
«Non credo.»
«Ma il nostro sistema di propulsione… quello devono averlo visto per forza!»
L’affermazione era ragionevole, giacché un motore quantico a piena potenza era uno degli spettacoli più prodigiosi mai messi in scena dall’uomo. Splendeva quanto una bomba atomica, ma la luce durava molto più a lungo: qualche mese invece che qualche millisecondo.
«Forse, ma ne dubito. Eravamo dall’altra parte del sole quando abbiamo decelerato. Non credo che possano averci visto.»
Quindi qualcuno fece la domanda che tutti avevano in mente.
«Capitano, in che misura ciò modifica la nostra missione?»
Il capitano fissò pensieroso chi aveva fatto la domanda.
«A questo punto è ancora impossibile dirlo. Qualche centinaio di migliaia di altri esseri umani — a tanto ammonta la popolazione, a occhio e croce — potrebbe renderci le cose molto più facili. O se non altro, molto più piacevoli. D’altra parte, se non ci trovano simpatici…»
Si strinse nelle spalle in modo molto espressivo.
«Vi ricordo il consiglio che un esploratore dei tempi andati dava ai suoi colleghi. Se partite dal presupposto che gli indigeni sono amichevoli, di solito sono amichevoli per davvero. E viceversa.
«Così fino a prova contraria partiremo dal presupposto che sono amichevoli. In caso contrario…»
Il volto del capitano si fece duro, e la voce divenne quella del comandante che ha appena portato la sua nave attraverso cinquanta anni luce di spazio vuoto.
«Io non sono mai stato del parere che la forza sia la stessa cosa del diritto, però dà lo stesso un gran senso di sicurezza sapere di essere forti.»
7. I Signori degli Ultimi Giorni
Non era facile convincersi di essere veramente e perfettamente sveglio e neppure che la vita potesse ricominciare daccapo.
Il tenente comandante Loren Lorenson sapeva che non si sarebbe mai liberato del tutto della tragedia la cui ombra gravava su più di quaranta generazioni e che aveva raggiunto il culmine durante la sua esistenza. Per tutto quel primo giorno non dimenticò mai di aver paura. Neppure la promessa, e il mistero, di quel bel mondo d’acqua sospeso sotto la Magellano riusciva a fargli dimenticare il pensiero: «Cosa sognerò quando chiuderò gli occhi e dormirò, per la prima volta in duecento anni, un sonno normale?».
Aveva visto cose che non avrebbe potuto dimenticare mai, e che avrebbero ossessionato l’umanità fino alla fine dei tempi. Attraverso i telescopi dell’astronave aveva assistito alla morte del Sistema Solare. Con i suoi occhi aveva visto i vulcani di Marte eruttare per la prima volta dopo un miliardo di anni; aveva visto Venere per breve tempo svelata quando l’atmosfera era stata scaraventata via nello spazio, prima che il pianeta stesso venisse incenerito; aveva visto i giganteschi pianeti gassosi esplodere in immense sfere di fuoco. Ma questi erano spettacoli insignificanti rispetto alla tragedia della Terra.
Anche questo aveva visto attraverso gli obiettivi delle telecamere che erano resistite qualche secondo più degli uomini che avevano dato gli ultimi istanti di vita per metterle in posizione. Aveva visto…
… la Grande Piramide divenire incandescente, color rosso cupo, prima di afflosciarsi in una pozza di pietra liquefatta…
… il fondo dell’Atlantico, per pochi secondi, nuda roccia indurita prima che venisse sommerso un’altra volta dalla lava eruttata dai vulcani della Dorsale Medio-Atlantica…
… la luna sorgere sopra le foreste in fiamme del Brasile, e poi splendere più luminosa del Sole d’una volta, al suo ultimo tramonto, pochi minuti prima che…