«Da parte di qualcuno del Sangue,» gli ricordò F’lar.
F’nor lanciò un’occhiata fulminea al suo comandante, chiedendosi se parlava seriamente, dato che tutte le informazioni in loro possesso confermavano il contrario.
«Ammetto che qui c’è il potere, F’lar,» riconobbe F’nor. «Ma potrebbe trattarsi di un bastardo del vecchio Sangue che si tiene nascosto. E noi abbiamo bisogno di una donna. Ma Fax ci ha detto chiaro, nel suo modo inimitabile, di non aver lasciato in vita un solo individuo del vecchio Sangue, qui nella Fortezza, il giorno in cui l’espugnò. Dame, bambini, tutti. No. no.» Il cavaliere marrone scosse il capo, quasi per scacciare la mancanza di fiducia nella bizzarra insistenza del comandante, il quale sembrava sicuro che la Cerca si sarebbe conclusa a Ruatha con la scoperta d’una candidata del Sangue ruathano.
«Quel wher da guardia nasconde qualcosa, e a questo può riuscire soltanto qualcuno che appartenga al Sangue della sua Fortezza, cavaliere marrone,» dichiarò F’lar, sottolineando le parole. Indicò con un gesto la stanza e la finestra. «Ruatha è stata sconfitta. Ma resiste… in un modo molto sottile. Secondo me, tutto fa pensare al vecchio Sangue e al potere. Non al potere soltanto.»
L’espressione ostinata degli occhi di F’lar, la linea decisa della sua mascella indussero F’nor a cercare un altro argomento.
«Cercherò di vedere tutto quello che c’è da vedere attorno a Ruatha,» mormorò. E uscì dalla camera.
F’lar era profondamente annoiato della dama che Fax gli aveva cerimoniosamente assegnato. Ridacchiava di continuo e non la finiva mai di starnutire. Agitava incessantemente, senza portarselo mai al naso, un fazzoletto che da un pezzo aveva bisogno di un buon bucato. Dalla sua persona trasudava un odore acido, misto di sudore, di olio dolce e di cibo rancido. Anche lei era incinta di Fax. Non lo si vedeva ancora, ma la dama aveva confidato le proprie condizioni a F’lar, sia che non si rendesse conto dell’insulto che la cosa comportava per l’ospite, sia che avesse ricevuto dal suo signore l’ordine di lasciar cadere distrattamente quella notizia. F’lar ignorò volutamente la cosa; anzi, aveva ignorato anche la donna, tranne quando la sua compagnia era obbligatoria, per tutta la durata del viaggio.
Dama Tela stava ciarlando nervosamente delle condizioni terribili in cui erano le stanze assegnate la Dama Gemma e alle altre signore del seguito di Fax.
«Le imposte, tutte, sono rimaste aperte per l’intero inverno, e avresti dovuto vedere la sporcizia sul pavimento. Alla fine siamo riuscite a trovare due sguattere che hanno scopato tutto quanto nel camino. E poi il camino ha continuato a gettare un fumo incredibile, fino a quando non abbiamo mandato su un uomo.» Dama Tela ridacchiò. «Quello si è trovato bloccato da una pietra del comignolo che era caduta di traverso. Il resto del comignolo però, era in buone condizioni, un vero miracolo.»
La dama agitò il fazzoletto, e F’lar trattenne il respiro, perché quel gesto inviò nella sua direzione un odore poco piacevole.
Guardò, attraverso la Sala, in direzione della porta della Fortezza interna e vide Dama Gemma che scendeva, a passi lenti e impacciati. Nella sua andatura c’era qualcosa di lievemente diverso che attirò l’attenzione di F’lar; questi la guardò, cercando di capire di cosa si trattasse.
«Oh, sì, povera Dama Gemma,» continuò Dama Tela, con un profondo sospiro. «Siamo così preoccupate. Perché il Nobile Fax abbia insistito per farla venire, proprio non so. Non è ancora venuto il momento del parto, eppure…» La preoccupazione di quella svampita sembrava sincera.
Bruscamente, l’odio che F’lar provava per Fax e per la sua brutalità maturò. Lasciò la sua compagna a ciarlare al vento, e offrì cortesemente il braccio a Dama Gemma, per aiutarla a scendere i gradini, ad avvicinarsi alla tavola. Soltanto una lieve stretta delle dita sul suo braccio tradì la gratitudine di lei. Era pallidissima, tirata in viso, con le rughe incise profondamente attorno alla bocca e agli occhi, segni inequivocabili dello sforzo che stava sostenendo.
«Vedo che è stato fatto qualche tentativo per ristabilire un po’ di ordine nella Sala,» osservò Dama Gemma, in tono discorsivo.
«Qualcuno, sì,» ammise asciutto F’lar, guardandosi intorno. La Sala, dalle proporzioni grandiose, aveva le travi festonate dalle ragnatele accumulatesi in molti Giri. Di tanto in tanto, gli occupanti di quei nidi di velo cadevano con tonfi grassi sul pavimento, sulla tavola, persino sui piatti di portata. Le vecchie bandiere del Sangue di Ruatha erano state tolte dalle mura di pietra scura, ma non erano state mai sostituite. Uno strato di paglia fresca nascondeva il pavimento sporco di grasso. Le tavole a cavalletto apparivano raschiate e pulite da poco, i piatti scintillavano nel chiarore rinforzato dei lumi. Ma questo, purtroppo, era stato un errore, perché la luce viva metteva in risalto una scena che sarebbe apparsa più rassicurante nella penombra.
«Era una Sala tanto bella,» mormorò Dama Gemma, in modo che solo F’lar potesse udirla.
«Eri una loro amica?» chiese lui, educatamente.
«Sì, quando ero giovane.» Abbassò la voce a quell’ultima parola, come se rimpiangesse un’adolescenza felice. «Era una nobile casata!»
«Tu credi che almeno uno abbia potuto sfuggire alla strage?»
Dama Gemma gli lanciò uno sguardo sbigottito, poi si ricompose in fretta, perché nessuno se ne avvedesse. Scrollò impercettibilmente il capo, poi si spostò, impacciata, per prendere posto a tavola. Chinò gentilmente la testa in direzione di F’lar, per ringraziarlo e congedarlo con quell’unico gesto.
F’lar ritornò alla sua accompagnatrice e la fece accomodare a tavola, alla propria sinistra. Erano le sole persone di alto rango che avrebbero cenato nella Fortezza di Ruatha, quella sera: Dama Gemma sedeva alla sua destra, Fax avrebbe preso posto accanto a lei. I dragonieri e gli ufficiali di Fax si sarebbero seduti alle tavole più basse. Nessun membro delle corporazioni era stato invitato a Ruatha.
Fax arrivò in quel momento, insieme alla sua amante in carica e a due vicecomandanti, preceduto dal Connestabile che s’inchinava a profusione. Quell’uomo, notò F’lar, si teneva a buona distanza dal suo signore; ed era comprensibile, dato che la Fortezza affidata alla sua responsabilità era in condizioni catastrofiche. F’lar scacciò un insetto strisciante, con un gesto rapido. Con la coda dell’occhio, vide Dama Gemma che rabbrividiva.
Fax si avviò a passo marziale verso la tavola rialzata, il volto oscurato di rabbia repressa. Scostò rudemente la sedia, sbattendola contro quella di Dama Gemma prima di sedersi, poi la tirò verso la tavola con tanta forza da fare ondeggiare sui cavalietti il piano malfermo. Scrutò con una smorfia la coppa e il piatto, ne toccò la superficie con le dita, pronto a gettarli via se non ne fosse stato soddisfatto.
«Un arrosto, Nobile Fax, e pane fresco, Nobile Fax, e poi radici e frutta, tutto quello che è rimasto.»
«Tutto quello che è rimasto? Ma come? Mi hai detto che qui non era stato raccolto niente.»
Il Connestabile sbarrò gli occhi e deglutì, prima di balbettare una risposta.
«Niente che potessimo mandarti. Niente di abbastanza buono. Niente. Se avessi saputo del tuo arrivo, avrei potuto mandare qualcuno a Crom…»
«A Crom?» ruggì Fax, sbattendo sul tavolo il piatto che stava esaminando. L’orlo si piegò sotto le sue dita. Il Connestabile rabbrividì, come se fosse stato lui stesso a subire quel trattamento.
«A prendere un po’ di viveri decenti, mio Signore,» mormorò.
«Il giorno che una delle mie Fortezze non sarà in grado di provvedere a se stessa o alla visita del suo legittimo sovrano, io l’abbandonerò rinunciandovi per sempre.»