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Un gemito sfuggì dalle labbra di Dama Gemma, spezzando la tensione tra i due antagonisti che continuavano a fissarsi negli occhi. Irritato, Fax abbassò lo sguardo verso la donna, il pugno serrato e già alzato a colpirla per la temerarietà con cui aveva osato interrompere il suo signore e padrone. Ma la contrazione che le squassava il ventre gonfio era inequivocabile, come lo era la sua sofferenza. F’lar non osò guardarla, ma si chiese se avesse lanciato volutamente quel gemito per porre fina alla scena.

Incredibilmente, Fax mcominciò a ridere. Rovesciò indietro la testa, mettendo in mostra i grossi denti chiazzati, in una risata che sembrava un ruggito.

«Sicuro, vi rinuncio, in favore di suo figlio, se è un maschio… e se è vivo!» gracchiò, rauco.

«Udito e testimoniato!» scattò F’lar, balzando in piedi e indicando i suoi uomini. Quelli balzarono subito ritti. «Udito e testimoniato!» dichiararono, come voleva la tradizione.

Tutti cominciarono a parlare contemporaneamente, mossi da un sollievo nervoso. Le altre donne reagirono, ognuna a suo modo, all’imminenza del parto, lanciando ordini alla servitù e scambiandosi suggerimenti. Accorsero attorno a Dama Gemma, ondeggiando indecise fuori della portata di Fax, come sciocchi wherry scacciati dai loro trespoli. Si capiva che erano combattute tra la paura del loro Signore e il desiderio di aiutare la partoriente.

Fax intuì le loro intenzioni e la loro riluttanza e, continuando nella sua risata stridula, arretrò rovesciando la sedia. La scavalcò, si diresse alla tavola delle carni e mcominciò a tagliarne dei pezzi con il suo coltello, cacciandoseli in bocca sgocciolanti di sugo, senza smettere di sghignazzare.

Quando F’lar si piegò su Dama Gemma per aiutarla ad alzarsi, lei gli strinse convulsamente il braccio. I loro occhi s’incontrarono; quelli della donna erano velati dalla sofferenza. Lei l’attirò più vicino.

«Ha intenzione di ucciderti, cavaliere bronzeo. Gli piace uccidere,» bisbigliò.

«Non è facile uccidere i dragonieri, nobile signora. Ti ringrazio.»

«Non voglio che tu venga ucciso,» rispose lei, sommessa, mordendosi le labbra. «Abbiamo così pochi cavalieri bronzei.»

F’lar la fissò, sbigottito. Possibile che la consorte di Fax credesse davvero nelle Vecchie Leggi? Fece un cenno a due degli uomini del Connestabile perché la trasportassero nell’interno della Fortezza. Poi afferrò per un braccio Dama Tela, mentre gli passava accanto svolazzando.

«Che cosa ti occorre?»

«Oh, oh,» esclamò la donna, il volto sfigurato dal panico, torcendosi disperata le mani. «Acqua. Calda. Pulita. Panni. E una levatrice. Oh, sì, abbiamo bisogno d’una levatrice.»

F’lar girò lo sguardo sulle donne della Fortezza, sfiorando appena la prima figura squallida che aveva incominciato a pulire il cibo rovesciato sul pavimento. Poi fece un segno al Connestabile e gli ordinò perentoriamente di mandare a cercare la levatrice. Il Connestabile sferrò un calcio alla sguattera accucciata sul pavimento.

«Tu… tu, come ti chiami, vai a prenderla dal quartiere degli artigiani. Devi pure sapere chi è.»

Con un’agilità che contraddiceva il suo aspetto decrepito, la sguattera evitò il calcio di commiato sferrato dal Connestabile. Attraversò correndo la Sala e sparì oltre la porta della cucina.

Fax continuava ad affettare la carne; di tanto in tanto scoppiava anora in una sonora risata latrante, divertito dei propri pensieri. F’lar si avviò a sua volta verso la carcassa, e senza attendere l’invito del suo ospite, cominciò a tagliarsi altre fette di carne, accennando ai suoi uomini di imitarlo. I soldati di Fax, comunque, attesero che il loro Signore avesse finito di mangiare. 

O Signore della Fortezza, la tua roba è sol sicura tra muri spessi, porte metalliche e niente verzura.

 Lessa uscì correndo dalla Sala per andare a cercare la levatrice nel quartiere degli artigiani. La sua mente ribolliva per la frustazione. Era mancato così poco! Così poco! Come aveva potuto arrivare tanto vicina al suo scopo e poi fallire? Fax avrebbe dovuto sfidare il dragoniere. E il dragoniere era giovane e forte; il suo viso era quello di un combattente, austero e controllato. Non avrebbe dovuto temporeggiare. L’onore, dunque, era morto a Pern, soffocato dall’erba verdeggiante?

E perché, oh, perché Dama Gemma aveva scelto proprio quel momento prezioso per incominciare il travaglio? Se il suo gemito non avesse distratto Fax, il duello ci sarebbe stato, e neppure Fax, nonostante il suo tanto vantato valore di combattente feroce, sarebbe riuscito a spuntarla contro un dragoniere che avesse l’appoggio di Lessa. La Fortezza doveva ritornare al Sangue legittimo. Fax non doveva uscire vivo da Ruatha.

Sopra di lei, sulla Torre, il grande drago bronzeo lanciò un verso bizzarro: i suoi occhi sfaccettati scintillavano nell’oscurità che si andava addensando.

Inconsciamente, lo zittì come avrebbe zittito il wher da guardia. Ah, quel wher! Non era uscito dal covile, quando lei era passata. Sapeva che i draghi avevano cercato di aggredirlo. Poteva sentirlo delirare in preda al panico: avrebbero finito per farlo morire.

La discesa che conduceva all’insediamento degli artigiani aggiunse slancio ai suoi passi rapidi; dovette frenare, quasi sdrucciolando, per arrestarsi davanti alla soglia dell’abitazione della levatrice. Bussò con forza alla porta chiusa e udì, all’interno, l’esclamazione di sorpresa impaurita.

«Un parto. Un parto alla Fortezza!» gridò Lessa, al ritmo del suo bussare.

«Un parto» Il grido le giunse smorzato; poi sentì scorrere i chiavistelli. «Alla Fortezza?»

«La dama di Fax. Se ci tieni alla tua vita, corri! Perché, se è un maschio, sarà il Signore di Ruatha.»

Questo avrebbe dovuto decidere la donna, pensò Lessa. E in quel momento la porta si spalancò, aperta dall’uomo della casa. Lessa scorse la levatrice che raccoglieva in fretta le sue cose, ammucchiandole nello scialle. La esortò ad affrettarsi, la guidò lungo l’erta che portava alla Fortezza, oltre la porta della Torre, afferrandola per un braccio quando quella cercò di fuggire alla vista di un drago che la sbirciava dall’alto. La trascinò nel Cortile e la spinse nella Sala.

La levatrice si aggrappò alla porta interna, sgomenta alla vista che si offriva ai suoi occhi. Il Nobile Fax, con i piedi sulla tavola, si stava pareggiando le unghie con il coltello, e continuava ancora a ridacchiare. I dragonieri, nelle tuniche di pelle di wher, stavano mangiando tranquillamente seduti a un tavolo, mentre i soldati, finalmente, si spartivano la carne avanzata.

Il cavaliere bronzeo notò l’arrivo delle due donne e indicò loro, concitatamente, l’interno della Fortezza. La levatrice sembrava inchiodata al suolo. Lessa la tirò inutilmente per il braccio, per indurla ad attraversare la Sala. Con sua grande sorpresa, il pilota bronzeo si diresse verso di loro.

«Presto, donna, il parto di Dama Gemma è prematuro,» disse aggrottando la fronte preoccupato. Con un gesto imperioso indicò l’ingresso della Fortezza interna. L’afferrò per la spalla e la condusse verso i gradini, nonostante la resistenza della donna, mentre Lessa la tirava per l’altro braccio.