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Gli inesperti avrebbero giudicato assurdo quel modo di fare. Ma dal momento in cui, venti Giri prima, il grande Mnementh aveva rotto il guscio e si era trascinato, barcollando, sul Terreno della Schiusa fino a fermarsi, ondeggiando sulle zampe ancora deboli, davanti al giovanissimo F’lar, il dragoniere aveva imparato ad apprezzare quei momenti sereni come i più lieti della lunga giornata. Per un uomo non esisteva dono più grande della fiducia e della compagnia delle bestie alate di Pern; la fedeltà dei draghi nei confronti degli uomini era incrollabile e totale, fin dall’istante dello Schema di Apprendimento.

Mnementh era così contento che quasi subito il suo grande occhio si chiuse. Il drago dormiva, ma la punta della coda era eretta: segno certo che si sarebbe svegliato immediatamente, se se ne fosse presentata la necessità. 

Per l’Uovo d’Oro di Faranth, per la Dama del Weyr, saggia e leale, genera uno stormo d’ali bronzee e marroni, verdi ed azzurre. Genera piloti forti ed arditi, che amino i draghi, e volino nel cielo a centinaia: e siano uomini e draghi perfettamente uniti.

 Lessa attese che i passi del dragoniere si allontanassero. Attraversò svelta la grande caverna, udì il graffiare degli artigli, il rombo delle ali possenti. Percorse correndo la corta galleria, arrestandosi sull’orlo dell’ampia cavità che costituiva l’ingresso. Il drago bronzeo scendeva in cerchio verso l’estremità più ampia della distesa ovale, lunga oltre un chilometro, che era il Weyr di Benden. Aveva sentito parlare dei Weyr, come tutti gli abitanti di Pern: ma essere lì era tutta un’altra cosa.

Guardò in alto e in basso e attorno a sé, scrutando le lisce pareti di roccia. Era impossibile andarsene, se non facendosi portare da un drago. Le imboccature delle caverne più vicine erano sopra di lei, da una parte, e dall’altra sotto di lei a distanze impossibili. Era praticamente prigioniera.

Dama del Weyr, le aveva detto F’lar. La sua dama? Nel suo Weyr? Era questo che aveva voluto dire? No, l’impressione che aveva ricevuto dal drago era diversa. All’improvviso, si rese conto di quanto fosse strano il fatto che lei riuscisse a capire il drago. Chissà se la gente comune era in grado di farlo? O forse era merito del Sangue dei dragonieri della sua casata? Comunque, Mnementh aveva alluso a qualcosa di più grandioso, ad un rango specialissimo. Quindi, dovevano avere intenzione di fare di lei la Dama del Weyr della regina non ancora uscita dall’uovo. Ma come vi sarebbero riusciti? Ricordava vagamente che, quando i dragonieri partivano per la Cerca, sceglievano certe donne. Ah, certe donne. Dunque lei era una delle tante possibili aspiranti. Eppure il pilota bronzeo le aveva offerto il titolo di Dama del Weyr come se fosse l’unica qualificata. Era abbastanza presuntuoso quell’uomo, pensò Lessa. Arrogante, anche se in modo diverso da Fax.

Vide il drago bronzeo piombare sul branco in fuga, vide la cattura, lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva in volo su un costone lontano per mangiare. Si ritrasse istintivamente dall’apertura, ritornò nell’oscura, relativa sicurezza della galleria.

Il pasto del drago evocava ricordi di dozzine e dozzine di orride storie. Lei ne aveva sempre riso, ma… Era vero, dunque, che i draghi si nutrivano di carne umana? Era vero… Lessa interruppe il corso dei suoi pensieri. I draghi erano meno crudeli degli uomini. Agivano per necessità bestiale, non per bestiale avidità.

Certa che il dragoniere sarebbe rimasto occupato per qualche tempo, attraversò la grande caverna e rientrò nella camera da letto. Raccolse gli indumenti e il sacchetto di sabbia detergente e passò nel bagno. Era piccolo, ma non troppo. Un ampio cornicione orlava il cerchio irregolare della vasca. C’era una panca, e alcuni ripiani per mettere ad asciugare i panni. Nel chiarore che irradiava dal lume vide che sul fondo della vasca era stata aggiunta molta sabbia, in modo che vi si potesse stare comodamente in piedi. Una specie di rampa portava al punto più profondo, dove l’acqua lambiva dolcemente la roccia, dalla parte opposta.

Potersi pulire! Potersi pulire completamente! Con un disgusto non meno vivo di quello che aveva dimostrato il dragoniere, Lessa si strappò di dosso gli stracci, gettandoli da parte con un calcio, senza sapere dove avrebbe dovuto buttarli. Versò dal sacchetto un’abbondante manciata di sabbia detergente, si curvò sulla vasca e la inumidì.

Ne fece una poltiglia morbida, se ne cosparse le mani e il volto segnato dalla lividura. Inumidì altra sabbia e cominciò a strofinarsi le braccia e le gambe, poi il corpo e i piedi. Strofinò con forza, fino a quando i tagli non ancora cicatrizzati del tutto si riaprirono, sanguinando. Poi scese, o meglio si buttò, dentro alla vasca, ansimando un po’ quando l’acqua tiepida fece schiumare la sabbia sulle graffiature. Si immerse completamente, scuotendo il capo per bagnarsi a fondo i capelli. Poi si massaggiò ancora con la sabbia detergente, si sciacquò e si massaggiò di nuovo, sino a quando sentì che i capelli erano finalmente puliti. Erano passati tanti anni… Molte lunghe ciocche galleggiavano aggrovigliate, come insetti dalle zampe esilissime, venivano trascinate verso l’orlo più lontano della vasca, scomparivano. L’acqua, notò con piacere, circolava ininterrottamente, e quella sporca e insaponata veniva sostituita da altra limpida. Riprese a strofinarsi tutto il corpo per rimuovere il sudiciume che le aderiva addosso, fino a quando sentì la pelle pizzicare. Era una purificazione rituale, che la liberava di qualcosa di più della sporcizia accumulata. Provava un piacere simile all’estasi, per il godimento di sentirsi pulita.

Finalmente si convinse di essersi lavata a fondo, per quanto poteva consentirlo quell’unica abluzione, e si insaponò i capelli per la terza volta. Uscì dalla vasca quasi con riluttanza, torcendosi la chioma e avvolgendola attorno al capo, mentre si asciugava. Spiegò gli abiti e se ne drappeggiò uno addosso, per provare. Il tessuto, verde e morbido, sembrava liscio sotto le dita umide, ma la lanuggine si impigliava alle sue mani ruvide. Infilò la veste, facendosela passare sopra la testa: era ampia, ma la sopravveste d’un verde più scuro aveva una fascia, che lei si annodò stretta alla vita. Il contatto insolito della stoffa morbida contro la pelle nuda la fece fremere di piacere. La gonna le ondeggiava pesantemente attorno alle caviglie, facendola sorridere di gioia femminea. Prese un asciugamani pulito e cominciò a strofinarsi i capelli.

Un suono smorzato le arrivò all’orecchio; si fermò, con le mani levate, la testa piegata da un lato. Rimase in ascolto. Sì, c’era un rumore che proveniva dall’esterno. Dovevano essere rientrati, il dragoniere e il suo animale. Ebbe una smorfia di irritazione per quel ritorno intempestivo e si massaggiò più forte i capelli. Si passò le dita tra i nodi aggrovigliati, per metà asciutti, faticando a districarli. Cercò di sistemarsi la chioma a piccoli colpi, spingendola dietro le orecchie. Poi, irritata, frugò sui ripiani fino a quando trovò, come sperava, un pettine metallico dai denti rozzi. Attaccò i capelli disordinati e a furia di tirare e di spingere, riuscì finalmente a domarli.

Una volta asciutti, i capelli sembrarono acquistare una vita propria; crepitavano attorno alle dita e aderivano al volto, al pettine, al vestito. Era difficile tenere in ordine quella massa serica. Ed erano più lunghi di quanto lei avesse pensato: puliti, non più aggrovigliati, le arrivavano alla cintura… quando non le si attaccavano alle dita.

Si fermò, in ascolto, e non sentì alcun rumore. Un po’ allarmata, si accostò alla tenda e guardò cautamente nella stanza da letto. Era vuota. Ascoltò ancora, e percepì i pensieri del drago assonnato. Bene, preferiva incontrare quell’uomo alla presenza del drago, piuttosto che in camera da letto. Si avviò; e con la coda dell’occhio, mentre passava davanti a una lastra di metallo lucida appesa a una delle pareti, scorse una sconosciuta.